Pagine

29.7.09

Stefano Fracasso: dopo Puppato (e Causin, Meo, Stradiotto) spunta un'altra ipotesi di candidatura unitaria

Il Gazzettino Mercoledì 29 Luglio 2009

VERSO IL CONGRESSO
«Un sindaco segretario del Pd del Veneto»
Variati, Cacciari, Zanonato e Merchiori propongono Fracasso (fino a giugno primo cittadino di Arzignano)

Non si può continuare alla spicciolata. È meglio che il Pd assuma un aspetto unitario, almeno in Veneto. E l’unica figura che può garantire la coesione, perché attento ai sospiri della società, è quella del sindaco. Così per riportare ordine tra i democratici divisi in tre correnti che si giocano la segreteria nazionale e veneta, scendono in campo quattro sindaci di peso: Massimo Cacciari (Venezia), Achille Variati (Vicenza), Flavio Zanonato (Padova) e Fausto Merchiori (Rovigo) con un loro nome per la segreteria veneta: Stefano Fracasso, 45 anni, insegnante di liceo, guarda caso sindaco di Arzignano (Vicenza) dal 2004 al 2009. Non dire gatto se non l’hai nel sacco. Se ne ricorderanno di questo proverbio Marco Stradiotto, Piero Ruzante e Laura Puppato. Nelle ultime settimane i tre democratici sono stati al centro del dibattito nel Pd del Veneto in vista del congresso di ottobre, dopo quello nazionale. Ma come neve al sole, il trio sembra svanito. Comunque, poiché il termine per la presentazione delle candidature scade venerdì a mezzanotte, c’é tempo per vederne ancora delle belle, per assistere a salti mortali e a cambiamenti di opinione come è avvenuto per Massimo Cacciari, sindaco di Venezia. Anche in periferia come, al centro, si stanno dando battaglia tre candidato forti, ognuno con la propria visione di ciò che dovrà essere il partito: Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani e Ignazio Marino. In Veneto la gara si è complicata, soprattutto nell’area che fa riferimento a Bersani. Per Franceschini, con piena sintonia in tutta la "corrente", il più gettonato sembra essere il consigliere regionale Andrea Causin. Nella componente di Marino, non è ancora stata fatta una indicazione chiara; ovvero i due referenti veneti del cardiochirurgo prestato alla politica, i "piombini" Felice Casson e Marta Meo, hanno tentato si sparigliare le carte andando a pescare un’ipotesi di candidatura, a loro dire unitaria, nel campo avversario: Laura Puppato, sindaco di Montebelluna (Treviso), portabandiera di Bersani, che ha ottenuto un onorevole risultato alle ultime europee. Una forzatura dei "piombini" che ha indispettito i "bersaniani" di altre province che hanno atteso qualche giorno per poi scendere in campo in forze e mettere cappello, riprendendo una posizione centrale e propositiva grazie alla coesione che il Pd ha sia a Padova che a Vicenza. Un passo indietro. Il nome di Stradiotto era scaturito da un accordo tra il popolare Letta e il Ds Bersani. Poi i "piombini" hanno messo sul tavolo la «proposta unitaria» della Puppato, bocciata dal deputato padovano Margherita Miotto e dal sindaco di Padova Zanonato che ribatteva con l’ipotesi Ruzante. Per la Puppato si è speso anche Cacciari per una evidente sintonia di ruolo, ma ora per il primo cittadino di Montebelluna la strada è chiusa, sostenuta solo da una parte Pd di Treviso. Il caos imperversa. C’é bisogno di ricomporre le fratture e dare prova di un Pd del Veneto che sa costruire qualcosa di unitario. È proprio per la sintonia di ruolo, che Cacciari avrebbe accettato di firmare un documento comune con gli altri tre colleghi con la sponsorizzazione trasversale di Fracasso che sindaco è stato (promemoria: il popolare Variati è pro-Bersani, al contrario del collega Merchiori che appoggia Franceschini, l’ex ds Zanonato voterà per Bersani, Cacciari va annoverato tra gli spiriti liberi). Una iniziativa la cui spiegazione va ricercata, lo spiega lo stesso interessato che accetta la candidatura, «nel ruolo del sindaco, l’unico che può andare oltre il recinto del partito, presentandosi con idee per risolvere i problemi del cittadino». (Inciso: perché i franceschiniani dovrebbero accettare un candidato unitario? Meglio andare al confronto). Così dopo il movimento dei sindaci, si apre la strada al segretario-sindaco (ex). Un progetto, scrivono Cacciari-Merchiori-Variati-Zanonato, «che pone il Veneto come la frontiera più avanzata di sperimentazione dei processi di trasformazione del Paese». Anche in politica. Attraverso «le città che devono tornare protagonista dello sviluppo veneto e italiano e che sempre più rappresentano per i cittadini non solo un riferimento ma anche un modello amministrativo».
Giorgio Gasco

28.7.09

Tra Causin, Stradiotto, Meo spunta l'ipotesi della candidata unitaria Puppato

LA NUOVA VENEZIA MARTEDÌ, 28 LUGLIO 2009
Regione Cacciari candida la Puppato a governatrice
«È la persona giusta anche per guidare il partito. E per le primarie dicembre è tardi»

VENEZIA. Laura Puppato segretario regionale del Pd. E candidata del centrosinistra alle Regionali 2010. Il sindaco Massimo Cacciari rompe la breve tregua che si era dato e torna a parlare di politica, entrando a gamba tesa sul tormentone che agita ex diessini e margheriti tutti contro gli altri armati anche nella propria componente. Un appello quello lanciato ieri dal sindaco filosofo ai grandi capi del suo partito e ai suoi collghi del Veneto che a vario titolo hanno storto il naso di fronte all’ipotesi, lanciata dal senatore Felice Casson di una candidatura «super partes» come quella della sindaca di Montebelluna.

«Vedo una grande agitazione sul congresso del Pd», attacca Cacciari, «ma poca chiarezza. Proprio per questo occorre che alla guida del Pd regionale ci sia una figura nuova, in grado di introdurre una sostanziale novità anche nei rapporti con le altre forze politiche che sono in attesa di sapere cosa vogliamo fare».
«Come esperienza amministrativa, radicamento nel territorio, età e capacità dimostrata, oltre che per il grande risultato ottenuto alle Europee di giugno, mi pare che la persona giusta sia proprio lei, Laura Puppato».
Quanto alla cordata da scegliere per il segretario nazionale, Cacciari non si schiera.
«Non sono in grado di decidere, perché nessuno dei due ha parlato di programmi. Vedrò. Marino non lo conto perché ne ho grande stima, ma lui non è un candidato vero alla segreteria. Non si può costruire una candidatura monotematica».
Infine, le primarie.
«Dicembre è troppo tardi, i nostri candidati avranno poco tempo per la campagna elettorale. Bisogna fare le primarie in novembre. E tenere ben distinta la campagna per il segretario del partito da quella del sindaco. Con un percorso ben costruito e solido. E un candidato che non venga dai partiti».

(Alberto Vitucci)

18.7.09

Andrea Martella, Franca Donaggio e gli altri dirigenti del PD veneziano:gli schieramenti precongressuali

la Nuova Venezia — 18 luglio 2009
Pd verso il congresso, ecco con chi stanno i nostri big
Mitia Chiarin

VENEZIA. Entra nel vivo il congresso del Partito Democratico. Martedì si chiude la prima tappa. Vale a dire la campagna di tesseramento congressuale: solamente chi s’iscrive entro il 21 luglio potrà contare al fine dell’elezione dei candidati alle primarie di ottobre. L’obiettivo del gruppo dirigente veneziano è il raggiungimento di quota cinquemila tessere. Un traguardo comunque ben lontano dalla somma delle tessere che raccoglievano Ds e Margherita: circa 9 mila. I big veneziani del partito sono divisi tra Bersani e Franceschini. L’ex ministro diessino sembra il più «gettonato», ma con Franceschini si sono schierati parlamentari e sindacalisti. Anche Cacciari sembra preferire la candidatura di Dario.

