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24.11.10

Il PD Veneto rilancia la sua proposta per il Nord a Vicenza

la Nuova Venezia — 24 novembre 2010

Il Pd nordista nasce a Vicenza. Senza Bersani

VENEZIA. Il Pd veneto prova a ripartire e chiama raccolta tutte le energie “sopravvissute” al tonfo elettorale di marzo. Lo farà sabato, a Vicenza, con una convention dal titolo allusivo - «Il Veneto che soffia in Italia» - sul cui esito il gruppo dirigente investe gran parte delle sue chances. Lo farà perché non si rassegna a recitare un ruolo marginale nel cuore del Nordest. Lo farà in assenza del segretario Pierluigi Bersani che, a sorpresa, ha declinato l’invito. «C’è rammarico e anche un pizzico di delusione», ammette il segretario regionale Rosanna Filippin che più di altri ha lavorato per questo obiettivo «perché a Vicenza Bersani avrebbe assistito a una manifestazione di vitalità del Pd. Inoltre, c’era l’occasione di lanciare un segnale di vicinanza a questa città e a questo territorio in un momento difficile. Certo, la crisi di Governo incombe e gli impegni di un leader sono tanti, però... ». Il però proviamo a tratteggiarlo noi. Il meeting di Vicenza ha un’impronta dichiaratamente pragmatica e focalizza l’esperienza democratica di governo nel Veneto: a spiegare «come si vince e come si amministra» non saranno i capi del partito ma i sindaci: Flavio Zanonato (Padova) e Achille Variati (Vicenza), Laura Puppato (Montebelluna) e Roger De Menech (Ponte di Legno); nonché il presidente della Provincia di Rovigo, Tiziana Virgili. Esempi controcorrente in un’area a forte vocazione leghista, dove le tradizionali parole d’ordine della politica progressista sembrano smarrire appeal ed efficacia. C’è un retropensiero che ispira la convention vicentina. E’ quello illustrato a più riprese da Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino e presidente dell’Anci che concluderà i lavori: è l’idea di un partito democratico del nord, federato al nazionale ma autonomo nei suoi processi decisionali sul territorio, capace di intercettare - e di tradurre in iniziativa politica - bisogni, idee e volontà che a Roma giungono in forma di eco, attenuato e spesso marginale. «Sì, io credo fortemente nel modello di un partito nordista che dica la sua senza mascherarsi né chiedere il permesso», commenta Rosanna Filippin «è il Pd del fare, quello che vogliamo». Lo vogliono proprio tutti? «Avverto un ampio sostegno intorno al progetto, qualcuno che dissente c’è e ci sta». Perché non è questione di correnti interne - il vertice veneto è schierato senza tentennamenti con Bersani - ma di prospettiva. Il successore di Walter Veltroni al timone della maggiore forza di opposizione non condivide affatto l’assetto federalista caldeggiato dai compagni del nord: «Noi siamo una grande forza nazionale», ha scandito «non una confederazione di partitini locali». Tant’è. Sabato, alla Fiera di Vicenza, saranno quattro i temi in primo piano: lavoro e crisi economica, fisco e autonomie locali, scuola e integrazione. L’obiettivo è formulare proposte convincenti e veicolarle in altrettante campagne di opinione e di mobilitazione. «Sono presuntuosa, un giorno arriveremo a governare il nostro Veneto», si sbilancia la Filippin. Presentuosa, sì.
Filippo Tosatto

23.11.10

Roma 11 Dicembre: si mobilita anche il PD provinciale



Care Democratiche e cari Democratici,

pur consapevoli dell'impegno richiesto in queste settimane per l'organizzazione dell'iniziativa del "porta a porta", vi chiediamo di prestare particolare attenzione alla manifestazione nazionale dell'11 dicembre, anche alla luce del voto di sfiducia/fiducia al Governo che il 14 dicembre ci sarà alle Camere.

Vi invitiamo, pertanto, a mobilitarvi per garantire una presenza significativa dei democratici della provincia di Venezia alla manifestazione.


Il Partito nazionale sta, al riguardo, predisponendo dei treni speciali con accesso gratuito, gli orari e le stazioni di partenza vi saranno comunicati non appena disponibili.

Vi chiediamo, quindi, di inviarci via mail un primo elenco delle adesioni che raccoglierete tra iscritti e simpatizzanti ENTRO MARTEDI' 30 NOVEMBRE.

Vi alleghiamo il volantino della manifestazione e vi ricordiamo altresì l'Assemblea regionale di sabato 27 a Vicenza.

