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30.10.10

Michele Mognato esordisce alla segreteria del PD veneziano

«Il Pd c è, non è un partito di ex»
la Nuova Venezia — 30 ottobre 2010
Venticinque pagine di relazione, che parte dalla situazione nazionale fino a dettare l’agenda dei grandi temi su cui farsi sentire a livello veneziano e regionale (dalla Sanità ai temi del lavoro e dell’impresa, dalla Tav alla Romea commerciale). Che parte dal riconoscere «sbagli e limiti come primo passo per la vittoria nel 2014», per strappare la Provincia alla Lega Nord.
«Il Pd c’è», dice il nuovo segretario provinciale del Partito Democratico Michele Mognato, eletto ieri sera al congresso all’hotel Russott di Mestre. «E non è più un movimento di ex che alimentano memorie».
Michele Mognato parte dal mea culpa, dalla sconfitta alle elezioni provinciali del 2009: «non siamo stati ritenuti interlocutori validi, non siamo stati capaci di comprendere per tempo le trasformazioni della struttura ecnoomica e sociale della provincia e di mettere in campo una nuova coalizione che uscisse dall’ambito tradizionale del centrosinistra».
Il futuro è quello indicato da Bersani, il «nuovo Ulivo» aperto al centro moderato. Al Pd veneziano, Mognato chiede di mettere al bando personalismi e cordate e di lavorare per un partito «realmente popolare, capace di raccogliere le istanze che provengono dal mondo del lavoro, della scuola, dell’associazionismo e trasformarle in proposta politica».
Una lunghissima relazione quella di Mognato, ben 25 pagine, con un intervento di oltre un’ora, e proposte sia sui temi da curare sia sul metodo, come le primarie per scegliere i parlamentari da candidare e la trasparenza con la pubblicazione dei redditi dei dirigenti. E sui dimissionari Causin e Bottacin, Mognato spiega che «non è con le dimissioni che si trova una soluzione ai problemi ma con l’approfondimento e il confronto». Anche se poi avverte: quando la direzione provinciale decide, tutti dovranno seguire la linea indicata.
Mognato intende lanciare un progetto metropolitano regionale per la provincia di Venezia, con grande attenzione al mondo del lavoro e all’impresa, alla sanità, alla scuola, al precariato, alle scelte infrastrutturali (Tav e Romea commerciale), con un Pd portatore di proposte proprie. Come sulla Legge speciale, per cui serve una legge nuova, «federale». Al ministro Brunetta il segretario chiede di garantire «le centinaia di milioni di finanziamenti promessi in campagna elettorale». E al sindaco Orsoni il messaggio è chiaro: «Non giochi di rimessa rispetto alle ipotesi del ministro ma sia protagonista nel costruire la nuova proposta di legge, coinvolgendo la città e gli altri comuni interessati. Chiedo di giocarsela questa partita: al suo fianco avrà il partito democratico. Non bastano tattica e buone relazioni».