Sfida tra dirigenti, ma crisi d'iscritti
la Nuova Venezia — 18 luglio 2009

Martedì si chiude il tesseramento e nel Partito democratico veneziano tira aria di congresso, riproponendo nuove divisioni nel gruppo dirigente. Duecento iscritti negli ultimi giorni, la stima è di un 10 per cento di tessere in più al conteggio finale, raggiungendo quota 5 mila. Martedì scade il termine per iscriversi al Partito Democratico e poter così votare, con la propria tessera, al congresso nazionale del partito. Duecento nuovi iscritti in dieci giorni portano a quota 4.400 i tesserati in Provincia. La previsione è di un 10% di tessere in più, dice il deputato Rodolfo Viola, responsabile del tesseramento. «Per fortuna qui non assistiamo alla corsa a tessere fasulle, come avviene da altre parti. Certo puntiamo ad aumentare gli iscritti al Pd - dice - ma il monitoraggio del tesseramento in vista del congresso ci dice che noi viviamo una situazione tranquilla». E questo è un fatto positivo per il coordinatore provinciale Gabriele Scaramuzza che si prepara a gestire con un ruolo «volutamente super partes», avvisa, le nuovi divisioni dentro al partito. La previsione è di chiudere a 5 mila iscritti e il Pd è ben lontano dai 9 mila che sommavano i Ds (6.500 tessere il dato dell’ultimo tesseramento) e la Margherita prima della fusione. Il sostegno a Franceschini del sindaco di Venezia Massimo Cacciari non è ancora ufficiale. Il filosofo critica la mancata scelta di un partito federale e avvisa: «Aspetto di vedere i programmi». Mercoledì 22 luglio, doppio appuntamento a Mestre con le prime assemblee delle nuove correnti interne al Pd, che scompaginano le vecchie divisioni tra ex Ds e ex Margherita. I sostenitori di Pierluigi Bersani, annuncia Davide Zoggia, si riuniscono al Candiani. A sostenere l’ex ministro delle Attività Produttive nel governo Prodi è la parte maggioritaria del Pd veneziano. Oltre a Zoggia lo appoggiano il prosindaco Michele Mognato; il capogruppo in Comune Claudio Borghello; gli assessori comunali Laura Fincato e Sandro Simionato e il vicesindaco Michele Vianello. E poi il consigliere regionale Giampietro Marchese; il coordinatore comunale Alessandro Maggioni e il consigliere provinciale Lionello Pellizzer. Anche la deputata Delia Murer ieri ha confermato il suo appoggio. Sul fronte dei circoli, c’è l’adesione del coordinatore di Marghera, Cossidente. A favore di Dario Franceschini troviamo il deputato Andrea Martella assieme ad una parte dei Ds e a Pier Paolo Baretta, capogruppo Pd della commissione bilancio alla Camera; il segretario della Cgil metropolitana Sergio Chiloiro, dirigenti sindacali di area Cisl e Uil. L’associazione «A Sinistra» di Valter Vanni si riunisce sempre mercoledì sera, ma nella federazione provinciale di via Cecchini. «Ho ascoltato le parole di Franceschini e riascoltato quelle di Bersani - ha annunciato ieri Vanni della Direzione regionale - Mi sembra più convincente il primo e quindi mercoledì all’assemblea proporrò di sostenere la candidatura di Franceschini». A sostenere Franceschini il gruppo dei «fassiniani» con Franca Donaggio, Lucio Tiozzo e altri. A favore di Ignazio Marino, terzo nella corsa alla segreteria del Pd, si sono schierati ufficialmente il parlamentare Felice Casson e Marta Meo della segreteria regionale. Non intendono svelare le loro intenzioni, per ora almeno, l’assessore comunale ex Margherita Enrico Mingardi, il presidente della Municipalità di Mestre Massimo Venturini, l’assessore comunale Mara Rumiz e il consigliere comunale Roberto Turetta che critica l’attuale situazione: «Non mi interessano le guerre di bande ma il confronto sui contenuti».
la Nuova Venezia — 18 luglio 2009
«Scelgo Dario per costruire un partito nuovo e unitario»

«Sostengo la candidatura di Dario Franceschini perché credo abbia il profilo giusto e le qualità adeguate per riuscire in questa impresa. A lui chiedo di realizzare ciò che Veltroni non è riuscito o non ha potuto realizzare. Superando limiti e insuffcienze di questi ultimi due anni». Parla Andrea Martella della direzione nazionale del Partito Democratico, e uomo forte del Pd veneziano a Roma. Al congresso sosterrà Dario Franceschini e s’impegnerà a fondo perché «le diverse posizioni che si confronteranno al congresso dovranno guardare anche al futuro, mantenendo la capacità di affrontare unitariamente le sfide del 2010». Vale a dire le elezioni Comunali a Venezia e regionali. ma cosa si aspetta dal prossimo congresso del Pd? «Il congresso dovrà finalmente sciogliere i nodi del riformismo moderno e contestualmente avere un’organizzazione moderna. Mi auguro che così si possa uscire dalla caricatura di un congresso in cui ci si divide tra chi è per un partito solido e organizzato e chi no. Tutti dobbiamo contribuire alla costruzione di un partito di circoli, che sia radicato sul territorio, aperto a nuove energie e strutturato su base federale con ampia autonomia regionale». Il congresso per Martella dovrà anche «definire una volta per tutte l’identità del Pd e formulare una proposta capace di far uscire il paese dalla crisi, non solo economica, in cui versa». Sulla questione delle alleanze, Martella chiarisce che «si tratta di tenere insieme una vocazione maggioritaria con la capacità di costruire alleanze con chi condivide un programma riformista. Senza tornare indietro ad alleanze litigiose e non in grado di governare». Per questa ragione, conclude Martella «è fondamentale che il congresso sviluppi un confronto vero ed aperto sul nuovo progetto che il Pd intende sviluppare nella società italiana».
(m.ch.)

17.7.09

Andrea Causin: con Dario Franceschini, l'appello

Il 14 ottobre 2007 milioni di italiani si sono messi in movimento e insieme hanno dato vita al Partito Democratico. Con le primarie e le elezioni politiche abbiamo visto quanti altri con noi hanno raccolto la sfida del cambiamento, di apertura della nostra società e della politica, di rottura degli schemi rigidi e anacronistici del nostro paese.

Al tempo stesso abbiamo constatato come quel consenso non fosse una cambiale firmata in bianco, ma una fiducia da riconquistare e alimentare di giorno in giorno.

Per farlo serve un partito che sia al servizio dell'Italia e degli italiani, di tutti gli italiani. L’esatto contrario, cioè, della politica di divisione sociale e di difesa del corporativismo che porta avanti il governo Berlusconi.

L’Italia ha bisogno di uno sviluppo economico nuovo, che faccia crescere tutto il paese senza giocare sulle sue divisioni. Ha bisogno di mobilità sociale e di un sistema di welfare inclusivo, capace di rispondere e tutelare le nuove fasce di povertà e di insicurezza, a partire da quella del lavoro precario.

L’Italia ha bisogno di scelte lungimiranti. Come, di fronte alla crisi economica, Obama in America ha proposto un’idea nuova di sviluppo che fa leva sulla green economy, sul futuro e la solidarietà nazionale, così in Italia il Partito Democratico deve mettere in campo una visione coraggiosa e nuova della società: aperta, giusta, libera, solidale.

Perché questa visione sia credibile, serve coerenza nei comportamenti e nell’azione di governo e amministrazione della cosa pubblica. Solo con la coerenza tra le parole che diciamo ed i comportamenti che mettiamo in atto, riusciremo ad aggregare tutti quegli italiani che sono già in campo, in prima persona, a partite da quelli che – spesso in solitudine - in questi mesi si sono opposti alle disastrose politiche del governo. Dal mondo della scuola ai pensionati, dai dipendenti alle piccole e medie imprese, c’è un’Italia che ha bisogno di risposte, che ci chiede e vuole costruire nuove risposte.
Per fare tutto questo, per vincere la
sfida del cambiamento, dobbiamo costruire un partito radicato che risponda alle nuove esigenze della società. Non c’è contrapposizione tra partito delle primarie e partito strutturato. La rete dei circoli, per quanto fragile, ha tenuto in piedi il partito in questi mesi. Le Feste democratiche e de l’Unità sono vissute come momenti e spazi collettivi, politicamente caratterizzati ma aperti a tutti e “interessanti” per tutti. Dobbiamo pensare i nostri circoli come luoghi utili alla collettività, dove ragionare di politica ma anche in cui trovare risposte concrete, momenti di socializzazione e servizi utili. Dobbiamo valorizzare il loro lavoro e renderlo possibile, dando loro strumenti, attenzione e rappresentanza reale, non solo "compiti" da svolgere. Dobbiamo ripensare lo strumento delle primarie, che deve però rimanere anche per la scelta della leadership nazionale, senza gettare via “il bambino con l’acqua sporca”.

Ma soprattutto il PD deve darsi una nuova identità, una nuova appartenenza che superi le vecchie. Ci sarà un partito strutturato e radicato, solo quando il PD smetterà di essere un partito di ex, ma avrà costruito una nuova compiuta identità democratica. Quando arriveremo ad essere tutti, semplicemente, democratici.

Due anni fa abbiamo iniziato un cammino collettivo che ha dato vita al primo grande partito di questo secolo. A noi stessi e all’Italia abbiamo promesso una nuova stagione. Oggi, e' Dario Franceschini ad incarnare questa idea.

In questi pochi, difficili mesi alla guida del partito, e' stato capace di dare unità al partito, di usare parole chiare e compiere scelte nette e coraggiose. Dovrà continuare a farlo, dovremo aiutarlo a continuare a farlo, con determinazione e coerenza.
Con Dario Franceschini, con l'impegno diretto di tanti di noi, possiamo dare gambe al percorso del PD e costruire un futuro per il nostro partito e per il nostro paese.

