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6.12.10

Verso Nord: Maurizio Fistarol lascia il gruppo PD al senato

Corriere della Sera 6.12.10
Fistarol al Pd: al Senato mezzo gruppo può fare come me
di M. Gu.

ROMA — Bersani ha provato a trattenerlo e altrettanto ha fatto Veltroni. Maurizio Fistarol ha parlato con entrambi, ha ascoltato idee, lusinghe e forse anche profferte, ha ringraziato per «sincerità e simpatia» il segretario e il suo predecessore, ma non ha cambiato idea. Ha preso il suo bagaglio di esperienza politica — che lo ha visto per otto anni sindaco di Belluno, deputato e senatore — e, «non certo a cuor leggero», ha traslocato nel gruppo misto.
Non per mettersi sul mercato dei parlamentari in vista della fiducia, quando voterà no. Ma per aderire al «nuovo polo di Fini e Casini come senatore di Verso Nord, il movimento politico che ho fondato con Massimo Cacciari e che vanta adesioni in tutte le province del Settentrione».
Lo ha scritto nella lettera ai «carissimi amici» del Pd, in cui li informava che sarebbe sceso dal treno: «Ritengo che una diversa stagione, di cui il nostro Paese ha urgenza, possa nascere solo con l’iniziativa del nuovo polo che sta prendendo forma...». In onore alle sue linee guida, «coerenza e correttezza», ha informato gli ex compagni di strada di non aver contattato «un solo iscritto al Pd» per convincerlo ad aderire a Verso Nord. Adesso dovrà modificare il suo sito Internet, cancellando la voce «Democratici» e le insegne del ramoscello d’ulivo che ancora richiamano la stagione di Prodi. Di cui «Bersani è stato uno dei protagonisti meno peggiori».
È il ventunesimo addio di un parlamentare al Pd e, a quanto racconta l’ormai ex coordinatore nazionale dei Forum tematici, rischia di non essere l’ultimo. «Se dovessi fare una previsione dopo le chiacchierate con i colleghi senatori, dovrei pensare che mezzo gruppo del Pd è in procinto di uscire», sorride amaro Fistarol. Uno che ama i silenzi delle cime dolomitiche e, per temperamento, non sbatte porte. La critica è forte, ma prova a esprimerla con garbo: «Il Pd non ha alcuna capacità espansiva al di fuori degli steccati della sinistra. Come si fa a pensare di andare al voto con Vendola e Di Pietro, magari rifacendo l’Unione?». Avanti il prossimo.
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04/12/2010 Padova
FISTAROL LASCIA IL PD – FILIPPIN: “NESSUNA ALTERNATIVA VERA SENZA IL PD”
Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd, replica con una dichiarazione alla lettera aperta agli iscritti del Pd diffusa oggi dal Senatore Maurizio Fistarol, che conferma la notizia della sua adesione a Verso Nord.

“La lettera del senatore Maurizio Fistarol – spiega la Filippin – ufficializza una notizia di fatto già nota. La sua adesione a Verso Nord è una scelta che spiace: politicamente legittima, ma basata sul presupposto di un’analisi che non condivido. Il Partito Democratico non è una forza residuale o di testimonianza. È il perno indispensabile e inaggirabile di qualsiasi progetto di alternativa. Mentre la crisi finale del berlusconismo passa ovviamente anche dal ruolo di forze che appartengono al campo del centrodestra, una nuova stagione per il paese non potrà mai aprirsi senza il concorso e il protagonismo del Pd. Proprio per questo però concordo con Fistarol sul fatto che la strada dei democratici continuerà ad incrociare in futuro il percorso di chi, come lui, continuerà a battersi per un progetto di paese nettamente alternativo a quello offerto da un centrodestra giunto alla crisi finale”.

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La lettera di Fistarol:
Belluno, 4 dicembre 2010

Carissimi amici,
dopo una lunga e non facile riflessione ho preso la decisione di lasciare nei prossimi giorni il Gruppo PD del Senato e di aderire al Gruppo Misto; è giusto che ve ne trasmetta (anche se in estrema sintesi) le motivazioni. Desideravo farlo prima che la notizia fosse oggetto di attenzione da parte dei media, ma i meccanismi della comunicazione non sono controllabili.
Il Partito Democratico non corrisponde purtroppo alle ragioni per le quali era nato e io sono andato via via convincendomi che le difficoltà, strutturali, che incontra non possano essere superate. L’amalgama tra le storie, le culture, le sensibilità che dovevano comporlo non è riuscito: in troppe realtà il PD è una sommatoria di gruppi diversi che non costituiscono una casa comune. Ciò a cui tengo di più: il PD non ha alcuna capacità espansiva al di fuori dei tradizionali steccati della sinistra, rimanendo incompatibile con il cuore dell’elettorato italiano. In tal modo il PD svolge un compito significativo, per il quale nutro una grande considerazione, ma non la funzione cui è stata orientata tutta la mia attività politica e amministrativa dall’inizio degli anni ’90. E ciò avviene in un bipolarismo (purtroppo) malriuscito, che a sinistra rischia di riprodurre la disastrosa esperienza dell’Unione, sotto altre spoglie. Non credo davvero che l’alternativa al berlusconismo declinante possa essere l’alleanza con Di Pietro e Vendola.
Con le naturali difficoltà e contraddizioni ritengo che una diversa stagione politica, di cui il nostro Paese ha urgenza, possa nascere solo con l’iniziativa del nuovo Polo che sta prendendo forma; questo motiva anche la mia scelta parlamentare. Chi mi conosce bene credo comprenderà la coerenza di ciò che faccio con le mie idee. Voglio farvi sapere che in queste settimane non un solo iscritto al PD è stato da me contattato per aderire a Verso Nord o comunque per condividere la mia decisione. Sono convinto che il malessere nel PD produrrà scelte analoghe, ma quello che mi muove non è certo la volontà di danneggiare questo partito, bensì esclusivamente il bisogno di ritrovare senso e motivazione al mio impegno politico e di fare la cosa che ritengo giusta.
Credo che ci saranno comunque significativi momenti di incontro con chi prosegue la sua militanza nel PD. E spero davvero che, qualunque sia il pensiero di ciascuno di voi, il confronto possa avvenire con il rispetto e l’amicizia che, in ogni caso, da parte mia non mancheranno.
Maurizio Fistarol

1.12.10

Il PD Veneto "in sintonia" con la società: la narrazione democratica, oggi


Soave, domenica 5 dicembre
Dalle 9.45 alle 17.45
LA NARRAZIONE DEMOCRATICA
TRA STRATEGIE, LINGUAGGI, ELETTORI E NUOVI MEDIA

1.Comprendere i caratteri della società per sapere cosa e come comunicare
2.Strategia e comunicazione politica: come centrare l’obiettivo
3.Big-storming: come non annegare nei luoghi comuni e in vecchie prassi. Testimonianze di campagne.
4.Il PD come può parlare all’Italia del Nord? Alla ricerca di una risposta

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Programma
Prima sessione: pianificare
Comprendere i caratteri della società
per sapere cosa e come comunicare
Per parlare di comunicazione è imprescindibile la comprensione dei caratteri della società. Capire gli scenari, i pensieri, la pancia e il cervello dei cittadini.

Gianluca BORRELLI:
Fondatore di Termometro politico
Simone DE BATTISTI:
Sociologo consulente
Roberto BASSO:
Analista politico e consulente di comunicazione, agenzia Civicom


Seconda sessione: fare
Strategia e comunicazione politica:
come centrare l’obiettivo
Capita la società e compresi i diversi caratteri, è importante avere una strategia.
Comunicare senza strategia è come non comunicare.
Come individuare la strategia per il messaggio che vogliamo portare?