Cordiali saluti.

Il Segretario Provinciale
Michele Mognato
Il Responsabile Organizzativo
Claudio Bertolin

22.11.10

"Porta a Porta" provinciale: oltre 200 iniziative in tutti i Comuni

Dario Franceschini incita il Pd veneziano
la Nuova Venezia — 22 novembre 2010


Almeno duecento persone, molte rimaste in piedi, hanno affollato ieri il centro culturale S.Maria delle Grazie per l’incontro organizzato dal Partito Democratico veneziano con Dario Franceschini, capogruppo alla Camera del Partito Democratico. L’appuntamento con il titolo «L’Italia merita un governo migliore» ha visto Franceschini intervenire sui temi nazionali e sulla crisi di governo che dovrebbe concretizzarsi nell’oramai prossimo voto di sfiducia, fissato per il 14 dicembre contro il governo Berlusconi. Il Partito Democratico veneziano con il segretario provinciale Michele Mognato ha invitato i vertici nazionali a portare con forza all’attenzione di Roma e del Parlamento temi particolarmente sentiti in città, dalla crisi industriale di Porto Marghera alla riforma della Legge speciale per Venezia. All’incontro ha partecipato Laura Puppato, segretario regionale del Pd in una sala affollata di persone.
L’incontro con Dario Franceschini è uno degli appuntamenti più importanti della campagna «porta per porta» voluta dal segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani per diffondere il programma del partito, che si candida ad essere alternativa al governo Berlusconi. Oltre 200 iniziative fino al 6 dicembre in tutti i Comuni. Banchetti ai mercati, gazebo informativi (su Tav, sanità, scuola, lavoro e tasse) e dibattiti su temi nazionali e locali. Ed è partita anche la mobilitazione in vista della manifestazione nazionale del partito a Roma fissata per l’11 dicembre. Si sta organizzando un treno speciale e numerosi bus per la capitale, con l’impegno dei 78 circoli e della Federazione di Mestre che sta raccogliendo disponibilità e adesioni. Per informazioni: 041.616057. (m.ch.)

9.11.10

Rosanna Filippin: a Vicenza il 27 novembre Convention regionale


08/11/2010 Padova
DIREZIONE REGIONALE – L’INTERVENTO DI ROSANNA FILIPPIN


Il 27 a Vicenza, convention regionale con iscritti e amministratori da tutta la regione.


La crisi politica in corso a livello nazionale e le lezioni dell’alluvione in Veneto. Parte dalle vicende romane per arrivare all’emergenza maltempo la relazione di Rosanna Filippin alla direzione regionale del Pd, a cui il segretario propone un percorso politico di mobilitazione sui temi del fisco (meno tasse per il lavoro e più per le rendite), autonomie locali (no al federalismo senza risorse, sì alla riforma del Patto di Stabilità), della scuola (più risorse per scuola e ricerca) e dell’immigrazione (gestire un futuro di integrazione nelle chiarezza delle regole tra vecchi e nuovi veneti).

Primo appuntamento di questo percorso il 27 novembre alla Fiera di Vicenza, dove per tutta la giornata il Pd chiamerà a raccolta gli iscritti di tutta la regione, insieme agli amministratori dei centri governati dal centrosinistra, per un rinnovato patto in nome del Veneto e del cambiamento del paese. “Perché il progetto dell’alternativa – spiega la Filippin – non sarà mai credibile se non saprà parlare al Nord”.


In quell’occasione, l’assemblea regionale discuterà i documenti preparati dai 4 gruppi di lavoro coordinati da Pier Paolo Baretta (Lavoro e crisi economica), Paolo Giaretta (Fisco e autonomie locali), Alessandro Naccarato (Scuola) e Luigi Creazzo (immigrazione).


Commentando le divisioni nel centrodestra, la Filippin ha dichiarato: “Le cifre dei sondaggi ci dicono chiaramente che la crisi del centrodestra non è sufficiente a rendere vincente la nostra alternativa. Bisogna fare di più. Ma è vero anche che la differenza tra i due maggiori poli, fattore decisivo con una legge elettorale in cui vince chi prende anche solo un voto in più, si va riducendo ed è contendibile”.


Quanto alla prospettiva del terzo polo, a cui si è rivolto anche l’ex dirigente del Pd Diego Bottacin, Filippin ha detto: “Il terzo polo ha un suo spazio elettorale, ma da solo non è sufficiente. Quindi la scelta fondamentale, anche per le terze forze, è e resta quella tra chi vuole proseguire l’esperienza di Berlusconi e chi invece vuole aprire una pagina nuova”.