Vinicio Peluffo, Federica Mogherini, Andrea Causin, Francesco Ori, Luca Rizzo Nervo, Giorgia Beltramme, Andrea Catena, Stefano Fancelli, Pierluigi Regoli, Fabio Santoro

16.7.09

Andrea Causin: manifesto dei trentenni per Dario Franceschini

Europa 16 luglio 2009
Noi under 30 con Dario

La nostra sfida è avvicinare alla politica chi è distante, i tanti nostri coetanei che la percepiscono come qualcosa di inconcludente da cui stare alla larga.
Ma il punto di partenza deve essere chi c’è: quei ragazzi e quelle ragazze che, con una scelta controcorrente rispetto alla propria generazione, hanno deciso che vale la pena di mettersi in gioco, di provare a cambiare il mondo partendo dal proprio quartiere. Ragazzi e ragazze che hanno nel proprio vocabolario parole come “militanza”, “territorio”, “passione”, “partecipazione”, che conoscono la fatica della politica.
Siamo una generazione che esiste. Nel Partito democratico, nei suoi circoli, sui banchi nei consigli comunali, provinciali e regionali, nei suoi organismi dirigenti. Uno straordinario patrimonio di energie, impegno, fantasia e senso di appartenenza. Un buon punto di partenza per praticare un ricambio generazionale che non sia solo una operazione mediatica. Per costruire un Pd innovativo e moderno che parta dai suoi giovani per conquistarne dei nuovi. Per parlare a chi nei circoli non ci ha mai messo piede, per intercettare le aspettative, i bisogni e le speranza di una generazione di cui facciamo parte, di cui condividiamo le ansie ma anche la voglia di futuro.
Vogliamo parlare a chi ha la nostra età, chiamarli ad un impegno diretto accanto a noi, vogliamo convincerli del progetto del Partito democratico: pensiamo alle migliaia di professionisti in maggioranza “under 30” che lavorano nelle aziende italiane confrontandosi quotidianamente con la flessibilità, a quei giovani di talento delle factory che portano avanti progetti culturali creativi, ai ricercatori universitari che per amore della scienza e dello studio, resistono in Italia con paghe da fame, ai tanti giovani che hanno smesso di studiare e lavorano duramente senza interessarsi di politica perché pensano che non discuteremo mai di quello di cui parlano la sera a tavola: le tasse, come arrivare a fine mese, l’affitto da pagare, un frigo da riempire,la speranza di costruirsi una famiglia.
Di fronte ad una società più povera e smarrita, più incerta e insicura, una parte largamente maggioritaria delle nuove generazioni corre il rischio di avere un triste primato: quello di avere meno speranze di futuro delle generazioni che l’hanno preceduta. Viviamo in un paese a bassissima mobilità sociale in cui è altissima la probabilità che il figlio di un operaio faccia lo stesso lavoro del padre, nel caso riesca ad averlo, un lavoro. Un paese in cui il reddito e le condizione economica della famiglia è decisiva più del merito e delle capacità, nel determinare quale sarà il percorso di studi, il lavoro, le opportunità che potranno avere nella vita.
Vogliamo un partito che sia innanzitutto partito della società: che valorizzi le idee e le istanze dell’Italia giovane e nuova, che studia, intraprende, rischia: mettendo ogni giorno in gioco un pezzo di futuro. E ci candidiamo ad essere noi lo strumento per poter parlare a questa Italia, e a questa generazione. Perché si tratta della nostra Italia. E della nostra generazione.
Quella che ha assunto la dimensione del suo esserci dopo che a Berlino era caduto il Muro, che ha scelto il partito quando i partiti erano messi alla gogna, ed è cresciuta con i Simpson e con le notizie delle bombe a Palermo e Roma. La generazione che conosce la rete e le reti, gli sms e l’i-Pod, usa i social network e ha confidenza con i nuovi linguaggi del nuovo tempo.
E per dargli voce e rappresentanza, dobbiamo immaginare e costruire un radicale e ambizioso programma di trasformazione del nostro paese, riforme vere, concrete, profonde, diritti nuovi, esigibili, universali, libertà di scelta e autonomia, pari opportunità e un nuovo welfare, un nuovo patto tra le generazioni.
Una Italia del merito e dei talenti, che ha il coraggio delle riforme. Che risolve i problemi, che non si perde negli infiniti giri di una politica inconcludente e fastidiosa. Una Italia che sceglie, anche a costo di scontentare qualcuno. Che sa rompere i legacci che negano le opportunità, che libera l’avvenire delle generazioni future, che muove assedio alle mille caste, casematte e cittadelle dei privilegi nazionali.
Abbiamo la presunzione di credere che questa Italia inizia dal progetto di governo del Partito democratico, abbiamo la certezza di dire che per costruire questo progetto è da noi che si deve partire, senza inventare nulla. Non contro qualcuno, non per chiudere ad altri ciò che chiediamo sia aperto a noi. Intendiamo assumere le responsabilità del tempo presente senza paura di sporcarci le mani, con la consapevolezza che non si fa politica per governare, ma si governa per cambiare.
Crediamo nella forza della green economy, come motore dello sviluppo che sconfigge la crisi. Vogliamo un sistema del lavoro in cui le garanzie si ampliano e le risorse che finanziano i diritti si redistribuiscono. Pensiamo ad una nazione delle autonomie e dei piccoli comuni, che sappia scommettere su politiche che scoraggino il fenomeno della urbanizzazione selvaggia e dello spopolamento della provincia, della campagna e della montagna. Crediamo nella modernizzazione del paese, attraverso le infrastrutture, le energie rinnovabili, le nuove tecnologie, lo sviluppo industriale che sa rispettare il territorio. Crediamo in una democrazia matura, bipolare e parlamentare. E vogliamo una legge elettorale nuova che ci dia un parlamento di eletti e non di nominati.
Le energie nuove per realizzare questo progetto ci sono: è la generazione che esiste e che vuole far vincere Dario Franceschini.
Per continuare a rinnovare il Partito democratico, facendone un luogo aperto ed accogliente, che non sia solitario ma che trovi nella sua vocazione maggioritaria la forza dello stringere alleanze di programma e non di cartello. Per governare, non solo per vincere.
Ci rivolgiamo a quelli che si sentono parte di questa generazione che abbiamo evocato, a chi da tempo sente sulle mani la fatica della politica, a chi ha da sempre il coraggio un po’ anticonformista di scegliere la sezione invece del bar, un volantinaggio invece di una partita di pallone, una cena con il circolo invece di una serata in discoteca. Sappiamo che sono tanti e che hanno voglia di esserci, in questo tempo, che a molti pare cupo, ma che invece è emozionante. Perchè è tempo di ricostruire lo spazio della partecipazione democratica, di suscitare intelligenze e disponibilità per proseguire la strada di un partito che costruisce il domani salendo sulle spalle di una storia che ci rende forti e non nostalgici.
È la strada del Partito democratico, che vogliamo percorrere con tanti di voi, condividendo le difficoltà, confrontandoci sul futuro, assumendoci le nostre responsabilità di uomini e donne che credono nell’impegno. Consapevoli che il congresso del Pd sarà solo una tappa, anche se fondamentale, di un viaggio che conduce ad una Italia nuova.

Andrea Causin , Giacomo D’Arrigo, Antonio Iannamorelli, Gian Luca Lioni, Luigi Madeo, Dario Marini

15.7.09

PD Veneto: comincia la corsa alla successione a Paolo Giaretta

LA NUOVA VENEZIA mercoledì 15 Luglio 2009


SEGRETERIA DEL PD


Tra Causin, Meo e Stradiotto una corsa a tre

VENEZIA. Per il congresso regionale del Partito Democratico di ottobre si profila una sfida a tre dopo la rinuncia del segretario regionale uscente Paolo Giaretta.


L’ex Ppi e senatore Marco Stradiotto dovrebbe correre per l’area Bersani mentre tra i fans di Franceschini si indica come candidato il consigliere regionale, anche lui ex Ppi, Andrea Causin. Marta Meo, del gruppo dei “piombini”, potrebbe invece scendere in campo per Ignazio Marino.

Intanto, con l’apertura della fase congressuale, cominciano ad arrivare in Veneto i candidati alla segreteria nazionale. Ad aprire le danze domani, alle 17.30 a Venezia sarà Ignazio Marino.