Marco CACCIOTTO:
professore di marketing politico all’Università di Milano,
segretario di Aicop (italian asscociation of political and public affairs)
Dino AMENDUNI:
agenzia Proforma (..quella di Vendola, Emiliano e di Bersani)
Salvo SCIBILIA:
agenzia Aldo Biasi Comunicazione (..quella di “Rimbocchiamoci le maniche”)
Guido PORRO:
consulente strategico, cofondatore ExtraVergineDiComunicazione

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PAUSA PRANZO
Pranzo con tortellini di Valeggio

Ospiti:
Rosanna FILIPPIN
Segretaria Pd Veneto
Maurizio MARTINA
Segretario Pd Lombardia
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Terza sessione: confrontare
Big-storming: come non annegare
nei luoghi comuni e in vecchie prassi.
Testimonianze di campagne.
Confornto tra i relatori della mattina e il pubblico
+ testimonianze pratiche: Flavio Zanonato (sindaco di Padova), Luca Checola (di Spindoctoring), Grazia Spinosa (esperta in strategie di comunicazione multicanale)

Quarta sessione :: decidere
Il PD come può parlare all’Italia del Nord?
Alla ricerca di una risposta
Pippo CIVATI (Consigliere Regionale Lombardia)
Flavio ZANONATO (Sindaco di Padova)

E con:
Franco BONFANTE (Responsabile Comunicazione Pd Veneto
Annamaria ABBATE (Responsabile Formazione Pd Lombardia)


sintonizziamoci

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Cos’è sintonizziamoci?
E’ un convegno formativo sulla comunicazione politica.
Strategie, tecniche e nuovi strumenti per comunicare bene le proposte del Pd.

Chi organizza?
E’una iniziativa congiunta di Pd Veneto e Pd Lombardia

Dove?
Cantina Sociale Di Soave
Via Borgo Covergnino, 7
Soave (Verona)

Relatori?
Esperti del settore, docenti, professionisti e agenzie di comunicazione.

Chi può partecipare?
E’ un incontro aperto a tutti i dirigenti, amministratori e iscritti del Partito democratico.

Orario?
Domenica 5 dicembre,
dalle 9:45 alle 17:45.

Costo?
La partecipazione prevede una quota di 15 euro che copre anche il pranzo.

24.11.10

Il PD Veneto rilancia la sua proposta per il Nord a Vicenza

la Nuova Venezia — 24 novembre 2010

Il Pd nordista nasce a Vicenza. Senza Bersani

VENEZIA. Il Pd veneto prova a ripartire e chiama raccolta tutte le energie “sopravvissute” al tonfo elettorale di marzo. Lo farà sabato, a Vicenza, con una convention dal titolo allusivo - «Il Veneto che soffia in Italia» - sul cui esito il gruppo dirigente investe gran parte delle sue chances. Lo farà perché non si rassegna a recitare un ruolo marginale nel cuore del Nordest. Lo farà in assenza del segretario Pierluigi Bersani che, a sorpresa, ha declinato l’invito. «C’è rammarico e anche un pizzico di delusione», ammette il segretario regionale Rosanna Filippin che più di altri ha lavorato per questo obiettivo «perché a Vicenza Bersani avrebbe assistito a una manifestazione di vitalità del Pd. Inoltre, c’era l’occasione di lanciare un segnale di vicinanza a questa città e a questo territorio in un momento difficile. Certo, la crisi di Governo incombe e gli impegni di un leader sono tanti, però... ». Il però proviamo a tratteggiarlo noi. Il meeting di Vicenza ha un’impronta dichiaratamente pragmatica e focalizza l’esperienza democratica di governo nel Veneto: a spiegare «come si vince e come si amministra» non saranno i capi del partito ma i sindaci: Flavio Zanonato (Padova) e Achille Variati (Vicenza), Laura Puppato (Montebelluna) e Roger De Menech (Ponte di Legno); nonché il presidente della Provincia di Rovigo, Tiziana Virgili. Esempi controcorrente in un’area a forte vocazione leghista, dove le tradizionali parole d’ordine della politica progressista sembrano smarrire appeal ed efficacia. C’è un retropensiero che ispira la convention vicentina. E’ quello illustrato a più riprese da Sergio Chiamparino, il sindaco di Torino e presidente dell’Anci che concluderà i lavori: è l’idea di un partito democratico del nord, federato al nazionale ma autonomo nei suoi processi decisionali sul territorio, capace di intercettare - e di tradurre in iniziativa politica - bisogni, idee e volontà che a Roma giungono in forma di eco, attenuato e spesso marginale. «Sì, io credo fortemente nel modello di un partito nordista che dica la sua senza mascherarsi né chiedere il permesso», commenta Rosanna Filippin «è il Pd del fare, quello che vogliamo». Lo vogliono proprio tutti? «Avverto un ampio sostegno intorno al progetto, qualcuno che dissente c’è e ci sta». Perché non è questione di correnti interne - il vertice veneto è schierato senza tentennamenti con Bersani - ma di prospettiva. Il successore di Walter Veltroni al timone della maggiore forza di opposizione non condivide affatto l’assetto federalista caldeggiato dai compagni del nord: «Noi siamo una grande forza nazionale», ha scandito «non una confederazione di partitini locali». Tant’è. Sabato, alla Fiera di Vicenza, saranno quattro i temi in primo piano: lavoro e crisi economica, fisco e autonomie locali, scuola e integrazione. L’obiettivo è formulare proposte convincenti e veicolarle in altrettante campagne di opinione e di mobilitazione. «Sono presuntuosa, un giorno arriveremo a governare il nostro Veneto», si sbilancia la Filippin. Presentuosa, sì.
Filippo Tosatto

23.11.10

Roma 11 Dicembre: si mobilita anche il PD provinciale



Care Democratiche e cari Democratici,

pur consapevoli dell'impegno richiesto in queste settimane per l'organizzazione dell'iniziativa del "porta a porta", vi chiediamo di prestare particolare attenzione alla manifestazione nazionale dell'11 dicembre, anche alla luce del voto di sfiducia/fiducia al Governo che il 14 dicembre ci sarà alle Camere.

Vi invitiamo, pertanto, a mobilitarvi per garantire una presenza significativa dei democratici della provincia di Venezia alla manifestazione.


Il Partito nazionale sta, al riguardo, predisponendo dei treni speciali con accesso gratuito, gli orari e le stazioni di partenza vi saranno comunicati non appena disponibili.

Vi chiediamo, quindi, di inviarci via mail un primo elenco delle adesioni che raccoglierete tra iscritti e simpatizzanti ENTRO MARTEDI' 30 NOVEMBRE.

Vi alleghiamo il volantino della manifestazione e vi ricordiamo altresì l'Assemblea regionale di sabato 27 a Vicenza.

Cordiali saluti.