“Il ruolo del Pd – ha aggiunto la Filippin – è senza dubbio dalla parte di chi vuole cambiare lo stato attuale del paese”. E a quanti rimproverano al Pd di declinare una proposta politica di pura difesa dell’esistente, Filippin replica così: “Non difendiamo nulla di ciò che merita di essere cambiato. Il sistema fiscale, che punisce lavoratori e imprese; il Patto di stabilità, che strozza i Comuni virtuosi; un regime di scuola e università che non premia il merito di studenti e docenti; un mercato del lavoro che lascia i giovani senza reti di protezione; e una legge elettorale infame, che toglie ai cittadini il potere di scegliere”.


E commentando l’emergenza alluvione (oggi la Filippin ha accompagnato il vicesegretario nazionale Enrico Letta a Vicenza), la Filippin ha rinnovato la richiesta del Pd per stanziamenti immediati in Finanziaria a favore delle popolazioni colpite, insieme alla sospensione dei tributi per aziende e famiglie e la deroga al Patto di Stabilità per i Comuni interessati.


“Nell’emergenza – ha concluso la Filippin – e soprattutto nella reazione ad essa da parte dei cittadini, ci sono dei segnali da cogliere e delle lezioni da cui imparare. C’è il buon esempio dei cittadini. Come quelle migliaia di volontari che nelle città e nei Comuni hanno risposto con generosità alla chiamata della propria comunità. Nel nostro Veneto, c’è una forte e trasversale la voglia di fare, che scatta quando c’è in gioco c’era un bene più grande degli interessi individuali. A questa voglia di fare- ha detto la Filippin – il Pd dev’essere capace di rivolgersi, per dare anche la speranza di un progetto positivo per il paese. Se saprà fare questo – ha concluso la Filippin – riuscirà a chiamare a sé nuove energie e nuovi consensi. E allora, anche la sfida di liberare il paese dal fango politico che lo sta soffocando, sarà una sfida meno difficile”.