19.10.10

La futura rotta del PD Veneto

Pd cambia rotta: mano tesa a Udc e finiani
la Nuova di Venezia — 19 ottobre 2010
PADOVA. Rosanna Filippin resta al timone dei democratici veneti. Dopo tre ore di confronto, a tratti acceso, l’ufficio di coordinamento del Pd le ha confermato piena fiducia. Ma non è questa la novità più rilevante emersa da un vertice che - da Laura Puppato a Paolo Giaretta, da Felice Casson ad Alessandro Naccarato - ha riunito l’intero gruppo dirigente. A spiccare, invece, è il cambiamento di rotta contenuto nella relazione del segretario: una svolta che include l’autonomia «spinta» del partito (federato alla «centrale» romana ma libero nell’elaborazione programmatica), la scelta privilegiata delle alleanze - con l’apertura dichiarata al terzo polo, Udc e finiani in testa - e il ritorno sul territorio con quattro campagne (lavoro, federalismo, immigrazione, scuola) ritagliate su misura del territorio e capaci di restituire protagonismo al popolo dei 176 mila partecipanti alle primarie. A fronte del doppio choc ravvicinato - l’addio polemico del consigliere regionale Diego Bottacin («Il Pd ha fallito»), le dimissioni sconsolate del vicesegretario Andrea Causin («Siamo alla secessione degli elettori») - il segretario del Veneto ha giocato d’anticipo, evitando di minimizzare le difficoltà ma delineando la possibile «strategia d’uscita» da un declino allarmante e accelerato. «Si avverte forte il disagio di una componente del partito che non condivide il disegno politico attuale», ha scandito Rosanna Filippin alludendo al malessere dell’area Franceschini «dobbiamo farcene carico tutti, altrimenti questa frangia si allontanerà. E io non voglio un partitino di duri e puri, la testimonianza non mi basta. Voglio concorrere a costruire una forza vincente capace di aggredire l’egemonia della Lega e del Pdl». Affiora così il “modello Bassano”. Città ricca, moderata, apparentemente «vocata» al centrodestra. Dove, nove mesi fa, l’opposizione ha espugnato il municipio. Come? Con un’alleanza Pd-Udc-Civiche, che ha tra i suoi artefici un esponente di Futuro e Libertà. E la Filippin, che siede in giunta con la delega all’Urbanistica, ammette di guardare con particolare attenzione al nascente terzo polo: «Non quello a cui pensa Massimo Cacciari, che dopo aver contribuito a fondare il Pd ora vi colloca una pietra tombale sopra», punge «ma al nuovo soggetto che sentiamo vicino su molte questioni importanti e che si scopre incompatibile rispetto alla deriva leghiste e all’affarismo dei berlusconiani». Si cambia, insomma. Ma attenzione: siamo all’inizio, non all’epilogo, di un confronto che proseguirà nella direzione convocata il 5 novembre: «Io metterò a disposizione il mio incarico, se in questa fase le dimissioni risultassero utili non avrei esitazioni, grazie a Dio non ho problemi di sopravvivenza e mi sento a disposizione di un progetto». Ipotesi remota, in realtà. Un po’ perché il ruolo di parafulmine non sembra particolarmente ambito; molto perché il segretario gode dell’aperto sostegno di Pierluigi Bersani. A proposito: oggi Rosanna Filippin parteciperà alla riunione romana dei dirigenti regionali e poi incontrerà il leader del centrosinistra. Per dirgli cosa? «Per scambiare opinioni e idee», come avviene sempre «e anche per avanzare una proposta: vorrei che in Veneto la logica di maggioranza e minoranza uscita dal congresso, venisse - per così dire - sospesa. Abbiamo bisogno di tutti. Basta recinti, proviamo a vincere».