Il Segretario Provinciale
Michele Mognato
Il Responsabile Organizzativo
Claudio Bertolin

22.11.10

"Porta a Porta" provinciale: oltre 200 iniziative in tutti i Comuni

Dario Franceschini incita il Pd veneziano
la Nuova Venezia — 22 novembre 2010


Almeno duecento persone, molte rimaste in piedi, hanno affollato ieri il centro culturale S.Maria delle Grazie per l’incontro organizzato dal Partito Democratico veneziano con Dario Franceschini, capogruppo alla Camera del Partito Democratico. L’appuntamento con il titolo «L’Italia merita un governo migliore» ha visto Franceschini intervenire sui temi nazionali e sulla crisi di governo che dovrebbe concretizzarsi nell’oramai prossimo voto di sfiducia, fissato per il 14 dicembre contro il governo Berlusconi. Il Partito Democratico veneziano con il segretario provinciale Michele Mognato ha invitato i vertici nazionali a portare con forza all’attenzione di Roma e del Parlamento temi particolarmente sentiti in città, dalla crisi industriale di Porto Marghera alla riforma della Legge speciale per Venezia. All’incontro ha partecipato Laura Puppato, segretario regionale del Pd in una sala affollata di persone.
L’incontro con Dario Franceschini è uno degli appuntamenti più importanti della campagna «porta per porta» voluta dal segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani per diffondere il programma del partito, che si candida ad essere alternativa al governo Berlusconi. Oltre 200 iniziative fino al 6 dicembre in tutti i Comuni. Banchetti ai mercati, gazebo informativi (su Tav, sanità, scuola, lavoro e tasse) e dibattiti su temi nazionali e locali. Ed è partita anche la mobilitazione in vista della manifestazione nazionale del partito a Roma fissata per l’11 dicembre. Si sta organizzando un treno speciale e numerosi bus per la capitale, con l’impegno dei 78 circoli e della Federazione di Mestre che sta raccogliendo disponibilità e adesioni. Per informazioni: 041.616057. (m.ch.)

9.11.10

Rosanna Filippin: a Vicenza il 27 novembre Convention regionale


08/11/2010 Padova
DIREZIONE REGIONALE – L’INTERVENTO DI ROSANNA FILIPPIN


Il 27 a Vicenza, convention regionale con iscritti e amministratori da tutta la regione.


La crisi politica in corso a livello nazionale e le lezioni dell’alluvione in Veneto. Parte dalle vicende romane per arrivare all’emergenza maltempo la relazione di Rosanna Filippin alla direzione regionale del Pd, a cui il segretario propone un percorso politico di mobilitazione sui temi del fisco (meno tasse per il lavoro e più per le rendite), autonomie locali (no al federalismo senza risorse, sì alla riforma del Patto di Stabilità), della scuola (più risorse per scuola e ricerca) e dell’immigrazione (gestire un futuro di integrazione nelle chiarezza delle regole tra vecchi e nuovi veneti).

Primo appuntamento di questo percorso il 27 novembre alla Fiera di Vicenza, dove per tutta la giornata il Pd chiamerà a raccolta gli iscritti di tutta la regione, insieme agli amministratori dei centri governati dal centrosinistra, per un rinnovato patto in nome del Veneto e del cambiamento del paese. “Perché il progetto dell’alternativa – spiega la Filippin – non sarà mai credibile se non saprà parlare al Nord”.


In quell’occasione, l’assemblea regionale discuterà i documenti preparati dai 4 gruppi di lavoro coordinati da Pier Paolo Baretta (Lavoro e crisi economica), Paolo Giaretta (Fisco e autonomie locali), Alessandro Naccarato (Scuola) e Luigi Creazzo (immigrazione).


Commentando le divisioni nel centrodestra, la Filippin ha dichiarato: “Le cifre dei sondaggi ci dicono chiaramente che la crisi del centrodestra non è sufficiente a rendere vincente la nostra alternativa. Bisogna fare di più. Ma è vero anche che la differenza tra i due maggiori poli, fattore decisivo con una legge elettorale in cui vince chi prende anche solo un voto in più, si va riducendo ed è contendibile”.


Quanto alla prospettiva del terzo polo, a cui si è rivolto anche l’ex dirigente del Pd Diego Bottacin, Filippin ha detto: “Il terzo polo ha un suo spazio elettorale, ma da solo non è sufficiente. Quindi la scelta fondamentale, anche per le terze forze, è e resta quella tra chi vuole proseguire l’esperienza di Berlusconi e chi invece vuole aprire una pagina nuova”.


“Il ruolo del Pd – ha aggiunto la Filippin – è senza dubbio dalla parte di chi vuole cambiare lo stato attuale del paese”. E a quanti rimproverano al Pd di declinare una proposta politica di pura difesa dell’esistente, Filippin replica così: “Non difendiamo nulla di ciò che merita di essere cambiato. Il sistema fiscale, che punisce lavoratori e imprese; il Patto di stabilità, che strozza i Comuni virtuosi; un regime di scuola e università che non premia il merito di studenti e docenti; un mercato del lavoro che lascia i giovani senza reti di protezione; e una legge elettorale infame, che toglie ai cittadini il potere di scegliere”.


E commentando l’emergenza alluvione (oggi la Filippin ha accompagnato il vicesegretario nazionale Enrico Letta a Vicenza), la Filippin ha rinnovato la richiesta del Pd per stanziamenti immediati in Finanziaria a favore delle popolazioni colpite, insieme alla sospensione dei tributi per aziende e famiglie e la deroga al Patto di Stabilità per i Comuni interessati.


“Nell’emergenza – ha concluso la Filippin – e soprattutto nella reazione ad essa da parte dei cittadini, ci sono dei segnali da cogliere e delle lezioni da cui imparare. C’è il buon esempio dei cittadini. Come quelle migliaia di volontari che nelle città e nei Comuni hanno risposto con generosità alla chiamata della propria comunità. Nel nostro Veneto, c’è una forte e trasversale la voglia di fare, che scatta quando c’è in gioco c’era un bene più grande degli interessi individuali. A questa voglia di fare- ha detto la Filippin – il Pd dev’essere capace di rivolgersi, per dare anche la speranza di un progetto positivo per il paese. Se saprà fare questo – ha concluso la Filippin – riuscirà a chiamare a sé nuove energie e nuovi consensi. E allora, anche la sfida di liberare il paese dal fango politico che lo sta soffocando, sarà una sfida meno difficile”.