2.11.10

Verso Nord non sarà un'alternativa al PD

Verso Nord senza bussola
la Nuova di Venezia — 02 novembre 2010
VENEZIA. Sarà «Verso Nord» l’alternativa veneta al Pd, il porto di approdo di chi ha deciso di andarsene dal partito? Chi conosce la politica veneta da anni, non da ieri, è scettico. E non solo per i precedenti rapidamente falliti del «partito dei sindaci» o del movimento del Nordest. Non tutti i delusi dal Pd condividono la trasformazione della nuova iniziativa politica in partito. E sul fronte opposto, c’è davvero chi pensa che l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan sia disposto a divorziare? Divorziare da Berlusconi nei fatti, e non a parole? Né appare in grado di dare una svolta radicale la tanto ventilata nascita di un terzo polo a livello nazionale: i politologi ne valutano la consistenza in un 10-15 per cento al massimo, dunque non in grado di far saltare il malconcio bipolarismo attuale. Almeno fino a che il Cavaliere non uscirà di scena.
C’è piuttosto ancora chi (e non sono pochi) intende lavorare dall’interno del Pd veneto per restituirlo all’idea originaria. Come Paolo Giaretta (nella foto), ex segretario del partito, tra i firmatari del documento di Veltroni. Che esorta a non seppellire le critiche, anche se aspre, ma ad affrontare un serio autoesame:
«Quando un partito comincia ad avere paura delle idee, a fare
la caricatura delle opinioni altrui, a evocare scenari scissionistici che non
esistono piuttosto che entrare nel merito delle proposte, vuol dire che non è in
buona salute. Facciamo un buon servizio al partito tacendo, e lasciando che
subisca questa deriva?».
E chiama in causa il severo giudizio di «Famiglia Cristiana» lì dove sostiene che la crisi del Pd è più grave di quella del Pdl, e che il partito è «incapace di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui cotruire un mondo migliore». Ci sono nostalgie del Pci anni Cinquanta che vanno abbandonate, sostiene Giaretta; il quale sottolinea che «ho lavorato troppi anni per costruire un incontro tra i riformismi del Paese, per assistere oggi silente al rischio della sconfessione di quel progetto».
Un progetto che con Veltroni aveva ottenuto il 34 per cento dei voti, e che ora è franato al 26. Sulle opinioni si può discutere, i numeri fanno testo. Cosa non ha funzionato nel Partito Democratico? Spiega dall’interno una voce critica come quella di Arturo Parisi: «In questi anni ci siamo dedicati alle conte, ci siamo contati molte volte, abbiamo contato un numero sempre maggiore di persone, abbiamo elaborato tecniche raffinate di conta. Quello che non sappiamo è che cosa abbiamo contato». E aggiunge: «Il nostre problema non sono né Veltroni né Franceschini né Bersani, e neppure D’Alema. Il problema è che in questa disgregazione in questa confusione, quella di cui il partito non dispone è una bussola. Da ciò la mia ossessiva ripetizione: dite pure con chi state, ma prima ancora che cosa volete».
Dall’esterno, un politologo autorevole come Luca Ricolfi parla di una crisi strutturale dei due maggiori soggetti politici, costituiti da appena due anni: «Se Pdl e Pd scricchiolano, non è solo perché i loro dirigenti sono litigiosi e irresponsabili. La ragione vera è che, per quanto appena nati, sono già due partiti vecchi».
C’è ancora una chance per il Pd di evitare di seguire le orme del Pdl, con una rottura dall’interno? Difficile dirlo. Viene in mente una vecchia battuta di Elio Armano, già segretario veneto del Pds, nei mesi in cui il Pd era in cantiere: «Un’idea così bella, che quasi quasi è meglio non prenderle la tessera». Il sospetto è che finisca per rivelarsi molto più (e peggio) di una battuta. (2. fine) Francesco Jori
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Se l'addio di Bottacin scatena una slavina
la Nuova di Venezia — 19 ottobre 2010
VENEZIA. E se proprio dal Veneto si mettesse in moto la slavina destinata a frantumare il Pd, com’è accaduto invece da Roma per il Pdl? L’addio al partito di Diego Bottacin, da anni tra i protagonisti principali del centrosinistra regionale, è tutt’altro che un fatto isolato. E i nomi destinati con molta probabilità a seguirlo, da Maurizio Fistarol ad Achille Variati, non saranno a loro volta meteore. Nella base del partito matura da mesi un malumore crescente, acuito dalla secca dichiarazione con cui il segretario veneto Rosanna Filippin ha liquidato l’uscita di Bottacin: non condivido neanche una virgola della sua analisi.
Ma come altro spiegare allora dei dati incontrovertibili? Un Pd che ha perso quasi metà del suo elettorato, che è inchiodato a un misero 20 per cento, che in quattro province su sette è al di sotto della media regionale. Che ha puntato per le regionali su un candidato il quale sulla carta dovrebbe essere il capo dell’opposizione e che è relegato in una stanzetta dove fa malinconicamente gruppo a sé, di fatto desaparecido dal giorno dopo il voto. Che si sgretola dall’interno, tra dimissioni dalle cariche e abbandoni eccellenti. Che alle politiche di due anni fa si è fatto imporre un capolista già andato per conto proprio, e poi impegnato nelle serenate ad Arcore per cercare di ottenere un posto da ministro. Non è solo un malessere interno, certo. Pesa soprattutto la questione di respiro nazionale aperta dal documento di Veltroni, che si riflette anche in Veneto. E che non si può liquidare con una sorta di contrapposizione tra ex Ds ed ex Margherita, anzi: il malessere taglia in due i vecchi partiti. Con una parte minoritaria rappresentata dagli ulivisti, i quali contestano alla maggioranza di voler un po’ alla volta fare del Pd un partito socialdemocratico, liquidando così l’idea originaria della nuova formazione politica. Finora la spaccatura è stata evitata, ma fino a quando? Basta scorrere un paio di passaggi del cosiddetto documento dei quarantenni, quelli definiti «i giovani turchi»: il partito versa in una condizione di «rachitismo organizzativo, incertezza identitaria e ingovernabilità politica»; ci sono «dirigenti che parlano sempre più spesso come divi di Hollywood in tour promozionale, capaci di ripetere soltanto quanto amino l’Italia, le sue bellezze artistiche e i suoi struggenti paesaggi».
L’assemblea nazionale di inizio ottobre ha segnato una tregua, non certo la pace. Perché, come ha detto proprio in quell’occasione Dario Franceschini, quando ci si ritrova tutti assieme si inneggia all’unità e dal giorno dopo si ricomincia a litigare e a dividersi. Ma ciò che sta accadendo in Veneto non si può liquidare con un semplice litigio: dietro c’è un calo di consensi di oltre sei punti in soli due anni, lasciando sul terreno qualcosa come oltre 350mila voti, passando da 810mila a 450mila. Con una gestione unitaria ormai di pura facciata, cui hanno dato il primo colpo (non sarà l’ultimo) le dimissioni di Andrea Causin dalla vice segreteria regionale. Dopo la Calabria, il Veneto è l’area che ha presentato il peggior risultato alle ultime elezioni; aggravando così una condizione di cronica debolezza che non si può certo liquidare col «prego si accomodi» rivolto a chi se ne va. E che non si risolve certo limitandosi a cambiare questo o quel dirigente, segretario incluso: è il partito ad avere bisogno di una cura radicale.
(1 - continua) - Francesco Jori