18.10.10

PD Veneto:c'è chi invoca un radicale rinnovamento della classe dirigente

Corriere del Veneto 18 ottobre 2010
Democratici sul Titanic
Umberto Curi


Meglio tardi che mai. Ridotto all’osso, potrebbe essere questo il commento alla decisione assunta da Andrea Causin, il quale si è dimesso dalla carica di vicesegretario regionale del Pd. Limpide, e sostanzialmente persuasive, anche le motivazioni addotte per spiegare questa scelta. Da un lato, la paurosa emorragia di elettori registratasi fra le politiche del 2008 e le regionali del marzo scorso, con un saldo negativo di oltre il 40% di voti in meno. Dall’altro lato, la denuncia dell’incapacità del gruppo dirigente di capire le ragioni del mancato radicamento del partito nel territorio. Parole chiare - finalmente - seguite da comportamenti coerenti, anche se tardivi.
La crisi del Pd veneto ha ricevuto poi un’ulteriore accelerazione dall’annuncio del passaggio di Diego Bottacin, ultimo segretario della Margherita, sui banchi del gruppo misto in consiglio regionale. Un gesto, questo, certamente diverso da quello di Causin, il quale è rimasto nel partito, ma ugualmente indicativo di un malessere giunto ormai al limite.
Dopo l’incredibile vicenda di Giuseppe Bortolussi, scelto quale candidato governatore del centrosinistra, e poi dopo la sconfitta abbandonato al suo destino. Dopo la nascita di «Verso Nord», e la fuoriuscita di fatto di personaggi come Massimo Cacciari, questi colpi ulteriori segnalano che si è giunti davvero al capolinea.
Ma ciò che maggiormente preoccupa, in una situazione che non é esagerato definire drammatica, è la risposta della segreteria regionale, rimasta pateticamente arroccata in un atteggiamento inutilmente difensivo. Come se i 400mila elettori persi in un biennio fossero un’invenzione di Causin. Come se la clamorosa inadeguatezza culturale, tecnica e politica del gruppo dirigente regionale non fosse sotto gli occhi di tutti. Come se si dovesse attendere ancora chissà quale altra batosta elettorale per decidersi ad una resa dei conti rinviata da troppo tempo. Come se la perdita di tante figure così rappresentative non mettesse in questione, talora anche esplicitamente, gli orientamenti e le capacità di coloro che hanno governato il Pd nel Veneto da almeno un paio d’anni a questa parte. Davvero non si capisce cosa ancora si stia aspettando per azzerare da subito il quadro della dirigenza regionale, e anche di molte dirigenze provinciali, con lo spirito di chi tenti almeno di ricominciare da capo. Non vi è alcuna scadenza elettorale ravvicinata che possa giustificare un atteggiamento attendista. Il Titanic è oramai pieno di falle, imbarca acqua da tutte le parti, il naufragio è vicino. Restarsene sul ponte a danzare al suono di un’orchestrina, come se niente stesse accadendo, sarebbe l’ultimo di una serie già fin troppo lunga di comportamenti sbagliati e irresponsabili. Prima che la prospettiva del fallimento totale diventi inevitabile, si cerchi almeno di recuperare in extremis un po’ di dignità, riconsegnando agli elettori e agli iscritti la prerogativa di decidere l’assetto e gli orientamenti strategici del partito che dovrebbe essere il perno di un’alternativa al processo di leghizzazione galoppante. Mai come in questo momento si può dire che davvero, giunti a questo punto, l’unica cosa che si può perdere è una condizione di subalternità diventata giorno dopo giorno perfino umiliante. Il fondo è stato toccato. Con un po’ di coraggio e di onestà si può solo cercare di risalire.