2.11.10

Verso Nord non sarà un'alternativa al PD

Verso Nord senza bussola
la Nuova di Venezia — 02 novembre 2010
VENEZIA. Sarà «Verso Nord» l’alternativa veneta al Pd, il porto di approdo di chi ha deciso di andarsene dal partito? Chi conosce la politica veneta da anni, non da ieri, è scettico. E non solo per i precedenti rapidamente falliti del «partito dei sindaci» o del movimento del Nordest. Non tutti i delusi dal Pd condividono la trasformazione della nuova iniziativa politica in partito. E sul fronte opposto, c’è davvero chi pensa che l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan sia disposto a divorziare? Divorziare da Berlusconi nei fatti, e non a parole? Né appare in grado di dare una svolta radicale la tanto ventilata nascita di un terzo polo a livello nazionale: i politologi ne valutano la consistenza in un 10-15 per cento al massimo, dunque non in grado di far saltare il malconcio bipolarismo attuale. Almeno fino a che il Cavaliere non uscirà di scena.
C’è piuttosto ancora chi (e non sono pochi) intende lavorare dall’interno del Pd veneto per restituirlo all’idea originaria. Come Paolo Giaretta (nella foto), ex segretario del partito, tra i firmatari del documento di Veltroni. Che esorta a non seppellire le critiche, anche se aspre, ma ad affrontare un serio autoesame:
«Quando un partito comincia ad avere paura delle idee, a fare
la caricatura delle opinioni altrui, a evocare scenari scissionistici che non
esistono piuttosto che entrare nel merito delle proposte, vuol dire che non è in
buona salute. Facciamo un buon servizio al partito tacendo, e lasciando che
subisca questa deriva?».
E chiama in causa il severo giudizio di «Famiglia Cristiana» lì dove sostiene che la crisi del Pd è più grave di quella del Pdl, e che il partito è «incapace di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui cotruire un mondo migliore». Ci sono nostalgie del Pci anni Cinquanta che vanno abbandonate, sostiene Giaretta; il quale sottolinea che «ho lavorato troppi anni per costruire un incontro tra i riformismi del Paese, per assistere oggi silente al rischio della sconfessione di quel progetto».
Un progetto che con Veltroni aveva ottenuto il 34 per cento dei voti, e che ora è franato al 26. Sulle opinioni si può discutere, i numeri fanno testo. Cosa non ha funzionato nel Partito Democratico? Spiega dall’interno una voce critica come quella di Arturo Parisi: «In questi anni ci siamo dedicati alle conte, ci siamo contati molte volte, abbiamo contato un numero sempre maggiore di persone, abbiamo elaborato tecniche raffinate di conta. Quello che non sappiamo è che cosa abbiamo contato». E aggiunge: «Il nostre problema non sono né Veltroni né Franceschini né Bersani, e neppure D’Alema. Il problema è che in questa disgregazione in questa confusione, quella di cui il partito non dispone è una bussola. Da ciò la mia ossessiva ripetizione: dite pure con chi state, ma prima ancora che cosa volete».
Dall’esterno, un politologo autorevole come Luca Ricolfi parla di una crisi strutturale dei due maggiori soggetti politici, costituiti da appena due anni: «Se Pdl e Pd scricchiolano, non è solo perché i loro dirigenti sono litigiosi e irresponsabili. La ragione vera è che, per quanto appena nati, sono già due partiti vecchi».
C’è ancora una chance per il Pd di evitare di seguire le orme del Pdl, con una rottura dall’interno? Difficile dirlo. Viene in mente una vecchia battuta di Elio Armano, già segretario veneto del Pds, nei mesi in cui il Pd era in cantiere: «Un’idea così bella, che quasi quasi è meglio non prenderle la tessera». Il sospetto è che finisca per rivelarsi molto più (e peggio) di una battuta. (2. fine) Francesco Jori
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Se l'addio di Bottacin scatena una slavina
la Nuova di Venezia — 19 ottobre 2010
VENEZIA. E se proprio dal Veneto si mettesse in moto la slavina destinata a frantumare il Pd, com’è accaduto invece da Roma per il Pdl? L’addio al partito di Diego Bottacin, da anni tra i protagonisti principali del centrosinistra regionale, è tutt’altro che un fatto isolato. E i nomi destinati con molta probabilità a seguirlo, da Maurizio Fistarol ad Achille Variati, non saranno a loro volta meteore. Nella base del partito matura da mesi un malumore crescente, acuito dalla secca dichiarazione con cui il segretario veneto Rosanna Filippin ha liquidato l’uscita di Bottacin: non condivido neanche una virgola della sua analisi.
Ma come altro spiegare allora dei dati incontrovertibili? Un Pd che ha perso quasi metà del suo elettorato, che è inchiodato a un misero 20 per cento, che in quattro province su sette è al di sotto della media regionale. Che ha puntato per le regionali su un candidato il quale sulla carta dovrebbe essere il capo dell’opposizione e che è relegato in una stanzetta dove fa malinconicamente gruppo a sé, di fatto desaparecido dal giorno dopo il voto. Che si sgretola dall’interno, tra dimissioni dalle cariche e abbandoni eccellenti. Che alle politiche di due anni fa si è fatto imporre un capolista già andato per conto proprio, e poi impegnato nelle serenate ad Arcore per cercare di ottenere un posto da ministro. Non è solo un malessere interno, certo. Pesa soprattutto la questione di respiro nazionale aperta dal documento di Veltroni, che si riflette anche in Veneto. E che non si può liquidare con una sorta di contrapposizione tra ex Ds ed ex Margherita, anzi: il malessere taglia in due i vecchi partiti. Con una parte minoritaria rappresentata dagli ulivisti, i quali contestano alla maggioranza di voler un po’ alla volta fare del Pd un partito socialdemocratico, liquidando così l’idea originaria della nuova formazione politica. Finora la spaccatura è stata evitata, ma fino a quando? Basta scorrere un paio di passaggi del cosiddetto documento dei quarantenni, quelli definiti «i giovani turchi»: il partito versa in una condizione di «rachitismo organizzativo, incertezza identitaria e ingovernabilità politica»; ci sono «dirigenti che parlano sempre più spesso come divi di Hollywood in tour promozionale, capaci di ripetere soltanto quanto amino l’Italia, le sue bellezze artistiche e i suoi struggenti paesaggi».
L’assemblea nazionale di inizio ottobre ha segnato una tregua, non certo la pace. Perché, come ha detto proprio in quell’occasione Dario Franceschini, quando ci si ritrova tutti assieme si inneggia all’unità e dal giorno dopo si ricomincia a litigare e a dividersi. Ma ciò che sta accadendo in Veneto non si può liquidare con un semplice litigio: dietro c’è un calo di consensi di oltre sei punti in soli due anni, lasciando sul terreno qualcosa come oltre 350mila voti, passando da 810mila a 450mila. Con una gestione unitaria ormai di pura facciata, cui hanno dato il primo colpo (non sarà l’ultimo) le dimissioni di Andrea Causin dalla vice segreteria regionale. Dopo la Calabria, il Veneto è l’area che ha presentato il peggior risultato alle ultime elezioni; aggravando così una condizione di cronica debolezza che non si può certo liquidare col «prego si accomodi» rivolto a chi se ne va. E che non si risolve certo limitandosi a cambiare questo o quel dirigente, segretario incluso: è il partito ad avere bisogno di una cura radicale.
(1 - continua) - Francesco Jori

1.11.10

Movimento Democratico Veneto: il programma

IL PD CHE CRESCE, PER L’ITALIA CHE CAMBIA
MANIFESTO POLITICO-PROGRAMMATICO PER IL RILANCIO DEL PD
Il PD è nato per cambiare l’Italia, in meglio. Sull’idea che coraggiose riforme possono rendere il paese più equo, più libero, più dinamico. Per questo ha suscitato l’attenzione di tanti elettori. Ha saputo riorganizzare politicamente il proprio campo ed obbligare il campo avverso a mettersi in movimento.
Gli italiani nel 2008 si sono affidati ancora una volta a Berlusconi.
Ora è evidente il suo fallimento: un paese non si governa con un racconto, ma facendo le scelte necessarie, mettendo in fila le priorità, preparando le cose che servono al futuro. Con un dovere di verità di fronte al paese: nel non nascondere la verità, nell’indicare obiettivi e sacrifici necessari per il bene comune, per migliorare la vita degli italiani. Sapendo unire più che dividere il paese.
La parabola del berlusconismo, con la sua pretesa carismatica e populista, volge al declino. Lascia una eredità devastata: gli italiani sono più poveri e più diseguali, il paese più diviso e fazioso, l’etica pubblica è stata disprezzata, lo spirito competitivo delle imprese è stato depresso, le istituzioni sono state messe a dura prova da continui conflitti, la democrazia indebolita con la limitazione della libertà d’informazione.
Il PD ha la responsabilità di saper raccogliere questa eredità disastrata e di proporsi agli italiani con le idee e le parole che servono per risanare queste ferite. Per questo siamo nati: per essere pronti alla nuova difficile fase della vita democratica che si sarebbe aperta con il declinare inevitabile del leaderismo berlusconiano.