14.7.09

Marco Stradiotto: PD, necessario voltare pagina

Partito Democratico, La svolta necessaria
In questi giorni moltissime sono state le analisi avanzate da giornalisti, parlamentari, amministratori locali (giovani e meno giovani), iscritti e simpatizzanti del PD. In tanti hanno cercato di sviscerare le ragioni di un risultato elettorale deludente, sia alle europee che alle amministrative.
I dati sono, in effetti, impietosi. Certo, l’affluenza è scesa molto, ma come non riflettere sul fatto che solo il 26,1% degli elettori ha votato PD contro il 33,2% delle politiche del 2008. Se ci concentriamo sul Nord, in particolare sul Veneto e sulla Lombardia, constatiamo che il PD è diventato il terzo partito, molto distanziato da PDL e Lega. In Veneto siamo al 20,29% contro il 26,5% di un anno fa. Ciò significa che su 100 persone adulte che incontriamo in strada solo 14,7 hanno votato PD. È una situazione inquietante. In questi anni, soprattutto negli ultimi mesi, ho percepito che stavamo perdendo il nostro blocco sociale di riferimento. Molti degli elettori ci hanno preferito Berlusconi, Bossi, Di Pietro, Casini. Oppure semplicemente hanno scelto di stare a casa.
Perché? Quali sono le ragioni di questa disaffezione? Io ho provato a darmi delle spiegazioni che sintetizzo così.
1. Il partito della “crisi”
In tempi di recessione molti dirigenti del PD hanno come dato l’impressione di “tifare per la crisi”, quasi che l’aggravarsi del disagio sociale potesse tradursi in un vantaggio elettorale per noi. Questa percezione, più o meno diffusa, ha fatto sì che italiani preferissero a noi chi comunicava loro messaggi di speranza e di ottimismo. Berlusconi nascondeva (e nasconde) la reale portata della crisi. Nello stesso tempo, Berlusconi ha accarezzato (e accarezza) ogni giorno l’orgoglio degli italiani. I nostri imprenditori, gli operai, la gran parte dei cittadini italiani sanno che la crisi non è finita e sanno pure che è destinata a durare a lungo, ma non sopportano quei politici che sulla crisi speculano allo scopo di strappare qualche voto in più. Prima o poi i nodi arrivano sempre al pettine. Tuttavia, se il PD non modifica l’approccio alla crisi, rischia un ulteriore calo di consensi. L’assurdo è, infatti, che molti scaricano la responsabilità di questa contingenza economica non su chi la governa, ma sull’opposizione. Bisogna cambiare passo e argomentazioni.
2. Il partito “imborghesito”
Il PD sembra sempre più un partito di nicchia. Un partito elitario, distante da chi soffre, distante da quella parte di società che fra mille difficoltà sta tirando la carretta. Lontano dagli operai, dagli imprenditori, dai disoccupati, dai pensionati, dalle casalinghe. Da quelle persone che passano notti insonni perché temono di perdere il lavoro o per il fatto che i soldi non arrivano alla fine del mese. Da quegli imprenditori che non vedono un futuro per la propria azienda e temono di dover licenziare i dipendenti con cui hanno lavorato gomito a gomito per decenni. Da quei titolari di aziende che rischiano di perdere tutto perché le banche hanno chiuso le linee di credito o perché la pubblica amministrazione paga una fornitura, o un lavoro, dopo molto tempo, anche dopo un anno. Mentre il popolo sconta gli effetti della crisi sulla propria pelle, il PD affronta temi sicuramente importanti, ma con nessuna aderenza alla vita concreta delle persone. Come se il partito fosse di un altro pianeta, parliamo di DICO, di PACS, di Testamento Biologico. E poi ci chiediamo perché gli operai non ci votano più. Prima di discettare dei diritti giusti ma marginali, affrontiamo i diritti fondamentali: il diritto al lavoro, il diritto a una vita dignitosa, il diritto alla sicurezza sul lavoro e nella vita di tutti i giorni, il diritto a uno stipendio equo.
3. La tentazione della battuta e politica dell'immagine
Immaginare di battere Berlusconi ricorrendo alla battuta facile e alla politica dell'immagine è un suicidio. Inseguendolo su questa strada, visti gli scarsi mezzi mediatici a nostra disposizione, e la pochissima attitudine di molti (anzi moltissimi) nostri dirigenti al loro utilizzo, saremo sempre e comunque su un terreno che non ci appartiene. Con il risultato di esporci, ancora una volta, a sicura sconfitta. Dovremmo riflettere, e riflettere molto seriamente, sul fatto che l'unico che è riuscito, in tutti questi anni, a battere Berlusconi è stato l'antidivo Romano Prodi: uomo serio, preparato, tosto, che, tuttavia, non aveva sicuramente dalla sua la caratteristica di essere un bravissimo comunicatore televisivo. Riusciremo a vincere solo nel momento in cui smetteremo di scimmiottare "malamente" il modo di fare del centrodestra. Dobbiamo avere la forza e la capacità di proporre leader seri e preparati, portatori di obiettivi ambiziosi e messaggi mirati che riescano a proporre e, soprattutto, a far capire la linea del partito.
4. Poche risorse per i territori
Nei suoi primi due anni di vita, il PD è stato diretto in modo assolutamente centralista. La gestione Roma-centrica di un partito che si dichiarava “leggero” e di questa leggerezza si faceva perfino vanto è stata una scelta sbagliata. Organizzare manifestazioni, sostenere giornali di partito, letti peraltro da poche migliaia di cittadini, drena milioni e milioni di euro, ma lascia a secco le segreterie locali, provinciali e regionali. Serve una rivoluzione. Il finanziamento pubblico deve essere girato alle organizzazioni decentrate in base all'entità dei voti raccolti, investendo in modo proporzionalmente maggiore nelle zone dove abbiamo ottenuto i risultati più deludenti. È assolutamente necessario che il PD diventi un vero partito federale, con una sua autonomia nella gestione finanziaria e nella proposizione di temi che interessano i territori e i loro cittadini.
5. Una scarsa cultura d'impresa
I mondi produttivi, le PMI, l'artigianato, l'agricoltura, il commercio avvertono il PD come distante. Lo vedono più vicino al pubblico impiego, vicino a quelle categorie che, sempre più, l'opinione pubblica giudica "parassitarie" piuttosto che alle forze più dinamiche del Paese, quelle capaci di affrontare rischi e in grado di trainare l'economia. Il PD ha nel suo codice genetico, nonostante molti lo neghino, una certa diffidenza verso l'imprenditore, verso il padrone o il padroncino. Non sono trascorsi troppi anni da quando alcuni leader del nostro partito definivano i piccoli imprenditori del Nord "egoisti evasori". Secondo voi quegli elettori hanno dimenticato queste accuse? No, vi garantisco di no. Esiste ancora molta diffidenza nei nostri confronti. Diffidenza ulteriormente accentuata dalla percezione di una vicinanza del PD anche alla grande impresa o a qualche illustre banchiere italiano. Chi rischia e suda tutti i giorni ha l'impressione che il nostro Partito sia amico solo di quella parte del Paese che, in giacca e cravatta, sfrutta quelli che, con la tuta da lavoro, si sporcano le mani per guadagnare la pagnotta. In questo schema è chiaro l'operaio voti con più probabilità la Lega o il PDL piuttosto che noi. Riflettiamoci.
6. La sicurezza tradita
I cittadini hanno paura. Quali che siano i dati sulla sicurezza, questa percezione è una realtà. Proviamo a frequentare le stazioni, i metrò, i mezzi pubblici, le aree più degradate e periferiche delle città italiane. Cerchiamo di comprendere lo stato d'animo di donne che vivono attimi di vero e proprio panico e che, quando arrivano a casa, accendono la tv e si trovano inondate da un'infinità di notizie che raccontano di fatti criminali accaduti nel corso della giornata. Che messaggio diamo noi, come partito, a queste persone? Normalmente siamo sulla difensiva: difendiamo i giudici che magari hanno lasciato a piede libero un delinquente o inflitto una pena irrisoria al "mostro" di turno. Così i cittadini, a torto o a ragione, preferiscono chi ha buon gioco a proporre la linea dura: senza distinguo, senza spiegazioni, senza argomentazioni sui limiti del nostro sistema penale. Certo, su questo terreno noi del centrosinistra ci portiamo dietro il fardello dell'indulto approvato nell'agosto di tre anni fa. Ci vorrà tempo per cancellare dalla memoria degli elettori questa responsabilità (votata anche da Forza Italia, ma in pochi lo ricordano) e per proporre un messaggio netto in grado di conciliare sicurezza e lotta all’esclusione sociale, rispetto delle regole e certezza del diritto.
7. Immigrazione, troppa confusione
L’immigrazione sposta oggi consensi e muove sensibilità. I populisti agitano questo tema, e la lotta ai clandestini, per ottenere facili vittorie elettorali. Eppure, al di là delle strumentalizzazioni, sappiamo tutti che si tratta di un fenomeno epocale frutto delle migrazioni di popoli sfruttati e maltrattati. Persone che scappano dalla morte e dalla fame, per cercare di sopravvivere e di garantire un futuro ai propri figli. Il PD in questi anni ha tenuto la posizione più corretta e razionale. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini non l'ha compresa o non l'ha condivisa. Mi è capitato spesso di parlare con nostri connazionali che hanno, in passato, vissuto l'esperienza dell'emigrazione. Ti aspetteresti persone tolleranti che capiscono e accettano il fenomeno. Invece, in molti chiedono rigidità e tolleranza zero. Questo soprattutto perché non concepiscono che "l'ospite" non rispetti le regole del Paese in cui si trova a vivere e perché ricordano che a loro non era concesso "nulla": bastava uno sgarro e subito erano rispediti a casa. Su questi temi il PD si è dimostrato incapace di comprendere che a pagare la mancanza di sicurezza e di regole sono stati soprattutto i più deboli, le persone che svolgono i lavori più umili, che si spostano sui mezzi pubblici, che frequentano gli ospedali. Che risposte diamo? Non possiamo fermarci alle enunciazioni di principio. L’integrazione deve essere la nostra unica parola d’ordine. Integrazione fatta di diritti ma anche di doveri. Primo fra tutti quello di rispettare le leggi italiane e di conoscere la nostra lingua e le nostre abitudini. Senza scommettere su questo tipo di integrazione saremo sempre sopraffatti dalla Lega che propone soluzioni inefficaci e razziste ma che almeno parla ai cittadini più deboli e dice loro esattamente quello che si aspettano di sentirsi dire.
IMPERATIVO: CAMBIARE!
È indispensabile voltare pagina. È indispensabile che la politica si avvicini ai reali problemi dei cittadini. Da qui deve ripartire il nuovo PD. Servono leader coraggiosi. Servono chiarezza, lealtà, trasparenza. Occorre spezzare l'equazione secondo cui politica significa opacità, slealtà, falsità, incoerenza. C’è bisogno di più umiltà e di una maggiore disponibilità nei confronti degli elettori e dei cittadini. Sul piano dei contenuti, dobbiamo ripartire dalle difficoltà dei più deboli, superando la vecchia divisione per classi, elaborando risposte concrete per tutte quelle persone che orgogliosamente stanno andando avanti fra mille difficoltà. Dobbiamo smetterla di frequentare i salotti, andiamo nei luoghi di lavoro, nei posti di ritrovo, nelle sedi delle associazioni di categoria. Troviamo soluzioni reali alle paure, all’immigrazione, alla criminalità, alla crisi. In tema di lavoro cambiamo passo e troviamo il coraggio di riconoscere che il rischio d'impresa non è sufficientemente considerato nel nostro Paese e dal nostro partito. Cerchiamo di stare alla larga dalla politica della battuta e dalla tentazione di dichiarare qualcosa tutti i giorni solo per finire sulle agenzie o sui giornali. Costruiamo piattaforme programmatiche articolate nell’impostazione ma semplici nella traduzione dei nostri messaggi. Cerchiamo per ogni problema una risposta chiave, sintetizzabile in poche parole, e realizzabile davvero. Rimettiamo in piedi un partito realmente federale che lasci autonomia finanziaria e politica ai singoli territori.
Abbiamo 100 giorni per proporre alla nostra gente il Partito che vogliamo. 100 giorni per costruire, finalmente, il nuovo PD.