16.10.10

PD Veneto: riassestamento, non smottamento

Il Mattino di Padova 16 ottobre 2010
VENEZIA. Il terzo polo si nutre dello smottamento delle due sponde. Che sulla riva del Pd sembra aver assunto le dimensioni della frana. Perché l'addio di Diego Bottacin è tutt'altro che un episodio isolato. Come lui hanno intrapreso la strada Verso Nord indicata da Massimo Cacciari, il senatore bellunese Maurizio Fistarol, che con Bottacin condivide un percorso da rutelliano doc, ma anche il veronese Gino Zardini, che nel partito ha ruolo di coordinamento per infrastrutture e mobilità. C'è poi il caso paradossale di un altro degli ispiratori di Verso Nord, quel Giuseppe Bortolussi la cui candidatura per conto del Pd - pur senza tessera - alle regionali 2010 deve ancora essere completamente metabolizzata e di chi il doppio carpiato l'aveva già fatto, come Massimo Calearo, meteora democratica, già approdato nelle fila dell'Api, ma che con gli ex compagni è destinato a ricongiungersi, appunto, nel terzo polo.
E proprio l'Api, che prima di altri aveva provato a riunire i delusi di Pd e Udc, rappresenta parte significativa di quell'area «altra» che sogna di farsi forza dei fuoriusciti degli schieramenti tradizionali sublimando in un incontro al centro con i finiani.
Accanto a loro figure di spicco che, pur assumendo sfumature di azzurro, mai - quantomeno non nella storia recente - hanno trovato posto in una casella di partito, dal costituzionalista Mario Bertolissi che Giancarlo Galan avrebbe voluto candidato sindaco di Padova nel 2009 a Franco Miracco, che del ministro dell'Agricoltura è portavoce da un decennio.
Malgrado uno scenario così articolato, gli occhi restano puntati tutti sul Pd, laddove la frana che conclude il suo percorso a valle non è necessariamente più importante dei movimenti di assestamento che restano interni al partito. Non a caso, ieri si sarebbe tenuto un incontro tra Paolo Giaretta, Andrea Martella e Rodolfo Viola, ovvero i parlamentari veneti che, a suo tempo, hanno firmato il documento di Veltroni, con nessuna volontà separatista se non la voglia di rimarcare differenze e difficoltà. A modo suo lo stesso Causin, lasciando la vicepresidenza, ha «battuto un colpo», ai suoi più che agli altri.
Più in generale, i malumori diffusi, non riuscendo a riaprire la questione congressuale a livello regionale, cercheranno di sanarsi nei congressi provinciali: del resto si mormora che Bottacin abbia accelerato la fuoriuscita dopo aver annusato la malparata nel Trevigiano. In questo senso il partito guarda con grande attenzione a Verona allo scontro tra D'Arienzo e Lonardi, mentre una convergenza su Mognato nel Veneziano potrebbe rasserenare gli animi in laguna. Insomma, ai piedi il compito di tenere l'equilibrio per evitare che cadano altre teste. Intanto lunedì riunione di coordinamento, per cominciare a ragionare sulla vicepresidenza. (s.z.)

15.10.10

Le dimissioni di Andrea Causin: la replica di Rosanna Filippin

PD Veneto, comunicato stampa 14-10-2010
Andrea Causin ha rassegnato questa mattina le dimissioni da vice segretario regionale. 39 anni, consigliere regionale alla seconda legislatura, Andrea ha partecipato come candidato della mozione Franceschini alle primarie per l'elezione del segretario regionale dell'ottobre 2009. Successivamente, ha assunto l'incarico di vice-segretario del Partito Democratico del Veneto, affiancando Rosanna Filippin per quasi un anno.
In una lettera inviata ai membri dell'Assemblea regionale, Andrea Causin spiega di aver scelto la strada delle dimissioni perché convinto che il Pd Veneto sia "privo da tempo di iniziativa politica" e non abbia saputo offrire alla "secessione" degli elettori, né "risposte di carattere politico" né risposte di carattere "organizzativo".
Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd Veneto, ha replicato all'annuncio con il commento che riportiamo:
"In momenti della vita di un paese come quello attuale un partito come il nostro, che è il perno dell'alternativa a Berlusconi, ha il dovere di unire tutte le sue energie. Il nostro non è il tempo dei passi indietro e delle fughe individuali, ma quello di un impegno raddoppiato, per accelerare la crisi che già divide il centrodestra. Penso che il progetto politico emerso dall'assemblea nazionale di Varese, con le proposte su fisco e merito, autonomie locali e federalismo, Pmi e crisi economica, ci consenta di proporre, anche in Veneto, un messaggio politico credibile. Il centrodestra aveva promesso più sviluppo, innovazione, riforme e meno tasse, meno centralismo, meno risse politiche. Oggi è nei fatti il tradimento di questi impegni. A noi, spetta il compito di indicare l'alternativa: un fisco che premia il lavoro anziché le rendite, un federalismo che difende i comuni, anziché soffocarli, una scelta a favore dell'innovazione e della scuola, una politica dell'immigrazione vigile, ma non ottusa, una legge elettorale che rimette la scelta nelle mani dei cittadini. Ed è su questo che il Pd si mobiliterà in tutto il Veneto dalle prossime settimane".