L’ iniziativa di Movimento Democratico nasce anche per questo, per contribuire ad affrontare una questione che non può essere nascosta se si vuole bene al PD: perché di fronte al fallimento dell’azione del Governo, all’allontanarsi di tanti elettori dalla sirena berlusconiana, il PD non riesce ad essere preso in considerazione come possibile alternativa? Pensiamo che il motivo principale sia uno: un partito riformista per essere credibile deve avere come cifra caratterizzante quella del cambiamento e non quella della conservazione. Conservare ciò che è buono certamente, ma innovare le risposte di fronte ai tanti problemi nuovi che restano irrisolti. Deve saper proporre un progetto per il paese che lo accompagni nei territori del futuro. Aver abbandonato questa tensione riformista ripiegando su risposte e modelli organizzativi più tradizionali ha reso meno competitivo il PD. Vogliamo contribuire a far sì che il PD possa riprendere quella spinta innovativa che aveva convinto milioni di italiani ad affidarvisi con fiducia. E’ questo il momento di farlo.

A maggior ragione bisogna farlo nel Veneto. Anche qui presto vi sarà il bilancio di un fallimento. Il primo semestre di Zaia si è consumato tra slogan privi di contenuto, inni e bandiere. Nella Lega crescono risse interne che stanno paralizzando l’azione amministrativa, che si aggiungono ai dissidi tra i partiti della maggioranza. Il malaffare si diffonde con comportamenti penalmente rilevanti o del tutto discutibili sul piano dell’imparzialità e della corretta amministrazione. La grande occasione del federalismo è stata ridotta ad uno scambio ineguale con Roma: tagli eguali per tutti (indipendentemente dai meriti) in cambio di più tasse locali.
Il Veneto si merita altro. Non si può lasciare sola una grande piattaforma produttiva ed innovativa alle prese con trasformazioni epocali. Sono evidenti le conseguenze negative sull’occupazione, sulla natalità delle imprese, per il lavoro autonomo, per la ricerca applicata, per la coesione sociale, tutte risorse che hanno fatto grande il Veneto.
La Lega non ce la fa perché è sbagliato il modello proposto: l’idea di un localismo impaurito, autosufficiente ed assediato che si chiude in modo difensivo all’Italia ed al resto del mondo. Ma i Veneti sono stati grandi perché non hanno mai avuto paura: di avere gli occhi aperti sul mondo, di imparare a fare cose nuove, di costruire relazioni.
Il PD è chiamato ad interpretare e rappresentare questa idea del Veneto. Un Veneto che non ha paura di sfide nuove, e le vuole affrontare costruendo il futuro sui tre pilastri che lo hanno trasformato da regione depressa a locomotiva d’Europa: il lavoro buono, il territorio come risorsa, la coesione sociale per rendere più facile il vivere.
La qualità del lavoro, di tutto il lavoro, dei lavori che hanno nomi diversi ma insieme sono risorsa decisiva: operai, tecnici, imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti, manager sono nello stesso modo il capitale umano su cui costruire il Veneto del futuro.
Insieme a chi fa ricerca, trasmette sapere, fa funzionare la macchina pubblica. Non è tempo di contrapposizioni: è tempo di di un impegno comune per creare ricchezza, dividendone in modo equo i frutti.
Qualità del lavoro significa oggi investire sulle giovani generazioni, sulla qualità dell’istruzione e della ricerca, sull’istruzione tecnica di qualità, sull’istruzione permanente.
Dotarsi di un sistema di flexicurity regionale, capace di offrire insieme alla flessibilità più sicurezza quando manca il lavoro.
Aiutare di più i giovani ad essere imprenditori di sé stessi, aiutare le imprese che sostengono costi di ricerca e innovazione. Vuol dire aiutare gli atenei veneti nel progetto di integrazione, far raggiungere massa critica ai Parchi Scientifici esistenti.
Il territorio che va ricucito e ricomposto, attorno alle grandi reti tecnologiche e di gestione. L'energia e le potenzialità della piattaforma veneta delle rinnovabili, i rifiuti ed il ciclo di riuso, la logistica, la banda larga, il sistema del trasporto in cui centinaia di migliaia di cittadini veneti soffrono quotidianamente e con cui le imprese perdono la competitività recuperata all’interno dello stabilimento. Ritardi non più accettabili. Prima il Veneto, ma per essere primi bisogna risolvere questi nodi. Un territorio che sappia guardare ai suoi beni ambientali e monumentali come un grande lascito cui dedicare la necessaria protezione e manutenzione, ma anche come una grande risorsa economica e culturale per il futuro, che nessun concorrente potrà "copiare".
Infine le nuove condizioni della convivenza sociale, con la ridefinizione di un welfare a carattere comunitario, la costruzione di nuovi luoghi di partecipazione e inclusione dei cittadini. I poveri esistono anche nel ricco Veneto, le emarginazioni e le solitudini possono essere combattute con quello spirito solidale, che vive delle azioni delle istituzioni e dei cittadini liberamente associati, che in termine tecnico si chiama "capitale sociale", che fa parte delle radici profonde della comunità veneta.
Possiamo rappresentare un Veneto che vuole vincere la sfida della modernità contrapposto ad un Veneto conservatore, che vive di mille paure e finisce per subire inevitabilmente le cose più grandi di sé.
Questa è la sfida per il PD. Un PD che non abbia paura del confronto.
Se fatto sulle cose grandi e serie che riguardano il benessere dei cittadini ed il loro futuro il confronto non spaventa gli elettori.
Noi siamo il Partito Democratico: un partito che si è chiamato così perché pensa che i processi democratici e partecipativi sono una risorsa migliore di quella offerta da solitarie leadership o da sorpassati modelli centralistici.
Il PD potrà adempiere alla propria missione se sarà capace di uscire dal troppo ridotto insediamento in cui è oggi rinchiuso: quello territoriale che ci vede troppo deboli al Nord, quello sociale, perché non può bastare una base di riferimento concentrata in lavoratori pubblici e pensionati.
Noi pensiamo che questa capacità espansiva del PD possa essere coltivata con successo. Che sia la premessa necessaria per essere punto di riferimento di alleanze politiche e sociali necessarie a proporsi per il governo del paese. Occorre però chiedere ed offrire più coraggio.
Movimento Democratico
Sen. Paolo Giaretta, Sen. Mariapia Garavaglia, On.le Giampaolo Fogliardi, On.le Andrea Martella, On.le Simonetta Rubinato, On.le Rodolfo Viola