Marco Stradiotto

9.7.09

Alessandro Maggioni: il punto della situazione sul PD veneziano


Guardiamo avanti
Ho letto e ascoltato con curiosità ed interesse le dichiarazioni post elettorali di questi giorni ed ho pensato che fosse arrivato il momento di condividere qualche mia riflessione per fare il punto rispetto ai risultati delle elezioni ma soprattutto per dare un contributo all’ormai aperto dibattito congressuale e al futuro del PD.
Sono convinto che se davvero si vuole costruire con solidità il PD del futuro si deve innanzitutto analizzare con serietà il risultato elettorale cercando di non applicare il tradizionale metodo analitico della politica per cui alla fine vincono tutti e non perde mai nessuno. E allora mi pare fin troppo evidente che usciamo da una tornata elettorale dalla quale emergono veramente pochi elementi dei quali rallegrarsi. Sento affermazioni, sia a livello nazionale sia a livello locale, che raccontano che abbiamo tenuto, che non siamo poi andati così male, che siamo riusciti ad invertire la tendenza… io credo si debba dire senza timori che abbiamo perso! Certo, per non voler a tutti i costi vedere tutto il bicchiere vuoto, possiamo dire che a livello nazionale il PD non ha avuto il crollo che molti paventavano e che ci avrebbe portato a chiudere l’esperienza del nostro partito. Ma mi pare che le soddisfazioni, se possiamo chiamarle tali, finiscano qui; cosa potremmo dire del resto di fronte ai numeri? A livello nazionale perdiamo 4milioni di voti e a livello Veneto ne perdiamo 700mila. Abbiamo tenuto??? Non è andata poi così male??? La cosa che più mi preoccupa non è tanto aver perso, ma il fatto che non si voglia vedere con oggettività il risultato; un comportamento che nasconde il rifiuto di prendere in considerazione il fatto che forse bisogna cambiare qualcosa, far tesoro degli errori e non “chiudersi nel fortino” per mantenere quello che si ha, quasi impauriti dall’avanzata del “nemico”… E’ la vecchia logica del “meno siamo meglio stiamo”, ma è una logica sbagliata! E’ quella logica che ci farebbe stare per sempre all’opposizione, è quella logica che proprio la nascita del PD voleva, e vuole (!), cancellare. Il progetto del PD era quello di un grande partito di popolo che si candidasse con convinzione al governo del Paese, che presentasse alle italiane e agli italiani la novità per un grande rilancio. E allora se questo è ancora l’obiettivo e la convinzione di ognuno di noi, e per me lo è certamente, dobbiamo dirci perché siamo arrivati a questo punto e proporre i modi per rilanciare questo grande, indispensabile, progetto per l’Italia.
Mi pare chiaro che i motivi della sconfitta sono diversi, ma molti, ritengo, riguardino noi stessi. Tra gli elementi che considero cruciali, sottolineo che: non abbiamo tenuto fede alle promesse di base: gli organismi regolarmente eletti a livello nazionale, regionale e provinciale nelle primarie del 2007 non hanno mai avuto modo di lavorare veramente. In particolare il livello nazionale, che avrebbe dovuto dimostrare di credere davvero ai meccanismi messi in piedi, ha preferito promuovere da subito, secondo una vecchia tradizione, organismi paralleli (caminetti vari) la cui logica di composizione e funzionamento è sfuggita sempre ai più. Ciò ha comportato un rapido allontanamento di molti che eravamo riusciti a far avvicinare;non abbiamo saputo rinnovare la classe dirigente: non solo il PD non ha saputo valorizzare le molte forze che si erano avvicinate con le primarie per rinnovare e rigenerare le sue forze interne, ma anche nelle partite amministrative e politiche ha dimostrato pochissimo coraggio aprendo solo rari spazi a persone nuove. Anche quando questo è avvenuto non è certo stato in forza di metodi trasparenti e condivisi dal territorio, ma sempre per diretta incoronazione del segretario o al più dei vecchi gruppi dirigenti o per fortunati colpi mediatici;non abbiamo saputo prendere posizione su temi fondamentali: quasi mai in questi mesi è uscita una posizione chiara del PD sui temi di attualità politica: penso all’immigrazione, alla sicurezza, ai temi etici, ai referendum, alla legge elettorale. Non abbiamo saputo darci un’identità forte e chiara, ma abbiamo continuato a disorientare gli elettori cambiando idea ogni momento, senza conquistare mai quella funzione di guida che un partito deve avere rispetto alla soluzione dei problemi della società;non abbiamo costruito una opposizione sui temi politici chiudendoci troppo spesso in una sterile, e perdente, critica a Berlusconi e ai suoi comportamenti;non abbiamo avuto capacità di comunicazione: oscilliamo sempre e ancora tra il non dare conto delle buone politiche che mettiamo in atto e il fare campagne sugli slogan; vale a livello nazionale come a livello locale. Continuiamo a comunicare al meglio le nostre divisioni, a indebolire le cose buone e non riusciamo ancora a far capire quanto in entrambi i livelli abbiamo cambiato nel Paese, nei territori, nelle città con il nostro operato; serve comunicare i nostri risultati, ma soprattutto la valenza sociale delle nostre azioni;non siamo più radicati sul territorio: come dimostra l'analisi del voto, il PD tiene là dove le vecchie strutture di base sono ancora in grado di fare un serio lavoro di porta a porta, sia nel dialogo quotidiano che nella gestione delle campagna elettorali; tiene dove i circoli funzionano e lavorano quotidianamente a contatto diretto con le persone. Questi territori sono sempre più ristretti perché la società è cambiata, certamente, ma anche perché nessuno fa più lavorare i circoli nell’elaborazione delle linee politiche e programmatiche.
Accanto al crudo, forse parziale, elenco degli errori occorre muoverci per guardare avanti; abbiamo bisogno di tracciare un percorso e di compierlo, abbiamo bisogno di fare e di essere credibili. Io credo ci siano alcune cose indispensabili che devono essere attuate:rinnovare nel metodo e nelle persone: dobbiamo cambiare! Non possiamo più limitarci a dirlo, ora dobbiamo farlo! E chi lo dice deve anche assumersi la responsabilità delle affermazioni che fa e capire che il rinnovamento non può riguardare sempre gli altri. Non intendo confondere il rinnovamento con il nuovismo e il giovanilismo spesso evocato in questi mesi, ma è indiscutibile che oggi ci sia a tutti i livelli una classe dirigente che va rinnovata e rigenerata. Dobbiamo selezionare personalità fresche e qualificate per farle entrare a pieno titolo nella vita del PD come dirigenti e come amministratori, non solo per farli andare a Roma o a Milano una volta a votare cose già decise da altri;mettere al primo posto il merito nella selezione delle persone alle quali affidare incarichi di governo nelle amministrazioni e nelle società partecipate nelle quali governiamo o aspiriamo a governare. Merito è la parola che deve fare da stella polare nel PD come segno della differenza nella scelta della classe dirigente fra noi e il centrodestra. Non dobbiamo farci prendere la mano e scegliere d’istinto soltanto un’immagine… dobbiamo valorizzare la capacità, la competenza, la serietà, la moralità come unici criteri che possono far coesistere esperienza e novità, vecchi e nuovi, passato e futuro. E’ evidente la necessità di far emergere, ora, subito, le molte energie che da anni si allenano a bordo campo e sono tenute in panchina. Il territorio trabocca di persone intelligenti e preparate. Bisogna avere il coraggio di mettere in panchina chi ha guidato la squadra fino a qui e che non ha più le energie per combattere in prima linea e mettere in campo forze fresche, capaci di generare un colpo d'ala. Ai capitani di lungo corso, bisogna chiedere di restare vicino ai nuovi per sostenerli in un percorso certamente difficile, ma possibile, di rilancio del centrosinistra nel Paese e nei territori;realizzare davvero il partito federale: fermo restando che un partito nazionale deve condividere tutte le istanze di base che qualificano la sua linea politica, va dato ampio spazio ai livelli regionali, provinciali e territoriali del partito per sviluppare un lavoro aderente alle realtà locali.
Ciò significa, oltre ad avere Statuti e Carte dei Valori autonomi in ogni regione, avere risorse economiche da gestire a livello locale che consentano di organizzare il lavoro attraverso strutture capaci di gestire la complessità (segreterie, comunicazione, gestione della rete, ecc); dobbiamo avere la forza di gridare che vogliamo decidere qui cosa si deve fare nel nostro territorio e chi si deve candidare;ricostruire il radicamento sul territorio: restituire ruolo agli iscritti e ai simpatizzanti del PD definendo una metodologia di partecipazione trasparente e chiara. Per fare questo è necessario completare lo Statuto nazionale con un Carta della Partecipazione del PD nella quale siano chiariti i principi della partecipazione, i ruoli di tutti gli attori (cittadini, iscritti, eletti, circoli), le modalità di confronto, la gestione dei risultati;c ostruire piattaforme programmatiche: dobbiamo coinvolgere tutte le forze che nel territorio possono essere disponibili a collaborare per costruire insieme i nostri programmi, le nostre scelte sui territori, le nostre proposte: non solo i partiti politici più vicini al PD, ma anche tutte le Associazioni, i Comitati, i rappresentanti di categoria e i cittadini in qualunque forma organizzata e riconoscibile;tornare a parlare con tutte le persone: non tutti hanno la possibilità, la voglia e gli strumenti per intervenire attivamente nella vita politica. Oltre a tornare a studiare direttamente la società e la sua composizione, vanno perciò riscoperte e aggiornate tutte le modalità di rapporto con i cittadini: le feste popolari, la capacità di andare incontro alle persone nei loro luoghi di lavoro e di vita, dobbiamo tornare in piazza, dobbiamo avere i gazebi ai mercati, sempre.
Il punto che ci distinguerà a livello nazionale e locale, nella crescita del partito e nelle prossime sfide elettorali starà nei fatti, nelle metodologie di lavoro che sapremo attivare (partecipazione, confronto, dialogo, trasparenza, valorizzazione del merito) e nelle persone che metteremo in prima fila per assumere responsabilità di dirigenza e di amministrazione. Le scadenze imminenti che ci aspettano saranno davvero decisive nel misurare la serietà delle nostre intenzioni: il congresso e il rinnovo dell’amministrazione comunale. Sono due scadenze che segneranno il futuro del PD ed il futuro di Venezia.
Il futuro del PD
Ricostruire il lavoro di squadra: sono convinto che sia arrivato il tempo di archiviare le velleità di leaderismo per tornare ad una dimensione di squadra del partito; una dimensione che è molto più vicina alla tradizione della nostra parte politica, fatta di persone che credono nel confronto e nella discussione democratica. Dobbiamo imparare a decidere, certo, ma senza ridurre all'inesistenza chi ha un'opinione diversa (noi non tappiamo la bocca a nessuno!). Abbiamo bisogno di un’organizzazione forte, di un partito vero.Affermare la laicità del PD: solo la costruzione di uno spazio laico può consentire di impostare e promuovere politiche che mettano al centro l’uomo e la società, in particolare in una realtà sempre più dinamica e complessa come la nostra. Non ci servono dogmi nei quali rifugiarci, ma confronti in campo aperto, nei quali le diverse istanze possano esprimersi per costruire e promuovere il rispetto delle scelte individuali e lo sviluppo sostenibile della nostra società.Valorizzare le radici popolari del PD: vanno corretti e rivisti tutti i meccanismi statutari che rendono difficile e inconcludente la partecipazione ampia degli iscritti e dei simpatizzanti alla vita politica del partito. Accettando e analizzando i cambiamenti avvenuti nella nostra società vanno reinventati i luoghi e i modi del dialogo. Dobbiamo avere l’umiltà di capire che i vecchi strumenti di lettura della composizione sociale dell’Italia, dei suoi bisogni e delle sue energie non sono più sufficienti per capire la realtà e avere con le persone un rapporto diretto, franco e schietto.
Il futuro di Venezia:
Un grande progetto di città: in un quadro regionale, nazionale ed Europeo molto cambiato, Venezia ha bisogno di rinnovare i propri obiettivi di sviluppo (Porto Marghera che cambia, il turismo come comparto consolidato dell’economia, la cultura come eccellenza economica e sociale, l’ambiente come motore di crescita, il polo universitario come opportunità di valorizzazione delle capacità delle nuove generazioni, una moderna mobilità perno dello sviluppo omogeneo ed unitario tra città d’acqua e di terra, le infrastrutture e l’intermodalità per l’integrazione con le reti regionali e locali dei grandi assi di comunicazione est-ovest, di porto e aeroporto, ecc), e di riaffermare i suoi valori urbani come cuore dell’area metropolitana. Negli ultimi 15 anni la città ha saputo affrontare alcuni problemi in modo eccellente, rigenerando interi quartieri, riscoprendo i valori di alcune aree dimenticate, facendo crescere aree verdi qualificate, offrendo servizi alla persona di primo livello, ecc. Ora è necessario guardare avanti e fare un nuovo sforzo per costruire una qualità diffusa alle aree residenziali (migliorare la qualità energetica e funzionale dell’edilizia costruita tra gli anni ’50 e ’70), migliorare e aggiornare la rete commerciale, continuare il progetto di restituzione degli spazi pubblici alle esigenze degli abitanti (piazze, spazi di gioco sicuri, sosta per gli anziani, piste ciclabili, ecc), migliorare le infrastrutture per la mobilità di merci e persone, attuare tutti i progetti di bonifica, ecc
Venezia città dell’eccellenza: non di elite ma di eccellenza.
Venezia è già oggi un punto di riferimento mondiale della cultura, per la sua storia e per quel che nel corso di tutto il ‘900 siamo riusciti a costruire. Grazie alla sua eccezionalità Venezia ha una grande forza mediatica che spesso siamo riusciti a giocare anche in campo politico sostenendo da qui campagne per la pace, per l’ambiente ecc. Ora Venezia, grazie anche al suo ambiente straordinario e “grazie” ai nodi che la crisi mondiale sta portando al pettine del nostro modello di sviluppo, ha la possibilità di costruire il suo futuro basandosi su alcuni punti di eccellenza: la cultura, l’ambiente, le energie rinnovabili, etc. La città, in tutte le sue parti, ha la possibilità di presentarsi come città d’avanguardia della green economy.
Un Sindaco normale: che non vuol dire di basso profilo ma che viva la normalità, i problemi della città e delle persone, aperto, con una cultura e un approccio nuovo alle istanze del territorio. Il Sindaco che dobbiamo candidare nel 2010 dovrà essere una persona che sappia costruire e tenere intorno a sé una squadra dotata di competenze, di capacità di dialogo e di ascolto, di una visione strategica (la Giunta, la macchina comunale, le Municipalità, le società collegate). Non basta una persona sola al comando, per quanto brava. Abbiamo bisogno di applicare qui tutta la nostra capacità di valorizzare le energie che il territorio sa esprimere. Un Sindaco che, forte di tutto questo, sappia coniugare le scelte legate alla prospettiva di sviluppo della città, agli interventi di vivibilità quotidiana richiesti dai cittadini.