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Questa la lettera di dimissioni di Andrea Causin:

Lascio la Vice Segreteria del PD Veneto ma il mio impegno per il partito continua

E' trascorso un anno esatto dal congresso regionale.
Nell'ottobre dell'anno scorso ho compiuto una scelta di responsabilità.
Pur non essendo in presenza di un risultato netto di alcuno dei contendenti, ho ritenuto che l'indicazione di voto dell'assemblea regionale dovesse andare a Rosanna Filippin, in quanto anche se non aveva superato il 50% dei consensi degli elettori delle primarie, aveva comunque raccolto una indicazione prevalente armonicamente all'andamento della mozione Bersani a cui era collegata la sua candidatura.
Oggi, a distanza di un anno, sento la responsabilità di scrivere questa lettera perché in tutta evidenza il nostro partito è privo da tempo di iniziativa politica.
Non ha offerto, a quella che oramai definisco la secessione dei nostri elettori, né risposte di carattere politico, tantomeno ha saputo dotarsi di un assetto efficace sul piano organizzativo.

Il segno della crisi è nei numeri. Non tanto nelle percentuali, quanto nei valori assoluti.
Alle politiche 2008, 812.406 veneti hanno votato Partito Democratico.
Alle regionali 2010 hanno votato il nostro partito solo 456.309 veneti, su una popolazione di quasi 5 milioni.
Il risultato delle regionali, non solo offre un'idea del fatto che abbiamo perso in soli 2 anni quasi metà del nostro corpo elettorale, ma delinea una prospettiva di progressiva residualità che mette a rischio le poche situazioni di governo che ancora deteniamo, grazie alle personalità forti che abbiamo messo in campo.

Do merito a Rosanna di avere condiviso e raccolto la mia preoccupazione prima dell'estate.
Anche in relazione alla difficoltà del conseguimento del numero legale degli organismi assembleari (direzione e assemblea) e alla prolungata e mancata convocazione dell'esecutivo regionale.
Dopo l'estate ci sono state due riunioni di quello che è stato definito "l'ufficio politico", un organismo extrastatutario dei maggiorenti veneti del Partito Democratico, in particolare deputati, amministratori e consiglieri regionali.
L'ufficio politico ha condiviso, nelle due riunioni, la difficoltà in cui versa il partito, soprattutto in relazione all'assenza di iniziativa politica, nel momento in cui il centro destra sta rappresentando all'opinione pubblica le proprie divisioni, contraddizioni e fragilità.
Il gruppo dirigente del PD Veneto, a mio avviso, non ha svolto un'analisi onesta delle ragioni per cui non siamo, in questi mesi, riusciti a radicare la nostra proposta politica.
Ha genericamente dichiarato chiusa e archiviata la fase del congresso e delle mozioni che ci hanno consentito di costruirlo e ha affidato le proprie speranze a quella che è stata definita la "fase 2", attraverso una generica volontà di fare meglio e di impegnarsi di più.


Se qualcuno, per ragioni elettorali, di convenienza o peggio per superficialità, preferisce la conservazione dello status quo e la nobile arte del tirare a campare, io credo invece che non possiamo far finta di non vedere le difficoltà in cui versano i nostri circoli, le fatiche dei nostri amministratori locali, al fronte nei piccoli comuni, e la difficoltà drammatica che abbiamo di rappresentare la società Veneta, nelle sue sfaccettature e nelle sue rapide evoluzioni.

Eppure i temi non mancherebbero.
La lunga decrescita economica che sta vivendo la nostra regione dall'ottobre del 2007, sta cambiando radicalmente i legami economici e sociali del nostro territorio.
C'è la necessità che la politica torni a occuparsi delle politiche per lo sviluppo, quelle che il Presidente della Repubblica in visita a Venezia, ha avuto l'ardire di chiamare politiche industriali.
E congiuntamente è necessario ripensare il lavoro e l'insieme dei diritti delle persone che lavorano.
Abbiamo bisogno di trovare coraggio e affrontare con decisione e parole nuove la riorganizzazione del sistema sanitario, ma anche le relazioni nelle nostre comunità, che sono segnate sempre di più dall'incontro con i migranti. Un incontro che è foriero di novità ma anche di tragiche contraddizioni se solamente si pensa alle vicende di violenza che hanno coinvolto donne di famiglie islamiche.
C'è l'urgenza di tornare a battersi per l'autonomia dei corpi intermedi, in modo particolare della finanza, soprattutto dopo gli attacchi vergognosi del presidente della Regione alla fondazione Cassamarca e del sindaco di Verona alla fondazione Cariverona.