1.11.10

Movimento Democratico Veneto: il programma

IL PD CHE CRESCE, PER L’ITALIA CHE CAMBIA
MANIFESTO POLITICO-PROGRAMMATICO PER IL RILANCIO DEL PD
Il PD è nato per cambiare l’Italia, in meglio. Sull’idea che coraggiose riforme possono rendere il paese più equo, più libero, più dinamico. Per questo ha suscitato l’attenzione di tanti elettori. Ha saputo riorganizzare politicamente il proprio campo ed obbligare il campo avverso a mettersi in movimento.
Gli italiani nel 2008 si sono affidati ancora una volta a Berlusconi.
Ora è evidente il suo fallimento: un paese non si governa con un racconto, ma facendo le scelte necessarie, mettendo in fila le priorità, preparando le cose che servono al futuro. Con un dovere di verità di fronte al paese: nel non nascondere la verità, nell’indicare obiettivi e sacrifici necessari per il bene comune, per migliorare la vita degli italiani. Sapendo unire più che dividere il paese.
La parabola del berlusconismo, con la sua pretesa carismatica e populista, volge al declino. Lascia una eredità devastata: gli italiani sono più poveri e più diseguali, il paese più diviso e fazioso, l’etica pubblica è stata disprezzata, lo spirito competitivo delle imprese è stato depresso, le istituzioni sono state messe a dura prova da continui conflitti, la democrazia indebolita con la limitazione della libertà d’informazione.
Il PD ha la responsabilità di saper raccogliere questa eredità disastrata e di proporsi agli italiani con le idee e le parole che servono per risanare queste ferite. Per questo siamo nati: per essere pronti alla nuova difficile fase della vita democratica che si sarebbe aperta con il declinare inevitabile del leaderismo berlusconiano.

L’ iniziativa di Movimento Democratico nasce anche per questo, per contribuire ad affrontare una questione che non può essere nascosta se si vuole bene al PD: perché di fronte al fallimento dell’azione del Governo, all’allontanarsi di tanti elettori dalla sirena berlusconiana, il PD non riesce ad essere preso in considerazione come possibile alternativa? Pensiamo che il motivo principale sia uno: un partito riformista per essere credibile deve avere come cifra caratterizzante quella del cambiamento e non quella della conservazione. Conservare ciò che è buono certamente, ma innovare le risposte di fronte ai tanti problemi nuovi che restano irrisolti. Deve saper proporre un progetto per il paese che lo accompagni nei territori del futuro. Aver abbandonato questa tensione riformista ripiegando su risposte e modelli organizzativi più tradizionali ha reso meno competitivo il PD. Vogliamo contribuire a far sì che il PD possa riprendere quella spinta innovativa che aveva convinto milioni di italiani ad affidarvisi con fiducia. E’ questo il momento di farlo.