8.7.09

Andrea Martella: la dirigenza PD ammette i gravi errori e guarda ad un Congresso di discontinuità col passato

Il Gazzettino 8 luglio 2009
Questo PD ha fallito. Serve un partito nuovo
Andrea Martella
(deputato del Partito democratico)


Nel dibattito precongressuale che accompagnerà il Partito democratico da qui ad ottobre è necessario partire da alcuni punti di verità.
Il primo ci impone di ammettere che l’‘Italia nuova’ dei democratici, quella evocata nell’atto di nascita del Pd, non l’abbiamo ancora costruita.; e se oggi guardiamo ai problemi del Paese, alle soluzioni che bisognerebbe dare e alla nostra forza reale, siamo ben lontani dal poterla costruire.
Eppure, la nostra missione è e resta quella, e cioè unire il cambiamento del PD alla modernizzazione e al cambiamento dell’Italia. In altre parole dare una nuova qualità alla democrazia per fare dell’Italia un Paese più giusto e competitivo.
È per queste ragioni che il congresso del PD non dovrà, non potrà rappresentare l’ennesimo momento di transizione, ma dovrà segnare al contrario una svolta vera che faccia uscire il partito dal terreno accidentato che ne ha fortemente rallentato il cammino e la crescita. Una svolta che faccia del Pd una formazione capace di interpretare le esigenze di una società in continua evoluzione e che lo renda finalmente credibile e attrattivo per le donne e gli uomini di questo nostro Paese. O il congresso sarà questo, o sarà stato inutile farlo.

È però inutile nascondersi che il Pd si appresta a cogliere questa sfida non in buona salute. La percentuale di voti raccolti alle ultime elezioni europee ha reso la sconfitta meno dura, ma non per questo meno evidente. Tuttavia, quel voto ha detto anche che il progetto del PD è e resta attuale. Il crollo di consensi dei partiti socialdemocratici europei, evidentemente percepiti come incapaci di dare risposte adeguate alla crisi economica, ha evidenziato come sia oggi più mai necessario un soggetto che vada oltre la sinistra tradizionale; in questo senso, il progetto del Pd ha in qualche modo anticipato l’esigenza di cambiamento rappresentata plasticamente dalla caduta dei progressisti in Europa. È per questo che è oggi necessario tornare al nucleo originario, superandone i limiti ed ampliandone le ragioni politiche e culturali. Non si può e non si deve tornare indietro .

