Pagine

30.6.11

PD Veneto: "La situazione politica nazionale e regionale dopo il voto amministrativo e i referendum"


Rosanna Filippin
Partito Democratico Veneto
Padova, Direzione regionale 20 giugno 2011

La vittoria c’è stata ed è fuori discussione.
Andavano al voto 133 comuni capoluogo o superiori a 15.000 abitanti. Il centrosinistra ne guidava 73, quando si era nel 2006, ovvero un’era politica fa. Oggi ne guida 83.
Il centrodestra aveva 55 comuni, oggi ne ha 38. Poi ve ne sono altri 17 più “variegati”, ma in una buona parte di essi è presente il centrosinistra.
Nei ballottaggi: su 85 comuni 59 sono andati al centrosinistra, 8 alle civiche, 18 al centrodestra. Su 6 province: 4 a 2 per il centrosinistra.

Ancora più significativi sono i risultati dei comuni del Nord. Qui il centrosinistra passa da 17 comuni a 29 e il centrodestra da 27 a 8, perdendone 17 a vantaggio del centrosinistra e conservandone solo 4 degli uscenti.

Le indagini dell’Istituto Cattaneo sui 13 capoluoghi certificano alcune tendenze, rispetto al voto delle ultime regionali:
- Pdl: calo del 22%
- Lega: calo del 16%
- Pd: + 7%
Sempre nei 40 comuni maggiori del Nord il PD è il primo partito con il 27% dei consensi lasciando il PdL al 22,5 e la Lega al 10,9.

Le conseguenze
Un voto di natura amministrativa, che comunque riguardava circa un quarto dell’elettorato nazionale, ha assunto tre connotati: voto di valore politico, voto di svolta psicologica e voto spartiacque.
Voto di valore politico.
La politicizzazione del voto è stata una scelta dello stesso Berlusconi, che gli si è ritorta contro come un boomerang. Questo voto è un colpo alla forza politica del premier e della sua maggioranza. Il più pesante dal 2008. Perde la scelta della chiamata al referendum pro o contro se stesso, perde la scelta di demonizzare i magistrati e di agitare lo spauracchio dell’estremismo dei candidati.
Vince un centrosinistra capace di attivare meccanismi aperti di partecipazione (le primarie), di schierare nomi credibili per il governo delle città. Vince un Pd che è perno dell'alternativa, anche là dove non vince le primarie (a Milano siamo alla pari col Pdl nel voto di lista), oltre che nella stragrande maggioranza delle città, dove ha invece espresso i candidati vincenti.
Voto di svolta psicologica.
Su Repubblica Ilvo Diamanti aveva scritto che col voto delle amministrative cadono due costanti di questi anni: a sinistra la psicologia della sconfitta e a destra il mito dell’invincibilità di Berlusconi.
La sconfitta di Berlusconi è stata pesantissima davvero, perché è avvenuta su un terreno che finora gli era stato favorevole: quello di mettersi in sintonia con il paese Italia, quello di saper interpretare i sentimenti profondi di un popolo. Questa volta no.
Berlusconi è rimasto prigioniero di un mondo tutto suo, fatto a sua immagine e somiglianza, convinto che gli italiani avessero in testa le sue priorità. Non ha capito che le condizioni materiali di milioni di italiani erano molto peggiorate. Non ha capito che gli italiani erano alla ricerca di serietà, serenità, ed impegno di tutti di fronte ad un presente faticoso ed un incerto futuro. Ha proposto ancora una volta la rissa permanente ma stavolta gli italiani hanno detto basta.
Così come pesante è stata la sconfitta della Lega, all’opposizione di Roma sul territorio, e invece ben dentro le poltrone romane a Roma. Ma quando si è al governo nelle tre grandi regioni del nord o in moltissimi comuni giocare all’opposizione contro Roma è un gioco che dura poco: chi vota vuole risposte e la Lega non ha saputo darle. Né quelle serie come il federalismo, ne quelle che si aspettavano tanti elettori di cui ha coltivato paure, xenofobie, chiusure (il mantra del popolo di Pontida : secessione, secessione, secessione …).
Voto spartiacque.
Perché per la prima volta da anni il Nord è tornato terreno elettoralmente contendibile e perché per la prima volta è concretamente sul campo la questione della successione al premier (ormai la Lega lo ha esplicitato per il 2013 o, in caso di crisi, addirittura in tempi anticipati). E Bossi a Pontida, anche se con riferimenti storici confusi, ha evocato la stessa fine del ciclo politico berlusconiano.
Ed il Pd è diventato nei sondaggi il primo partito italiano.