30.10.10

Michele Mognato esordisce alla segreteria del PD veneziano

«Il Pd c è, non è un partito di ex»
la Nuova Venezia — 30 ottobre 2010
Venticinque pagine di relazione, che parte dalla situazione nazionale fino a dettare l’agenda dei grandi temi su cui farsi sentire a livello veneziano e regionale (dalla Sanità ai temi del lavoro e dell’impresa, dalla Tav alla Romea commerciale). Che parte dal riconoscere «sbagli e limiti come primo passo per la vittoria nel 2014», per strappare la Provincia alla Lega Nord.
«Il Pd c’è», dice il nuovo segretario provinciale del Partito Democratico Michele Mognato, eletto ieri sera al congresso all’hotel Russott di Mestre. «E non è più un movimento di ex che alimentano memorie».
Michele Mognato parte dal mea culpa, dalla sconfitta alle elezioni provinciali del 2009: «non siamo stati ritenuti interlocutori validi, non siamo stati capaci di comprendere per tempo le trasformazioni della struttura ecnoomica e sociale della provincia e di mettere in campo una nuova coalizione che uscisse dall’ambito tradizionale del centrosinistra».
Il futuro è quello indicato da Bersani, il «nuovo Ulivo» aperto al centro moderato. Al Pd veneziano, Mognato chiede di mettere al bando personalismi e cordate e di lavorare per un partito «realmente popolare, capace di raccogliere le istanze che provengono dal mondo del lavoro, della scuola, dell’associazionismo e trasformarle in proposta politica».
Una lunghissima relazione quella di Mognato, ben 25 pagine, con un intervento di oltre un’ora, e proposte sia sui temi da curare sia sul metodo, come le primarie per scegliere i parlamentari da candidare e la trasparenza con la pubblicazione dei redditi dei dirigenti. E sui dimissionari Causin e Bottacin, Mognato spiega che «non è con le dimissioni che si trova una soluzione ai problemi ma con l’approfondimento e il confronto». Anche se poi avverte: quando la direzione provinciale decide, tutti dovranno seguire la linea indicata.
Mognato intende lanciare un progetto metropolitano regionale per la provincia di Venezia, con grande attenzione al mondo del lavoro e all’impresa, alla sanità, alla scuola, al precariato, alle scelte infrastrutturali (Tav e Romea commerciale), con un Pd portatore di proposte proprie. Come sulla Legge speciale, per cui serve una legge nuova, «federale». Al ministro Brunetta il segretario chiede di garantire «le centinaia di milioni di finanziamenti promessi in campagna elettorale». E al sindaco Orsoni il messaggio è chiaro: «Non giochi di rimessa rispetto alle ipotesi del ministro ma sia protagonista nel costruire la nuova proposta di legge, coinvolgendo la città e gli altri comuni interessati. Chiedo di giocarsela questa partita: al suo fianco avrà il partito democratico. Non bastano tattica e buone relazioni».

19.10.10

La futura rotta del PD Veneto

Pd cambia rotta: mano tesa a Udc e finiani
la Nuova di Venezia — 19 ottobre 2010
PADOVA. Rosanna Filippin resta al timone dei democratici veneti. Dopo tre ore di confronto, a tratti acceso, l’ufficio di coordinamento del Pd le ha confermato piena fiducia. Ma non è questa la novità più rilevante emersa da un vertice che - da Laura Puppato a Paolo Giaretta, da Felice Casson ad Alessandro Naccarato - ha riunito l’intero gruppo dirigente. A spiccare, invece, è il cambiamento di rotta contenuto nella relazione del segretario: una svolta che include l’autonomia «spinta» del partito (federato alla «centrale» romana ma libero nell’elaborazione programmatica), la scelta privilegiata delle alleanze - con l’apertura dichiarata al terzo polo, Udc e finiani in testa - e il ritorno sul territorio con quattro campagne (lavoro, federalismo, immigrazione, scuola) ritagliate su misura del territorio e capaci di restituire protagonismo al popolo dei 176 mila partecipanti alle primarie. A fronte del doppio choc ravvicinato - l’addio polemico del consigliere regionale Diego Bottacin («Il Pd ha fallito»), le dimissioni sconsolate del vicesegretario Andrea Causin («Siamo alla secessione degli elettori») - il segretario del Veneto ha giocato d’anticipo, evitando di minimizzare le difficoltà ma delineando la possibile «strategia d’uscita» da un declino allarmante e accelerato. «Si avverte forte il disagio di una componente del partito che non condivide il disegno politico attuale», ha scandito Rosanna Filippin alludendo al malessere dell’area Franceschini «dobbiamo farcene carico tutti, altrimenti questa frangia si allontanerà. E io non voglio un partitino di duri e puri, la testimonianza non mi basta. Voglio concorrere a costruire una forza vincente capace di aggredire l’egemonia della Lega e del Pdl». Affiora così il “modello Bassano”. Città ricca, moderata, apparentemente «vocata» al centrodestra. Dove, nove mesi fa, l’opposizione ha espugnato il municipio. Come? Con un’alleanza Pd-Udc-Civiche, che ha tra i suoi artefici un esponente di Futuro e Libertà. E la Filippin, che siede in giunta con la delega all’Urbanistica, ammette di guardare con particolare attenzione al nascente terzo polo: «Non quello a cui pensa Massimo Cacciari, che dopo aver contribuito a fondare il Pd ora vi colloca una pietra tombale sopra», punge «ma al nuovo soggetto che sentiamo vicino su molte questioni importanti e che si scopre incompatibile rispetto alla deriva leghiste e all’affarismo dei berlusconiani». Si cambia, insomma. Ma attenzione: siamo all’inizio, non all’epilogo, di un confronto che proseguirà nella direzione convocata il 5 novembre: «Io metterò a disposizione il mio incarico, se in questa fase le dimissioni risultassero utili non avrei esitazioni, grazie a Dio non ho problemi di sopravvivenza e mi sento a disposizione di un progetto». Ipotesi remota, in realtà. Un po’ perché il ruolo di parafulmine non sembra particolarmente ambito; molto perché il segretario gode dell’aperto sostegno di Pierluigi Bersani. A proposito: oggi Rosanna Filippin parteciperà alla riunione romana dei dirigenti regionali e poi incontrerà il leader del centrosinistra. Per dirgli cosa? «Per scambiare opinioni e idee», come avviene sempre «e anche per avanzare una proposta: vorrei che in Veneto la logica di maggioranza e minoranza uscita dal congresso, venisse - per così dire - sospesa. Abbiamo bisogno di tutti. Basta recinti, proviamo a vincere».

18.10.10

PD Veneto:c'è chi invoca un radicale rinnovamento della classe dirigente

Corriere del Veneto 18 ottobre 2010
Democratici sul Titanic
Umberto Curi


Meglio tardi che mai. Ridotto all’osso, potrebbe essere questo il commento alla decisione assunta da Andrea Causin, il quale si è dimesso dalla carica di vicesegretario regionale del Pd. Limpide, e sostanzialmente persuasive, anche le motivazioni addotte per spiegare questa scelta. Da un lato, la paurosa emorragia di elettori registratasi fra le politiche del 2008 e le regionali del marzo scorso, con un saldo negativo di oltre il 40% di voti in meno. Dall’altro lato, la denuncia dell’incapacità del gruppo dirigente di capire le ragioni del mancato radicamento del partito nel territorio. Parole chiare - finalmente - seguite da comportamenti coerenti, anche se tardivi.
La crisi del Pd veneto ha ricevuto poi un’ulteriore accelerazione dall’annuncio del passaggio di Diego Bottacin, ultimo segretario della Margherita, sui banchi del gruppo misto in consiglio regionale. Un gesto, questo, certamente diverso da quello di Causin, il quale è rimasto nel partito, ma ugualmente indicativo di un malessere giunto ormai al limite.
Dopo l’incredibile vicenda di Giuseppe Bortolussi, scelto quale candidato governatore del centrosinistra, e poi dopo la sconfitta abbandonato al suo destino. Dopo la nascita di «Verso Nord», e la fuoriuscita di fatto di personaggi come Massimo Cacciari, questi colpi ulteriori segnalano che si è giunti davvero al capolinea.
Ma ciò che maggiormente preoccupa, in una situazione che non é esagerato definire drammatica, è la risposta della segreteria regionale, rimasta pateticamente arroccata in un atteggiamento inutilmente difensivo. Come se i 400mila elettori persi in un biennio fossero un’invenzione di Causin. Come se la clamorosa inadeguatezza culturale, tecnica e politica del gruppo dirigente regionale non fosse sotto gli occhi di tutti. Come se si dovesse attendere ancora chissà quale altra batosta elettorale per decidersi ad una resa dei conti rinviata da troppo tempo. Come se la perdita di tante figure così rappresentative non mettesse in questione, talora anche esplicitamente, gli orientamenti e le capacità di coloro che hanno governato il Pd nel Veneto da almeno un paio d’anni a questa parte. Davvero non si capisce cosa ancora si stia aspettando per azzerare da subito il quadro della dirigenza regionale, e anche di molte dirigenze provinciali, con lo spirito di chi tenti almeno di ricominciare da capo. Non vi è alcuna scadenza elettorale ravvicinata che possa giustificare un atteggiamento attendista. Il Titanic è oramai pieno di falle, imbarca acqua da tutte le parti, il naufragio è vicino. Restarsene sul ponte a danzare al suono di un’orchestrina, come se niente stesse accadendo, sarebbe l’ultimo di una serie già fin troppo lunga di comportamenti sbagliati e irresponsabili. Prima che la prospettiva del fallimento totale diventi inevitabile, si cerchi almeno di recuperare in extremis un po’ di dignità, riconsegnando agli elettori e agli iscritti la prerogativa di decidere l’assetto e gli orientamenti strategici del partito che dovrebbe essere il perno di un’alternativa al processo di leghizzazione galoppante. Mai come in questo momento si può dire che davvero, giunti a questo punto, l’unica cosa che si può perdere è una condizione di subalternità diventata giorno dopo giorno perfino umiliante. Il fondo è stato toccato. Con un po’ di coraggio e di onestà si può solo cercare di risalire.