Infine, sono a mio avviso almeno tre gli aspetti con i quali è urgente fare i conti:
  • Il Pd ha suscitato una speranza, ha evocato un cambiamento che poi non è riuscito a realizzare nei fatti. In sostanza, è come se non avessimo mantenuto le promesse. Il problema è stato ed è tutt’ora l’applicazione di quelle idee, di certo non l’‘amalgama’.
  • È doveroso fare i conti fino in fondo con il fatto che le tradizioni e le culture politiche da cui è derivato il PD hanno da tempo perso sia forza attrattiva che capacità di dare risposte adeguate. Ciò che è in discussione, adesso, è se siamo in grado di produrre un pensiero nuovo che parli ad un mondo nuovo. E dunque, ci sono nodi irrisolti da sciogliere una volta per tutte, pagandone il prezzo se necessario. Nodi che riguardano il profilo di un partito modernamente riformista: la libertà, il mercato, il valore dell’impresa, la sicurezza, l’università, l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione, la giustizia e, ovviamente, la laicità. Da questa impasse non si esce né solo rimescolando le alleanze né accentuando l’antiberlusconismo, ma solo aumentando la nostra capacità di proiettare più avanti testa e cuore. Insomma, bisogna dire finalmente cosa vuole essere il PD declinandone la carta di identità con proposte forti, parole chiare, messaggi reali.
  • Dobbiamo, infine, fare i conti fino in fondo con il fatto che il progetto non è decollato anche perché il gruppo dirigente non è riuscito a dare lo slancio necessario a trasmettere lo spirito di innovazione e la spinta a guidare il cambiamento. Ecco perché dobbiamo costruire oggi una leadership in grado di interpretare, incarnare e realizzare quel cambiamento. La rottura con il passato è questa e non semplicemente una dinamica un po’ asfittica e troppo riduttiva tra vecchio e nuovo. Una rottura in grado di costruire un partito autonomo, che competa con il governo e lo sfidi sul terreno della modernizzazione e delle riforme. Questa deve essere la missione che il Pd deve darsi. Alla luce dei nostri valori e delle nostre idee.

7.7.09

PD veneziano: gli schieramenti in vista del congresso

la Nuova Venezia — 7 luglio 2009
Bersani o Franceschini, i big si schierano

VENEZIA. Un congresso strategico. Che avrà riflessi non soltanto sulla politica nazionale, ma sul futuro prossimo di Comune e Regione. Dopo la batosta alle Provinciali il Pd veneziano prepara la rivincita. La ri-fondazione del partito Democratico si farà a ottobre, nel primo vero congresso del nuovo soggetto politico fondato da Veltroni al Lingotto. C’è tempo fino al 21 luglio per iscriversi - e dunque per avere diritto di voto - il 23 saranno depositate le candidature e i programmi. Quindi i congressi di circolo (in settembre) e le primarie per scegliere il segretario, il 25 ottobre.
Le grandi manovre sono già cominciate, e le «truppe» si stanno schierando. Sarà un congresso aperto ai nuovi iscritti, ma intanto i «big» si stanno posizionando. E le sorprese non mancano.
La gran parte degli ex ds, fassiniani e dalemiani (Michele Vianello, Davide Zoggia, Michele Mognato, Delia Murer, Sandro Simionato, Gabriele Scaramuzza), ma anche gli ex rutelliani della Margherita (Laura Fincato, Piero Rosa Salva, Claudio Borghello) e i fedeli della mozione Letta (Maggioni, Stradiotto, Boldrin) stanno con Pierluigi Bersani. L’ex ministro che viene dal Pci, intende allargare le alleanze e non dispiace agli industriali. Con lui si stanno schierando anche molte nuve leve del Pd, come i giovanissimi Trabucco e Rosteghin.
Con il segretario della transizione Dario Franceschini, che fu vice di Veltroni, rimangono gli stati maggiori dei Popolari, a Venezia Rodolfo Viola e Annamaria Miraglia. Ma anche il parlamentare Andrea Martella, già braccio destro di Bersani, l’ex presidente dell’Actv Valter Vanni.
Pochi finora hanno espresso il loro sostegno alla terza via, quella della laicità incarnata dal chirurgo Ignazio Marino. Con lui si schiera Marta Meo insieme a un gruppo di giovani del partito, mentre il senatore Felice Casson ancora non ha scelto.
Schieramenti spesso trasversali, che rimescolano gli antichi partiti di provenienza. «Questo è senz’altro salutare», dice il segretario provinciale del Pd Gabriele Scaramuzza, «è ora di parlare di programmi e scendere di nuovo in mezzo alla gente». Nonostante sia nota la sua preferenza per Bersani, Scaramuzza si è impegnato a mantenere un ruolo di garanzia in questi mesi. «Dovremo anche tener fuori dal dibattito delle correnti alcune questioni come le candidature per il sindaco e la Regione, il programma. Solo così, recuperando un dibattito interno basato sui programmi e non sulle persone, evitando errori fatti nel passato, potremo recuperare credibilità nel nostro elettorato».
Primi passi verso il congresso, dunque. Con il pensiero di tutti rivolto alle aministrative della primavera 2010.
(a.v.)

5.7.09

Gabriele Scaramuzza: una task force per le prossime scadenze elettorali

Il Gazzettino Domenica 5 Luglio 2009
LA DIREZIONE
Scaramuzza: «Un team di 20-30 persone per le elezioni cittadine»

Oltre tre di discussione, una trentina di interventi. E al termine della direzione provinciale del Pd, riunita l’altra sera a Favaro, la proposta del segretario Gabriele Scaramuzza: «Si è detto che il partito deve essere più presente sul territorio. Bene: organizziamo delle assemblee di area, una per ogni comprensorio, dal Portogruarese al Chioggiotto, per mettere a fuoco l’agenda politica di ogni specifica zona».
E a prescidere dalla fase congressuale - ha detto Scaramuzza - il Pd dovrà cominciare a preparare le elezioni comunali di Venezia: non solo le primarie, ma soprattutto «un progetto di città» e «una squadra di 20-30 persone che su quel progetto lavori».
Per le elezioni regionali, sempre nel 2010, Scaramuzza ha chiesto di «costruire un contributo come partito veneziano alla proposta complessiva che noi faremo al Veneto, consapevoli di quanto pesante sia la distanza rispetto al centrodestra, ma che è proprio da qui che si potrà misurare la nostra capacità di essere di nuovo interlocutori reali e capaci, sui molti temi delle economie, delle infrastrutture, delle pianificazioni territoriali e d’area.
*************
la Nuova Venezia — 05 luglio 2009
Pd, al congresso senza divisioni

Per garantire la migliore scelta sul futuro candidato sindaco, il Pd veneziano metterà da parte le divisioni in vista del congresso nazionale. Una commissione di lavoro aiuterà questo meccanismo, garante il coordinatore provinciale. Il progetto si concretizzerà al prossimo direttivo prima del 20 luglio.
E’ la novità emersa dal direttivo provinciale del Pd veneziano. Dibattito durato ore, una trentina di interventi aperti dalla relazione del segretario provinciale Gabriele Scaramuzza. Hanno preso la parola in molti: da Pier Paolo Baretta a Valter Vanni, Paolo Costa, Michele Mognato. In primo piano la sconfitta alle elezioni provinciali di Davide Zoggia (che sarà capogruppo del partito in Consiglio).
Il Pd ha bisogno di tornare a lavorare sul territorio, ha ripetuto Scaramuzza, e il buon esito del voto a Venezia, ha segnalato Mognato, non deve far pensare che sia facile vincere alle Comunali del 2010. «Molti hanno sottolineato la necessità - dice Scaramuzza, l’indomani - di lavorare sulla scelta dei candidati sindaco a Venezia, mettendo da parte le divisioni sul prossimo congresso e io mi sono impegnato a far da garante».
Per Scaramuzza i candidati dovranno esser massimo 3,4, collegati a progetti e a squadre per una nuova idea forte di città. «Se sono rose fioriranno - commenta Valter Vanni - l’invito che abbiamo fatto in tanti, dal sottoscritto a Baretta, da Ribon a Costa per una gestione ordinata delle prossime primarie è stato accolto bene».
(m.ch.)