Nel centrodestra la crisi ha aperto una tensione vera.
Due sono gli sviluppi possibili di questa situazione.
La prima è che la sconfitta e la voglia di evitare elezioni anticipate spinga Lega e Pdl a rinsaldare il rapporto, premendo su Tremonti per ottenere concessioni sul fronte della riforma fiscale.
La seconda è che invece la Lega sia tentata a breve dallo sgambetto o dal distacco.
È chiaro che sinora ha prevalso la prima tendenza. A Pontida la Lega ha messo in scena un “penultimatum” in perfetto stile padano:
Richieste simboliche sui Ministeri : la giusta pena per il partito anti burocrazia romana mendicare qualche ufficio dove piazzare il potente di turno ed i suoi accoliti.
Propaganda sulla guerra in Libia (che unifica in un unico obiettivo la retorica sulle tasse e quella contro gli immigrati)
Le due novità politiche emerse sono la crescente ostilità verso Tremonti e l'avviso di divorzio a Berlusconi. Sono novità che come Pd dobbiamo sfruttare per accelerare la crisi di questa maggioranza.
La discussione sulla riforma fiscale è un rilancio propagandistico: il governo non ha le risorse per finanziarla, non ha la volontà politica per reperirle da un diverso equilibrio tra rendite e lavoro, non ha infine la forza politica per forzare il vincolo europeo e dei mercati internazionali sulla tenuta dei conti, che imporrà da qui a settembre una correzione da 40 miliardi di euro.
Il contenuto più concreto di questa discussione è rappresentato dal risentimento e dal disincanto che il Nord produttivo sta accumulando verso le promesse mancate del centrodestra. E qui c'è lo spazio e il dovere di un'azione politica da parte nostra.
In Veneto si moltiplicano i segni della “disillusione dei produttori”, ma noi non riusciamo ancora a tornare alternativa credibile per questi ceti. Basta considerare alcuni esempi, che sono particolari ma hanno anche un significato generale:
La marcia degli industriali a Treviso: sul tema del fisco e dello sviluppo, il mondo dell'impresa dimostra un'insofferenza crescente. Dobbiamo anche dire che qui, nel Veneto, il problema delle imprese non è ridisegnare diritti e regole a propria misura, com'è sembrata voler fare, anche nei confronti della stessa Confindustria, la Fiat. Qui da noi prevale ancora l'alleanza tra impresa, lavoro e territorio, eppure di fronte alle difficoltà (che in prospettiva rischiano di sfociare nella parziale deindustrializzazione del territorio). Eppure, di fronte ad un governo che non mantiene gli impegni, che aumenta la pressione fiscale, che non semplifica le regole, che non scioglie nodi prioritari per il Nordest, la prima tentazione delle imprese è l'auto-organizzazione della rappresentanza. È il sintomo che l'alternativa politica al centrodestra non appare ancora convincente. È il sintomo del lavoro che abbiamo ancora da compiere. E che possiamo compiere, a partire innanzi tutto dalle nostre proposte su fisco, semplificazione normativa e sostegno all'innovazione.
L'iniziativa “La Tav ce la facciamo noi” (promossa da Ance e Confindustria venete): di nuovo un segnale di auto-organizzazione da parte delle categorie e del sistema territoriale, di fronte ad un governo che ha penalizzato le infrastrutture di questa parte del paese, costringendo i veneti ad onerosi project financing. Su questo dobbiamo essere a fianco del territorio, contro la ritirata dalla responsabilità politica e finanziaria di Governo e Regione. E per dire che Tav e sistema metropolitano di superficie devono essere due facce della stessa medaglia: una mobilità efficiente a servizio del territorio non limitata al solo traffico su gomma.