Personalmente ho accettato, nell'estate scorsa, la candidatura alla segreteria regionale perché ho creduto, e credo, in un PD capace di riformare la politica Italiana, ripensando il ruolo delle istituzioni nel tempo della globalizzazione e della crisi.
Un partito plurale, aperto, radicato nella società.
Capace di chiamare all'impegno le donne e gli uomini migliori della nostra terra.
Ho sognato un partito capace di essere luogo di confronto e di ideazione di una prospettiva nuova per l'economia e per la società del Veneto.


In questi mesi, mentre maturava in me la consapevolezza della distanza tra il PD in Veneto e la società che si candida a rappresentare, ho scelto responsabilmente di stare al mio posto, nella fiducia che il tempo offrisse le condizioni di una inversione di tendenza.
Negli ultimi tempi mi sono assunto, negli organismi, il compito sgradito ai più di porre il problema, soprattutto in relazione alla necessità di comprendere dove abbiamo sbagliato e all'urgenza di tornare a "pensare" i contenuti e i modi della nostra presenza politica.
Oggi credo che essere responsabili significa non tacere e non fingere che tutto va bene, non rinunciare al dibattito, al confronto.
E' necessario mettersi in discussione e dal momento che il gruppo dirigente veneto non ha intenzione di farlo, comincio dalla mia persona.
Con la presente mi dimetto da vice segretario del partito Democratico Veneto.
Le mie dimissioni non sono una rinuncia, bensì una scelta di proseguire in piena libertà, quell'iniziativa politica di cui c'è tanto bisogno e che per essere svolta non ha bisogno di ruoli e riconoscimenti.
Spero che questo gesto forte, e per certi versi sofferto, possa aprire una discussione vera nel PD del Veneto, che consenta di trovare delle soluzioni vere prima che sia troppo tardi.

13.10.10

Verso Nord: al varo l'associazione tra le cautele del PD

la Nuova Venezia — 13 ottobre 2010

Verso Nord studia da partito e corteggia Galan


VENEZIA. Un nuovo polo si affaccia sulla politica veneta: alternativo all’egemonia leghista, “competitor” dialogante verso pidiellini e democratici. E’ il movimento Verso Nord: ieri si è costituito, formalmente, in associazione e molti osservatori giudicano questa tappa il preludio alla nascita di un partito. Con un testimonial a sorpresa, magari: Giancarlo Galan.

«So che è in agenda un incontro col ministro a Padova... », confida sibillino il portavoce Franco Miracco, mente pensante dei Nordisti «lui è un uomo indipendente, un liberal vero. Posso testimoniarlo, visto che tollera da anni le mie bizzarrie».

Molto eterogenea, per provenienza e vocazione, la schiera dei promotori: tra gli altri, Massimo Cacciari e Giuseppe Bortolussi; Mario Bertolissi e Achille Variati (il sindaco Pd di Vicenza, in verità, ha sottoscritto il manifesto riservandosi di aderire al movimento); Diego Bottacin e Maurizio Fistarol.

Presidente è stato eletto Alessio Vianello: «La gente ormai si è disinnamorata della politica», riflette «il nostro obiettivo è quello di riportarla ad appassionarsi al vivere sociale. Per questo la costruzione di un nuovo polo deve avvenire il prima possibile».

