«Non siamo né dalemiani né franchi tiratori di Prodi»
La Nuova Venezia 25 aprile 2013
VENEZIA «Abbiamo bruciato la credibilità che avevamo come Pd nei confronti del Paese, oltre 10 milioni di elettori e dei nostri iscritti. Questa è la nostra più grande responsabilità. Oggi con l’incarico a Letta ne abbiamo un’altra, altrettanto grave: riconquistare la fiducia degli italiani, dare un governo al Paese». Chi parla è Michele Mognato, già segretario provinciale del Pd veneziano e neo parlamentare.
Mognato, ci spiega perché per un governo con il Pdl non andava bene Bersani e invece va bene Letta?
«Era stato dato mandato a Bersani di costruire una ipotesi di larghe intese sul presidente della Repubblica, perché questo poteva consentire un clima positivo per le riforme istituzionali che aspettano da vent’anni. E’ andata come avete visto, ora abbiamo la responsabilità di dare un governo all’Italia e di riformare questo partito. Aprire una fase nuova del Pd nel Pd».
Senza scissioni?
«Fase nuova del Pd nel Pd, per quel che mi riguarda. Io la tessera la faccio ogni anno, sto dentro al partito perché mi riconosco nella sua impostazione generale. Ma adesso bisogna riformarlo, perché si è aperta una grande questione morale: siamo in una fase in cui si vota a maggioranza e ognuno fa quello che vuole, si vota all’unanimità e ognuno fa quello che vuole. Ma che roba è mai questa?»
Chi non ha votato Prodi?
«Io sono alla prima esperienza in Parlamento, il 62% dei gruppi parlamentari sono nuovi, personalmente conoscerò appena il 10 per cento degli eletti. La mia sensazione è che dentro a quei 101 voti ci sia stato di tutto: chi ha pensato di trasformare l’elezione del presidente della Repubblica in un congresso di partito, chi aveva paura che con Prodi si andasse a casa, al voto anticipato».
Nel senso che Prodi avrebbe portato ad un governo di breve durata?
«Sabato pomeriggio Berlusconi ha fatto un comizio a Bari per dire no a Prodi altrimenti lasciava l’Italia. Posso immaginare che nei 101 franchi tiratori, o meglio traditori come li ha chiamati Bersani, ci sia dentro anche questa componente. E anche una parte di quelli che avevano sostenuto Rodotà, secondo me».
Lei viene dalla matrice storica del Pci: hanno dato la colpa ai dalemiani…
«A parte che D’Alema non è parlamentare, cosa che qualcuno dimentica, chi siano i dalemiani non so e non mi interessa saperlo. Io sostengo Bersani da sempre, prima ancora che venisse eletto Veltroni. Questo sono io». Hanno detto anche Fioroni e gli ex popolari.
«Non mi interessa, affari loro. Popolari o dalemiani, ognuno dica quello che ha fatto. Ma a mio modesto parere non c’è stata una regia singola, ci sono stati pezzi di dissenso che si sono trovati assieme».
Non sarà colpa della famosa fusione a freddo tra Ds e Margherita, ex comunisti ed ex democristiani, che non ha mai attecchito?
«Voglio ricordare che il sottoscritto nel 2005, all’epoca dello scontro a Venezia tra Cacciari e Casson, sosteneva Casson. Ma nel 2007 da capogruppo dei Ds in consiglio comunale a Venezia e da segretario provinciale dei Ds a quell’epoca, sono stato il primo in Italia a proporre per una grande città di costituire il gruppo dell’Ulivo. Questa è la mia storia, che è molto vicina a quella di Alessandro Naccarato: noi abbiamo seguito le indicazioni uscite dalle assemblee. Stiamo in un partito che discute, decide e alla fine vota. Da quel momento si sta alle decisioni della maggioranza. Questa è la nostra concezione del Pd».
Concetto ribadito dallo stesso Alessandro Naccarato, deputato padovano, in una nota in cui contesta la collocazione dalemiana in cui l’abbiamo erroneamente collocato (ce ne scusiamo).
«Il sottoscritto non appartiene ad alcuna corrente dalemiana ma soltanto al Pd. Io ho votato condividendo e rispettando le scelte dei gruppi parlamentari, per Marini nella prima votazione, per Prodi nella quarta e per Napolitano nella sesta».
Renzo Mazzaro