Alcune chiavi di lettura del voto, in particolare quelle sul voto al Nord e a Milano, danno spunti interessanti per un ragionamento politico anche in Veneto.
Secondo Dario Di Vico, i dati di Swg, che rilevano il primato di Pisapia tra l’elettorato giovane e nel lavoro autonomo, indicano due cose:
La prima è che il popolo delle partite iva oggi esprime una sensazione sociale di “precarizzazione”, alla pari di altri segmenti non protetti.
La seconda è che questa percezione sociale si trasforma in una domanda politica diversa da quella che si rivolgeva alle classiche promesse di deregulation, liberalizzazione e alleggerimento fiscale fatte dal centrodestra.
Lo spunto politico, anche per un Veneto dove segmenti tradizionali dell’insediamento elettorale del centrodestra sono in sofferenza è che il Pd:
Da un lato può rivolgersi alla delusione dei ceti produttivi per le promesse mancate dei 17 anni di berlusconismo (su fisco, semplificazione e infrastrutture).
Dall’altro può proporsi senza complessi ad un mondo di partite iva le cui priorità sociali e politiche si stanno ridefinendo. Il rischio, altrimenti, è che la rassicurazione sia la Lega ad offrirla, in una chiave però retrograda e rancorosa.
In sintesi. La partita per il superamento del berlusconismo si è davvero aperta. Il Pd ha idee e numeri per giocarla da protagonista. Per vincerla, in Italia e sopratutto in Veneto, dobbiamo investire politicamente sul recupero di quei punti deboli che ancora abbiamo tanto quanto sulle opportunità di iniziativa che la crisi del centrodestra ci apre.

I referendum
In un quadro nazionale segnato dal netto successo di partecipazione al voto, il Veneto ha confermato e rafforzato questo trend.
La partecipazione ai referendum evidenzia due fattori, che al Nord e in Veneto sono amplificati:
Il primo è la voglia di partecipazione.
Un risultato che non è frutto dell'azione organizzata di questo o quel partito anche se i partiti, Pd incluso, hanno sostenuto a fondo la mobilitazione : in questa occasione devo ringraziare lo straordinario impegno di tutti i circoli del Partito Democratico del Veneto, degli iscritti e dei simpatizzanti che hanno organizzato centinaia di iniziative, affisso ovunque migliaia di manifesti e distribuito quasi un milione di volantini con i 4 SI ai referendum.
C’è stato indiscutibilmente un risveglio di interesse perché i referendum rimettevano i contenuti al centro delle scelte. Gli italiani non hanno voluto delegare ad una classe politica, rivelatasi inadeguata, il proprio destino su questioni fondamentali come l’acqua, l’energia, la giustizia. Hanno ribadito la necessità di tutelare l’ambiente di vita. La qualità dell’aria, dell’acqua, la qualità di ciò che mangiamo….La risposta migliore ad una stagione berlusconiana fatta di disprezzo della politica, di populismo, di eccitazione all’odio verso le idee diverse dalle proprie.
Come ha osservato Romano Prodi, il triplo turno delle elezioni amministrative e dei referendum dimostra che nel paese c’è voglia di buona politica che tende ad organizzarsi anche al di fuori dei meccanismi tradizionali della politica. Per noi la lezione è che il Pd vince quando è capace di mettersi in sintonia con questo spirito di cambiamento, offrendo la sponda di una proposta credibile di alternativa.
L’ondata di partecipazione popolare dimostra che c’è una voglia dell’opinione pubblica di riappropriarsi del proprio destino, di ritrovare il senso di una politica del bene comune : è la richiesta pressante di una politica mite, responsabile, seria. Quella di cui il paese ha bisogno.
C’è poi la riscoperta del ruolo del pubblico. Per una larghissima maggioranza degli italiani la cura e la tutela dei grandi beni comuni (siano essi quelli ambientali o quelli dei servizi essenziali alla vita come la sanità e l’istruzione) restano un grande valore collettivo in cui occorre che agisca la competenza e la garanzia della buona amministrazione pubblica, richiamata a nuove responsabilità.