Le adesioni non mancano, tanto da suscitare nervosismo tra le forze politiche. Accanto ai giudizi liquidatori di parte leghista («Quattro gatti riciclati»), si registra l’aut aut del capogruppo democratico in Regione, Laura Puppato, che in polemica aspra con Bottacin ha ribadito l’incompatibilità della militanza in Verso Nord per gli esponenti del Pd.

Intanto il debutto è fissato per venerdì 22 ottobre, a Mestre, con un faccia a faccia sul nuovo riformismo tra Cacciari e il ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Ma il partito nordista nascerà davvero: «Sì, se la gente lo vorrà», replica Miracco «c’è un Veneto straordinario, migliore della politica attuale, disgustato da questa deriva. Stiamo attraversando giorni bui, tristi, e non mi riferisco soltanto a quei poveracci che a Belluno hanno negato il tricolore agli alpini uccisi. Il problema non è soltanto la Lega, è un sistema politico arido, autoreferenziale, imbarbarito. Noi abbiamo messo insieme individualità significative, percorsi diversi che hanno un desiderio comune: tornare a discutere di politica, andare oltre il leghismo e il berlusconismo, riscoprire il valore delle idee ora soffocate dalla caccia alle poltrone».

Ma c’è spazio per un nuovo soggetto in un territorio che ha plebiscitato Luca Zaia castigando il Pdl e rifilando al centrosinistra il peggior risultato d’Italia? «Sì che c’è ed è vastissimo. L’hanno già intuito i leader di razza, da Galan a Veltroni. Qualche mese fa eravamo quattro amici al bar, oggi le adesioni crescono, sono importanti e trasversali: non promettiamo nulla a nessuno, però offriamo una prospettiva. Quando diventerà una proposta, allora saremo pronti... ».

Reagire alla Lega si può: anche sul fronte del centrodestra

Il Riformista 13-10-10
Non portate il Veneto nel nulla
Giancarlo Galan
Il Veneto ritrovi la sua tolleranza e cultura - AZZERAMENTO DELLA MEMORIA. L'inerzia della politica e dell'etica è in grado di corrompere le menti e gli animi dei cittadini.
(...) Eppure, non riesco a persuadermi del fatto che "il Veneto del no e del nulla" sia lo stesso Veneto in cui nacquero e scrissero Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern, Guido Piovene, Giuseppe Berto, Giovanni Comisso, Goffredo Parise che, se fossero ancora vivi tra noi, rabbrividirebbero di fronte alla voragine in cui troppi stanno gettando antichi valori e ideali.
Gli stessi che unirono tra loro attorno al tricolore chi ritenne di doversi battere per la Patria sia sulle montagne della Resistenza o nelle guerre che il Ventesimo secolo disseminò tragicamente dal Grappa alla Russia, dal Piave alla Grecia, dalla Francia ai deserti africani.
È indispensabile pertanto che tutte le forze politiche, a iniziare precisamente dalla Lega Nord, prendano coscienza - e agiscano di conseguenza - che "il chilometro zero della cultura e della politica" può spalancare le porte al dilagare mostruoso del nulla, lo stesso nel quale precipitarono le democrazie europee nel secolo del fascismo, del nazismo e del comunismo.
Una parola ancora, infine, per una terra che amo sopra ogni cosa, il Veneto, una regione che può indebolirsi progressivamente fino a essere inghiottita dal nulla, se non saprà ritrovare al più presto la strada maestra della tolleranza, della solidarietà, del sapersi muovere con curiosità, con intelligenza, liberamente: in breve, con le armi pacifiche di una cultura liberale, libertaria e libertina, che è quella che ci ha consentito di essere cittadini del mondo, sia quando coltivavamo una vigna ai piedi degli Euganei o vivevamo tra le nevi delle Dolomiti, sia se si era costretti a essere veneti e italiani da qualche parte in Australia o in Canada o in Cina, essendo compagni del viaggio multicolore di Marco Polo.