16.10.10

PD Veneto: riassestamento, non smottamento

Il Mattino di Padova 16 ottobre 2010
VENEZIA. Il terzo polo si nutre dello smottamento delle due sponde. Che sulla riva del Pd sembra aver assunto le dimensioni della frana. Perché l'addio di Diego Bottacin è tutt'altro che un episodio isolato. Come lui hanno intrapreso la strada Verso Nord indicata da Massimo Cacciari, il senatore bellunese Maurizio Fistarol, che con Bottacin condivide un percorso da rutelliano doc, ma anche il veronese Gino Zardini, che nel partito ha ruolo di coordinamento per infrastrutture e mobilità. C'è poi il caso paradossale di un altro degli ispiratori di Verso Nord, quel Giuseppe Bortolussi la cui candidatura per conto del Pd - pur senza tessera - alle regionali 2010 deve ancora essere completamente metabolizzata e di chi il doppio carpiato l'aveva già fatto, come Massimo Calearo, meteora democratica, già approdato nelle fila dell'Api, ma che con gli ex compagni è destinato a ricongiungersi, appunto, nel terzo polo.
E proprio l'Api, che prima di altri aveva provato a riunire i delusi di Pd e Udc, rappresenta parte significativa di quell'area «altra» che sogna di farsi forza dei fuoriusciti degli schieramenti tradizionali sublimando in un incontro al centro con i finiani.
Accanto a loro figure di spicco che, pur assumendo sfumature di azzurro, mai - quantomeno non nella storia recente - hanno trovato posto in una casella di partito, dal costituzionalista Mario Bertolissi che Giancarlo Galan avrebbe voluto candidato sindaco di Padova nel 2009 a Franco Miracco, che del ministro dell'Agricoltura è portavoce da un decennio.
Malgrado uno scenario così articolato, gli occhi restano puntati tutti sul Pd, laddove la frana che conclude il suo percorso a valle non è necessariamente più importante dei movimenti di assestamento che restano interni al partito. Non a caso, ieri si sarebbe tenuto un incontro tra Paolo Giaretta, Andrea Martella e Rodolfo Viola, ovvero i parlamentari veneti che, a suo tempo, hanno firmato il documento di Veltroni, con nessuna volontà separatista se non la voglia di rimarcare differenze e difficoltà. A modo suo lo stesso Causin, lasciando la vicepresidenza, ha «battuto un colpo», ai suoi più che agli altri.
Più in generale, i malumori diffusi, non riuscendo a riaprire la questione congressuale a livello regionale, cercheranno di sanarsi nei congressi provinciali: del resto si mormora che Bottacin abbia accelerato la fuoriuscita dopo aver annusato la malparata nel Trevigiano. In questo senso il partito guarda con grande attenzione a Verona allo scontro tra D'Arienzo e Lonardi, mentre una convergenza su Mognato nel Veneziano potrebbe rasserenare gli animi in laguna. Insomma, ai piedi il compito di tenere l'equilibrio per evitare che cadano altre teste. Intanto lunedì riunione di coordinamento, per cominciare a ragionare sulla vicepresidenza. (s.z.)

15.10.10

Le dimissioni di Andrea Causin: la replica di Rosanna Filippin

PD Veneto, comunicato stampa 14-10-2010
Andrea Causin ha rassegnato questa mattina le dimissioni da vice segretario regionale. 39 anni, consigliere regionale alla seconda legislatura, Andrea ha partecipato come candidato della mozione Franceschini alle primarie per l'elezione del segretario regionale dell'ottobre 2009. Successivamente, ha assunto l'incarico di vice-segretario del Partito Democratico del Veneto, affiancando Rosanna Filippin per quasi un anno.
In una lettera inviata ai membri dell'Assemblea regionale, Andrea Causin spiega di aver scelto la strada delle dimissioni perché convinto che il Pd Veneto sia "privo da tempo di iniziativa politica" e non abbia saputo offrire alla "secessione" degli elettori, né "risposte di carattere politico" né risposte di carattere "organizzativo".
Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd Veneto, ha replicato all'annuncio con il commento che riportiamo:
"In momenti della vita di un paese come quello attuale un partito come il nostro, che è il perno dell'alternativa a Berlusconi, ha il dovere di unire tutte le sue energie. Il nostro non è il tempo dei passi indietro e delle fughe individuali, ma quello di un impegno raddoppiato, per accelerare la crisi che già divide il centrodestra. Penso che il progetto politico emerso dall'assemblea nazionale di Varese, con le proposte su fisco e merito, autonomie locali e federalismo, Pmi e crisi economica, ci consenta di proporre, anche in Veneto, un messaggio politico credibile. Il centrodestra aveva promesso più sviluppo, innovazione, riforme e meno tasse, meno centralismo, meno risse politiche. Oggi è nei fatti il tradimento di questi impegni. A noi, spetta il compito di indicare l'alternativa: un fisco che premia il lavoro anziché le rendite, un federalismo che difende i comuni, anziché soffocarli, una scelta a favore dell'innovazione e della scuola, una politica dell'immigrazione vigile, ma non ottusa, una legge elettorale che rimette la scelta nelle mani dei cittadini. Ed è su questo che il Pd si mobiliterà in tutto il Veneto dalle prossime settimane".

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Questa la lettera di dimissioni di Andrea Causin:

Lascio la Vice Segreteria del PD Veneto ma il mio impegno per il partito continua

E' trascorso un anno esatto dal congresso regionale.
Nell'ottobre dell'anno scorso ho compiuto una scelta di responsabilità.
Pur non essendo in presenza di un risultato netto di alcuno dei contendenti, ho ritenuto che l'indicazione di voto dell'assemblea regionale dovesse andare a Rosanna Filippin, in quanto anche se non aveva superato il 50% dei consensi degli elettori delle primarie, aveva comunque raccolto una indicazione prevalente armonicamente all'andamento della mozione Bersani a cui era collegata la sua candidatura.
Oggi, a distanza di un anno, sento la responsabilità di scrivere questa lettera perché in tutta evidenza il nostro partito è privo da tempo di iniziativa politica.
Non ha offerto, a quella che oramai definisco la secessione dei nostri elettori, né risposte di carattere politico, tantomeno ha saputo dotarsi di un assetto efficace sul piano organizzativo.