Il secondo dato è che i referendum, con un'affluenza forte anche al Nord e tra gli elettorati di Lega e Pdl (che sono andati a votare a seconda delle stime in percentuali comprese tra il 40 e il 50%), non hanno seguito le indicazioni esplicite di Berlusconi e Bossi.
Come sostiene Diamanti , se le amministrative hanno rivelato la fine del mito psicologico di un centrosinistra condannato alla sconfitta e di un Berlusconi invincibile, i referendum hanno sancito la perdita di sintonia tra i due leader del forza-leghismo e l'elettorato della cosiddetta Padania.
È inevitabile che questo secondo elemento inneschi conseguenze politiche, a partire dall'aggravarsi delle tensioni interne alla maggioranza e dal palesarsi di una dialettica interna alla stessa Lega (vedi la scelta di Zaia di disobbedire platealmente alla linea di Bossi sul non voto).


A livello veneto:
Nei comuni oltre i 15 mila abitanti, il rapporto è di 3 a 3, con uno alle civiche. Perdiamo Rovigo (dopo una clamorosa rimonta) e Montebelluna, conquistiamo Chioggia e Cavarzere, mancando per un soffio la sfida ad Abano Terme.
Nel complesso, considerando i comuni già assegnati al primo turno, il Pd:
- Vince nella provincia di Padova in 8 comuni su 12.
- Vince nella provincia di Venezia in 6 comuni su 9.
- Contribuisce alla vittoria in provincia di Vicenza in 7 comuni su 11.
- Contribuisce alla vittoria in provincia di Verona in 5 comuni su 20.
- Vince nella provincia di Rovigo in 4 comuni su 8.
- Nella provincia di Treviso siamo sconfitti a Montebelluna e non protagonisti ad Oderzo, ma nel voto di lista alle provinciali osserviamo che il Pd supera il dato cumulato di Lega e razza Piave in comuni come Vittorio Veneto, e porta la coalizione nella città capoluogo quasi alla pari con il candidato del centrodestra.
Secondo le sintesi del politologo Paolo Feltrin, nei comuni veneti con più di 15 mila abitanti, il confronto con le elezioni regionali del 2010, evidenzia due tendenze:
Il centrodestra perde 13 punti percentuali, passando dal 59.2% al 46.9%.
Recupera il centrosinistra, con un aumento dal 36.7% al 39.4%.

Sia in Veneto che in Italia, la seconda sconfitta delle elezioni è la velleità del terzo polo: sostanzialmente non pervenuto.
Il caso di Chioggia non fa eccezione proprio perché l’Udc lì non ha scelto una strada solitaria, ma l’intesa col Pd.
Non c’è stato alcun valore aggiunto. L’Udc si è preso i suoi voti ed appare inesistente lo spazio politico per il Fli. Ed il fatto nuovo è che, a differenza delle scorse regionali, dove l’Udc si è alleato con noi non è andato male.
Segnale che i nostri elettori – quantomeno nelle elezioni amministrative – hanno già saputo mescolarsi.
Il sistema bipolare in questo senso ne esce rafforzato : invece qualcuno ha visto segnali di vitalità di “Verso Nord” o delle tante ipotesi cacciariane sulla necessità del centro?
Tanto più nella provincia di Treviso, dove l’uscita di qualche nostro esponente dal P.D. non solo non ha determinato alcuna perdita di consenso, ma anzi ha visto premiato in modo significativo proprio il Partito Democratico, con un netto miglioramento di percentuali rispetto all'anno scorso, e di voti assoluti rispetto a cinque anni. Evidentemente hanno premiato la compattezza della coalizione e dello stesso partito, la scelta di un candidato presidente di indiscutibile competenza e passione, la solidità della squadra.