1.10.10

Giaretta: un partito nuovo come stile e prassi -una questione antropologica prima che politica

Europa 29 settembre 2010
Le reazioni scomposte ai 76

Paolo Giaretta

Nel Pd c’è una questione antropologica prima che politica? Mi sembra di sì a vedere le reazioni scomposte al documento dei 76, prima che fossero corrette dalle sagge parole del segretario Bersani in Direzione.
Nei partiti che ho attraversato prima di partecipare alla costruzione del Pd – dalla Dc, al Ppi, alla Margherita – la reazione sarebbe stata diversa, del tipo: “il segretario considera il documento un utile contributo al dibattito che sarà oggetto di attento esame negli organi del partito”. Solo ipocrisia? No, l’adozione di uno stile.
Qui invece si è sentito parlare di favore all’avversario, di bomba atomica, di vigliaccheria, espressioni condite con la solita accusa (un classico nella storia della sinistra) di intenzioni scissionistiche. Insomma: il Partito (con la P maiuscola) ha parlato, il congresso è stato fatto e non c’è null’altro da discutere. Devo dire che anche le preoccupazioni che mi sono state espresse nel mio territorio non erano critiche di merito (quasi nessuno aveva letto il documento). Vi era riflesso piuttosto un giustificato timore (visti i commenti dei dirigenti) di pericoli di divisioni, ma soprattutto l’idea che il dibattito pubblico non faccia bene al partito. Insomma sembrerebbe che il centralismo democratico sia vivo e lotti ancora tra di noi.
Il bello è che piuttosto dovremmo prendere sul serio il documento dei “giovani turchi”, in realtà i cinque più diretti collaboratori del segretario.
Un documento importante e non occasionale. Proprio in questo documento si parla di un Pd affetto «da rachitismo organizzativo, incertezza identitaria, ingovernabilità politica». Alla faccia. Se l’avesse detto Fioroni…
Altrettanto significativo è il livore che si è sentito nei confronti di Veltroni. Una specie di liberazione. Finalmente si può dire che l’idea veltroniana di destrutturare e modernizzare il Partito (sempre con la P maiuscola) sarebbe la causa di tutti i mali. Una parentesi da chiudere per sempre, e poco importa se il Pd è figlio legittimo della stagione dell’Ulivo e non del continuismo comunista. Ricorro ancora al citato documento dei giovani turchi, dove si descrive così il discorso di Veltroni al Lingotto: «summa teorica di una eclettica visione dell’Italia, mutuata da tutte le narrazioni dominate nel ristretto circuito delle nostre classi dirigenti». Critica legittima naturalmente, come è legittima la critica di Rosy Bindi, che del resto alle primarie si presentò in alternativa, con un’altra piattaforma. Resta il fatto tuttavia: con l’eclettica visione di Veltroni, sanzionata dal voto di milioni di cittadini alle primarie, prendemmo il 34 per cento dei voti e con la robusta visione organizzativistica, di un laburismo archeologico pre Blair di questi dirigenti, siamo in un anno passati da un 41 per cento di italiani che avevano molta o abbastanza fiducia del Pd ad un misero 26 per cento.
Dunque la questione antropologica ci riporta alla politica. Rimboccarsi le maniche certo. È una bella espressione. Ma rimboccandosi le maniche vediamo un po’ di vedere se la strada è giusta. Perché in un paese piegato da una crisi che è etica, economica, di prospettiva, che assiste attonito all’indecoroso spettacolo offerto dalla destra, ci sarebbe da aspettarci che gli elettori si guardino attorno, ma da noi non guardano. Lavoriamo per la Ditta dice Bersani, giusto. Ma quando i clienti sono in calo cosa fa una ditta? Può cambiare il management. Questo l’abbiamo già fatto e sarebbe un errore cambiarlo prima del tempo. Si può aggiornare il prodotto e fare un packaging più accattivante. L’unica cosa che non si può fare è rimettere sul mercato i vecchi modelli e prendersela con i clienti perché non li comprano.