A maggior ragione bisogna farlo nel Veneto. Anche qui presto vi sarà il bilancio di un fallimento. Il primo semestre di Zaia si è consumato tra slogan privi di contenuto, inni e bandiere. Nella Lega crescono risse interne che stanno paralizzando l’azione amministrativa, che si aggiungono ai dissidi tra i partiti della maggioranza. Il malaffare si diffonde con comportamenti penalmente rilevanti o del tutto discutibili sul piano dell’imparzialità e della corretta amministrazione. La grande occasione del federalismo è stata ridotta ad uno scambio ineguale con Roma: tagli eguali per tutti (indipendentemente dai meriti) in cambio di più tasse locali.
Il Veneto si merita altro. Non si può lasciare sola una grande piattaforma produttiva ed innovativa alle prese con trasformazioni epocali. Sono evidenti le conseguenze negative sull’occupazione, sulla natalità delle imprese, per il lavoro autonomo, per la ricerca applicata, per la coesione sociale, tutte risorse che hanno fatto grande il Veneto.
La Lega non ce la fa perché è sbagliato il modello proposto: l’idea di un localismo impaurito, autosufficiente ed assediato che si chiude in modo difensivo all’Italia ed al resto del mondo. Ma i Veneti sono stati grandi perché non hanno mai avuto paura: di avere gli occhi aperti sul mondo, di imparare a fare cose nuove, di costruire relazioni.
Il PD è chiamato ad interpretare e rappresentare questa idea del Veneto. Un Veneto che non ha paura di sfide nuove, e le vuole affrontare costruendo il futuro sui tre pilastri che lo hanno trasformato da regione depressa a locomotiva d’Europa: il lavoro buono, il territorio come risorsa, la coesione sociale per rendere più facile il vivere.
La qualità del lavoro, di tutto il lavoro, dei lavori che hanno nomi diversi ma insieme sono risorsa decisiva: operai, tecnici, imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti, manager sono nello stesso modo il capitale umano su cui costruire il Veneto del futuro.
Insieme a chi fa ricerca, trasmette sapere, fa funzionare la macchina pubblica. Non è tempo di contrapposizioni: è tempo di di un impegno comune per creare ricchezza, dividendone in modo equo i frutti.
Qualità del lavoro significa oggi investire sulle giovani generazioni, sulla qualità dell’istruzione e della ricerca, sull’istruzione tecnica di qualità, sull’istruzione permanente.
Dotarsi di un sistema di flexicurity regionale, capace di offrire insieme alla flessibilità più sicurezza quando manca il lavoro.
Aiutare di più i giovani ad essere imprenditori di sé stessi, aiutare le imprese che sostengono costi di ricerca e innovazione. Vuol dire aiutare gli atenei veneti nel progetto di integrazione, far raggiungere massa critica ai Parchi Scientifici esistenti.
Il territorio che va ricucito e ricomposto, attorno alle grandi reti tecnologiche e di gestione. L'energia e le potenzialità della piattaforma veneta delle rinnovabili, i rifiuti ed il ciclo di riuso, la logistica, la banda larga, il sistema del trasporto in cui centinaia di migliaia di cittadini veneti soffrono quotidianamente e con cui le imprese perdono la competitività recuperata all’interno dello stabilimento. Ritardi non più accettabili. Prima il Veneto, ma per essere primi bisogna risolvere questi nodi. Un territorio che sappia guardare ai suoi beni ambientali e monumentali come un grande lascito cui dedicare la necessaria protezione e manutenzione, ma anche come una grande risorsa economica e culturale per il futuro, che nessun concorrente potrà "copiare".
Infine le nuove condizioni della convivenza sociale, con la ridefinizione di un welfare a carattere comunitario, la costruzione di nuovi luoghi di partecipazione e inclusione dei cittadini. I poveri esistono anche nel ricco Veneto, le emarginazioni e le solitudini possono essere combattute con quello spirito solidale, che vive delle azioni delle istituzioni e dei cittadini liberamente associati, che in termine tecnico si chiama "capitale sociale", che fa parte delle radici profonde della comunità veneta.
Possiamo rappresentare un Veneto che vuole vincere la sfida della modernità contrapposto ad un Veneto conservatore, che vive di mille paure e finisce per subire inevitabilmente le cose più grandi di sé.
Questa è la sfida per il PD. Un PD che non abbia paura del confronto.
Se fatto sulle cose grandi e serie che riguardano il benessere dei cittadini ed il loro futuro il confronto non spaventa gli elettori.
Noi siamo il Partito Democratico: un partito che si è chiamato così perché pensa che i processi democratici e partecipativi sono una risorsa migliore di quella offerta da solitarie leadership o da sorpassati modelli centralistici.
Il PD potrà adempiere alla propria missione se sarà capace di uscire dal troppo ridotto insediamento in cui è oggi rinchiuso: quello territoriale che ci vede troppo deboli al Nord, quello sociale, perché non può bastare una base di riferimento concentrata in lavoratori pubblici e pensionati.
Noi pensiamo che questa capacità espansiva del PD possa essere coltivata con successo. Che sia la premessa necessaria per essere punto di riferimento di alleanze politiche e sociali necessarie a proporsi per il governo del paese. Occorre però chiedere ed offrire più coraggio.
Movimento Democratico
Sen. Paolo Giaretta, Sen. Mariapia Garavaglia, On.le Giampaolo Fogliardi, On.le Andrea Martella, On.le Simonetta Rubinato, On.le Rodolfo Viola