La nostra offerta politica
Oggi più che mai è centrata per il Pd la scelta di mettere al centro del discorso politico i temi concreti: lavoro, fisco, innovazione per lo sviluppo, politiche di coesione sociale, attenzione ai conti dei comuni.
Se una cosa è dimostrata da questo voto, è che:
L’innamoramento del Nord verso Berlusconi e verso la Lega non è più scontato.
Il Pd è il perno solido del centrosinistra, che vince con un proprio candidato in 24 casi su 29 (tra comuni capoluogo e province che andavano al voto in cui ha vinto il centrosinistra).
Anche dove, come a Milano, il Pd non ha espresso il candidato, siamo il primo partito della coalizione (e per un soffio non il primo della città).
La questione del rapporto con diversi segmenti di elettorato (astenuti, centro) non si affronta solo con la geometria delle alleanze. Come ha notato Bersani, gli elettori del centrosinistra e quelli del centro in diversi casi si sono già saldati, anche senza che fosse stata siglata un'alleanza.

Ma ci sono alcune lezioni da trarre. Anche per la nostra regione.
La prima è il primato della politica, sulle liti interne: quando parliamo delle cose concrete, vinciamo e siamo il baricentro dell’alternativa.
La seconda è l’importanza delle primarie: da Torino a Bologna, da Milano a Trieste e Cagliari, le primarie sono state uno strumento potente di coinvolgimento, partecipazione e mobilitazione dell’elettorato. Persino il caso Napoli, con primarie usate come regolamento di conti interno, cioè in modo scorretto, è un’eccezione che conferma la regola.
In Veneto su questo abbiamo pagato un prezzo: elezioni primarie per lanciare la scelta dei candidati avrebbero potuto rafforzare la nostra proposta in più di una delle situazioni in cui abbiamo perso, e forse specialmente a Rovigo.
Per il futuro, laddove non si verifica da subito la possibilità di sparigliare il gioco con alleanze alternative, come quella di Chioggia, la strada di primarie aperte deve essere l’opzione da percorrere sempre: perché questo strumento è entrato nel dna del nostro elettorato.
Perché il Pd non ha alcun motivo (né politico né di aritmetica elettorale) di temerle.
Perché quando abbiamo in casa uno stallo politico o divisioni croniche, l'apertura alla partecipazione sono l'unica medicina.


L'autonomia dei livelli locali è essenziale : è stabilita dallo Statuto e vanno rispettate le nostre regole. Ma l'esercizio dell'autonomia va di pari passo con quello della responsabilità politica.
Errori ne sono stati commessi in questa campagna elettorale. Errori che , se commessi altrove, in un diverso contesto socio - politico, consentono comunque la vittoria del nostro schieramento.
Ma non qui. Nel Veneto non possiamo permetterci errori. Queste elezioni ci hanno consegnato un cambiamento di opinione nei nostri confronti, una apertura di credito e di fiducia che non avevamo fino a sei mesi fa.
Ma non sempre abbiamo saputo cogliere questo clima diverso.
Quando un Sindaco uscente si trova nella condizione di non poter o voler ricandidarsi, quando la maggioranza che lo ha sostenuto va in mille pezzi ed il PD resta da solo, quando scegliamo il candidato sindaco all’ultimo termine utile, dopo una estenuante lotta interna, quando un’intera classe dirigente si arrocca nelle sue decisioni – anche se assunte nelle sacre stanze - e non importa se i segnali del territorio e della società sono di tutt’altro avviso, allora a pagare dazio politico è il ruolo del Pd e del centrosinistra in quel territorio.
E’ nostra responsabilità guardare in faccia i nostri errori.
Non per individuare i capri espiatori sui quali scaricare ogni colpa ma perché non possiamo più sprecare le opportunità che gli elettori ci affidano.
Per questo chiedo un’autentica, aperta, libera discussione su questo voto.
Fra tutti i livelli, locale, provinciale e regionale.
Nei luoghi in cui si è perso. A Rovigo, a Montebelluna, ad Abano Terme. Circolo per circolo. Perché le ragioni della sconfitta vanno condivise. Insieme, dal livello locale, a quello provinciale e regionale. La segreteria regionale c’è, è pronta ad accompagnare questo percorso.
Solo così è possibile rilanciare l’azione del Partito Democratico e presentarsi pronti e competitivi alla prossima partita.
Anche qui nel Veneto, terra contendibile.