Il PD veneziano verso il congresso: Franca Donaggio è per Franceschini


Il Gazzettino Domenica 5 Luglio 2009

Una cosa è certa: chiunque vinca il congresso, per il Partito democratico veneziano non si potrà più usare il vecchio gergo. Non esisteranno più le categorie degli ex Margheriti e degli ex Ds. E men che meno ci si potrà rifare a quelli che un tempo furono i disgiunti e i cassoniani e i cacciariani. Ci saranno "amici" che si divideranno e "nemici" che si riavvicineranno. E singolari anomalie rispetto al resto d’Italia, motivo per cui Venezia rischia di essere, un’altra volta, laboratorio politico.
A partire dalla Cgil, visto che qui una parte del sindacato potrebbe schierarsi non con Pierluigi Bersani, bensì con Dario Franceschini. Paolo Nerozzi, ex segretario della Funzione pubblica, eletto parlamentare proprio qui, si è già pronunciato. E altri potrebbero seguirlo.
Il rimescolamento politico parte col congresso. I candidati alla segreteria nazionale sono quattro. C’è Dario Franceschini, appoggiato da Veltroni, Fassino, dai popolari di Marini e Fioroni, da Rutelli. C’è Pierluigi Bersani, che ha il sostegno di D’Alema, Enrico Letta, Rosy Bindi. C’è Mario Adinolfi. E c’è Ignazio Marino in ticket con Giuseppe Civati.
Si fa prima a partire da quest’ultimo tandem, se non altro perché a Venezia ad appoggiarlo non è una folla: la "piombina" Marta Meo prima di tutto, già proiettata verso un ruolo di referente per il Veneto. E forse Felice Casson, anche se il senatore non ha ancora sciolto le riserve. Dei supporter veneziani di Adinolfi al momento non c’è traccia.
E così si arriva alla suddivisione più marcata, quella tra i pro Franceschini e i pro Bersani. Il capitolo numero uno riguarda gli ex Diesse. Che dovrebbero teoricamente stare tutti con l’ex ministro Bersani. Ma non è così. E l’aspetto curioso è che chi adesso sta Bersani, prima stava su fronti opposti. Ad esempio, per l’ex ministro si ritrovano fianco a fianco il vicesindaco Michele Vianello e il prosindaco Michele Mognato (che nel 2005 correvano separati: il primo per Cacciari, il secondo per Casson). Con Bersani sta l’ex presidente della Provincia Davide Zoggia. Ma anche l’assessore Laura Fincato e con lei il capogruppo del Pd a Ca’ Farsetti Claudio Borghello. Si dirà: il gruppo di Treu/Fincato con Bersani? No, perché Treu starebbe con Franceschini. E con Franceschini stanno anche altri ex diesse (da più parti così definiti: insensibili al richiamo della foresta): la fassiniana senatrice Franca Donaggio, il consigliere regionale Lucio Tiozzo. Ma è soprattutto Andrea Martella, il deputato che a lungo aveva caldeggiato - come del resto il sindaco Massimo Cacciari - la terza candidatura, quella di Sergio Chiamparino, a rompere gli schemi degli apparati querciaioli: Martella sarebbe infatti propenso ad appoggiare Franceschini e non Bersani.
Valter Vanni ancora non si è pronunciato: l’associazione "A sinistra" si riunirà giovedì per valutare i programmi dei candidati. Se Vanni e il segretario della Cgil Sergio Chiloiro dovessero decidere - come pare - di stare con Franceschini, per il Pd veneziano sarebbe un ulteriore rimescolamento. A cominciare, come detto, dal sindacato: per Franceschini già si è espresso Nerozzi, ma anche Sergio Cofferati, oltre all’ex segretario della Cisl Pier Paolo Baretta. Con l’attuale segretario sta buona parte degli ex dielle: il deputato Rodolfo Viola, il consigliere regionale Andrea Causin, il consigliere provinciale Andrea Ferrazzi.
In sintonia, invece, i vertici del partito: con Bersani il segretario comunale Alessandro Maggioni (come gli altri "lettiani", a partire dal senatore Marco Stradiotto), e il segretario provinciale Gabriele Scaramuzza (che ufficialmente però non si pronuncia).
E Paolo Costa? «Devo decidere se morire ex democristiano o ex comunista? Mah, preferisco aspettare il quinto uomo».

Alda Vanzan

4.7.09

Gabriele Scaramuzza all'assemblea provinciale del PD: si riparte da quì


Il Gazzettino Sabato 4 Luglio 2009
Senza idee nuove si perde Venezia
Assemblea del partito Democratico tra preoccupazioni e voglia di riscatto. "Subito una svolta"

Uno “straordinario recupero” al ballottaggio con la conquista di alcuni Comuni, punto di partenza per le elezioni comunali e regionali del 2010, e per le imminenti scadenze della stagione congressuale. A sentire le parole del segretario provinciale Gabriele Scaramuzza e dell’on. Rodolfo Viola, che ieri sera all’auditorium di Favaro hanno aperto la direzione provinciale del Pd aperta ai segretari di circolo e ai candidati, sembrava quasi che il centrosinistra le Provinciali le avesse vinte.
A dare una scossa alla platea sono state le zanzare e gli interventi in rapida successione di Paolo Costa e Valter Vanni, che qualche sassolino nelle scarpe lo avevano, eccome. “Il vero dramma – ha esordito il parlamentare europeo uscente – è che il Pd rispetto allo scorso anno ha perso a livello nazionale due milioni e 250mila voti”. E che, ha ripreso Vanni, anche lo scorso anno dopo il ko elettorale ci si consolava annunciando un’imminente ripresa che non c’è stata. “Di questo passo – ha aggiunto l’ex presidente dell’Actv – si rischia di perdere anche Venezia cullandosi sui dati della tenuta del partito in città. Perché il vero problema è che il Pd non è ancora nato e va fondato”.
E per rimanere in città, se il prossimo anno si vuole vincere, prima di pensare ai congressi e al numero dei tesserati da comunicare a Roma – in provincia attualmente sono 4.100 – bisogna cominciare a elaborare un programma con un apposito gruppo di lavoro. “E smetterla di scimmiottare la Lega – ha aggiunto Costa – con il partito del Nord e il federalismo. Tanto si sa che le copie non sono mai come gli originali”.
Il day after del centrosinistra, che dopo 25 anni ha dovuto cedere la Provincia di Venezia, è dunque cominciato. Con il segretario uscente, sul quale pendeva una mozione di sfiducia che la minoranza aveva preparato alla vigilia del direttivo, pronto a elencare la base dalla quale ripartire, con un’analisi del voto che ha rilevato la debolezza del partito nel Veneto orientale ma anche nelle nuove aree urbane e nei quartieri popolari.
Uno scenario che nemmeno il lavoro svolto dal candidato Davide Zoggia, seduto in ultima fila e più volte ringraziato nel corso degli interventi, ha potuto ribaltare. E se Zoggia sarà, in base a quanto stabilito dalla riunione dei nuovi consiglieri provinciali che ha preceduto l’assemblea, il capogruppo del Pd a Ca’ Corner (con Diego Vianello, area Margherita, vice), idee e programmi per rilanciare il partito a Venezia e nel Veneto rimangono al momento ancora tutti da costruire. Con l’estate di mezzo e la stagione congressuale da avviare, in periferia e poi a livello centrale, per dare fisionomia e prospettive all’azione politica del centrosinistra

Alberto Francesconi

3.7.09

Gabriele Scaramuzza: il PD veneziano deve cambiare

la Nuova Venezia — 3 luglio 2009
«Il Pd per non morire deve cambiare»

Mitia Chiarin
Monta l’insoddisfazione dentro il Partito Democratico veneziano che cerca il rilancio dopo la sconfitta alle Provinciali. Stasera alle 20 all’Auditorium di Favaro si riunisce la direzione provinciale.
Gabriele Scaramuzza ribadisce di esser detto pronto alle dimissioni e al partito, già lanciato nel toto-candidato sindaco in vista del 2010 (in lizza ci sono tra gli altri Mingardi, Ferrazzi e Mognato) chiederà stasera uno sforzo per rilanciare l’attività politica e per scegliere candidati nuovi e autorevoli alla poltrona di primo cittadino per le Primarie di coalizione del prossimo autunno.
«Arrivare alle Primarie con sei candidati è un segno di debolezza. Bisogna puntare su tre nomi forti con un progettodi città collegati ad una squadra di nomi», dice Scaramuzza.
I mali di cui soffre il Pd veneziano oramai sono noti. «Manca al Pd una identità ben definita ed una credibilità territoriale. Mali che, per un effetto a cascata, finiscono col coinvolgere tutto il centrosinistra», è l’analisi del sociologo Gianfranco Bettin, esponente dei Verdi.
«C’è un problema di radicamento e di contatto con parti della società, come i lavoratori precari - continua Bettin - E poi la leadership: c’è la necessità, come sottolinea Ilvo Diamanti, di puntare sui migliori. Non significa giovani e donne ma persone davvero capaci».
Per Bettin il Pd a Venezia deve saper recuperare i valori del Pci e del movimento operaio «non autoreferenziali e settari, che hanno avuto in Gianni Pellicani, l’ultimo grande interprete», e dall’altra, dei cattolici democratici dentro e fuori la Dc. «Un patrimonio straordinario da collegare a quei molti iscritti che non vengono dai partiti precedenti e credono nella forza riformista del Pd».
Temi questi su cui Gabriele Scaramuzza concorda. «Siamo percepiti come un partito che non sa dare risposte concrete alla società». Il coordinatore comunale Alessandro Maggioni la pensa nello stesso modo, ma lui non intende dimettersi, chiarisce subito. «Manca il dialogo con parti della società, dai lavoratori precari agli imprenditori e categorie. Dobbiamo toglierci l’etichetta elitaria e ascoltare la gente, tornare nei luoghi di lavoro. Lo dovranno fare i candidati sindaco. Comunque la sconfitta alle Provinciali non può avere un capro espiatorio, quindi invito Scaramuzza a non dimettersi».
Il partito si prepara al prossimo congresso. Il 21 luglio scade il tesseramento, il 24 si chiudono le candidature per i congressi nazionali e regionali. Entro fine mese, spiega Maggioni, via agli incontri con i partiti della coalizione di centrosinistra in vista delle primarie per il candidato sindaco, previste in autunno.
Una ipotesi è anche quella di un Primarie Day il 25 ottobre, unendo la scelta del segretario nazionale con quella del candidato sindaco.