Il segno della crisi è nei numeri. Non tanto nelle percentuali, quanto nei valori assoluti.
Alle politiche 2008, 812.406 veneti hanno votato Partito Democratico.
Alle regionali 2010 hanno votato il nostro partito solo 456.309 veneti, su una popolazione di quasi 5 milioni.
Il risultato delle regionali, non solo offre un'idea del fatto che abbiamo perso in soli 2 anni quasi metà del nostro corpo elettorale, ma delinea una prospettiva di progressiva residualità che mette a rischio le poche situazioni di governo che ancora deteniamo, grazie alle personalità forti che abbiamo messo in campo.

Do merito a Rosanna di avere condiviso e raccolto la mia preoccupazione prima dell'estate.
Anche in relazione alla difficoltà del conseguimento del numero legale degli organismi assembleari (direzione e assemblea) e alla prolungata e mancata convocazione dell'esecutivo regionale.
Dopo l'estate ci sono state due riunioni di quello che è stato definito "l'ufficio politico", un organismo extrastatutario dei maggiorenti veneti del Partito Democratico, in particolare deputati, amministratori e consiglieri regionali.
L'ufficio politico ha condiviso, nelle due riunioni, la difficoltà in cui versa il partito, soprattutto in relazione all'assenza di iniziativa politica, nel momento in cui il centro destra sta rappresentando all'opinione pubblica le proprie divisioni, contraddizioni e fragilità.
Il gruppo dirigente del PD Veneto, a mio avviso, non ha svolto un'analisi onesta delle ragioni per cui non siamo, in questi mesi, riusciti a radicare la nostra proposta politica.
Ha genericamente dichiarato chiusa e archiviata la fase del congresso e delle mozioni che ci hanno consentito di costruirlo e ha affidato le proprie speranze a quella che è stata definita la "fase 2", attraverso una generica volontà di fare meglio e di impegnarsi di più.


Se qualcuno, per ragioni elettorali, di convenienza o peggio per superficialità, preferisce la conservazione dello status quo e la nobile arte del tirare a campare, io credo invece che non possiamo far finta di non vedere le difficoltà in cui versano i nostri circoli, le fatiche dei nostri amministratori locali, al fronte nei piccoli comuni, e la difficoltà drammatica che abbiamo di rappresentare la società Veneta, nelle sue sfaccettature e nelle sue rapide evoluzioni.

Eppure i temi non mancherebbero.
La lunga decrescita economica che sta vivendo la nostra regione dall'ottobre del 2007, sta cambiando radicalmente i legami economici e sociali del nostro territorio.
C'è la necessità che la politica torni a occuparsi delle politiche per lo sviluppo, quelle che il Presidente della Repubblica in visita a Venezia, ha avuto l'ardire di chiamare politiche industriali.
E congiuntamente è necessario ripensare il lavoro e l'insieme dei diritti delle persone che lavorano.
Abbiamo bisogno di trovare coraggio e affrontare con decisione e parole nuove la riorganizzazione del sistema sanitario, ma anche le relazioni nelle nostre comunità, che sono segnate sempre di più dall'incontro con i migranti. Un incontro che è foriero di novità ma anche di tragiche contraddizioni se solamente si pensa alle vicende di violenza che hanno coinvolto donne di famiglie islamiche.
C'è l'urgenza di tornare a battersi per l'autonomia dei corpi intermedi, in modo particolare della finanza, soprattutto dopo gli attacchi vergognosi del presidente della Regione alla fondazione Cassamarca e del sindaco di Verona alla fondazione Cariverona.


Personalmente ho accettato, nell'estate scorsa, la candidatura alla segreteria regionale perché ho creduto, e credo, in un PD capace di riformare la politica Italiana, ripensando il ruolo delle istituzioni nel tempo della globalizzazione e della crisi.
Un partito plurale, aperto, radicato nella società.
Capace di chiamare all'impegno le donne e gli uomini migliori della nostra terra.
Ho sognato un partito capace di essere luogo di confronto e di ideazione di una prospettiva nuova per l'economia e per la società del Veneto.


In questi mesi, mentre maturava in me la consapevolezza della distanza tra il PD in Veneto e la società che si candida a rappresentare, ho scelto responsabilmente di stare al mio posto, nella fiducia che il tempo offrisse le condizioni di una inversione di tendenza.
Negli ultimi tempi mi sono assunto, negli organismi, il compito sgradito ai più di porre il problema, soprattutto in relazione alla necessità di comprendere dove abbiamo sbagliato e all'urgenza di tornare a "pensare" i contenuti e i modi della nostra presenza politica.
Oggi credo che essere responsabili significa non tacere e non fingere che tutto va bene, non rinunciare al dibattito, al confronto.
E' necessario mettersi in discussione e dal momento che il gruppo dirigente veneto non ha intenzione di farlo, comincio dalla mia persona.
Con la presente mi dimetto da vice segretario del partito Democratico Veneto.
Le mie dimissioni non sono una rinuncia, bensì una scelta di proseguire in piena libertà, quell'iniziativa politica di cui c'è tanto bisogno e che per essere svolta non ha bisogno di ruoli e riconoscimenti.
Spero che questo gesto forte, e per certi versi sofferto, possa aprire una discussione vera nel PD del Veneto, che consenta di trovare delle soluzioni vere prima che sia troppo tardi.

13.10.10

Verso Nord: al varo l'associazione tra le cautele del PD

la Nuova Venezia — 13 ottobre 2010

Verso Nord studia da partito e corteggia Galan


VENEZIA. Un nuovo polo si affaccia sulla politica veneta: alternativo all’egemonia leghista, “competitor” dialogante verso pidiellini e democratici. E’ il movimento Verso Nord: ieri si è costituito, formalmente, in associazione e molti osservatori giudicano questa tappa il preludio alla nascita di un partito. Con un testimonial a sorpresa, magari: Giancarlo Galan.

«So che è in agenda un incontro col ministro a Padova... », confida sibillino il portavoce Franco Miracco, mente pensante dei Nordisti «lui è un uomo indipendente, un liberal vero. Posso testimoniarlo, visto che tollera da anni le mie bizzarrie».

Molto eterogenea, per provenienza e vocazione, la schiera dei promotori: tra gli altri, Massimo Cacciari e Giuseppe Bortolussi; Mario Bertolissi e Achille Variati (il sindaco Pd di Vicenza, in verità, ha sottoscritto il manifesto riservandosi di aderire al movimento); Diego Bottacin e Maurizio Fistarol.

Presidente è stato eletto Alessio Vianello: «La gente ormai si è disinnamorata della politica», riflette «il nostro obiettivo è quello di riportarla ad appassionarsi al vivere sociale. Per questo la costruzione di un nuovo polo deve avvenire il prima possibile».

Le adesioni non mancano, tanto da suscitare nervosismo tra le forze politiche. Accanto ai giudizi liquidatori di parte leghista («Quattro gatti riciclati»), si registra l’aut aut del capogruppo democratico in Regione, Laura Puppato, che in polemica aspra con Bottacin ha ribadito l’incompatibilità della militanza in Verso Nord per gli esponenti del Pd.

Intanto il debutto è fissato per venerdì 22 ottobre, a Mestre, con un faccia a faccia sul nuovo riformismo tra Cacciari e il ministro del lavoro Maurizio Sacconi. Ma il partito nordista nascerà davvero: «Sì, se la gente lo vorrà», replica Miracco «c’è un Veneto straordinario, migliore della politica attuale, disgustato da questa deriva. Stiamo attraversando giorni bui, tristi, e non mi riferisco soltanto a quei poveracci che a Belluno hanno negato il tricolore agli alpini uccisi. Il problema non è soltanto la Lega, è un sistema politico arido, autoreferenziale, imbarbarito. Noi abbiamo messo insieme individualità significative, percorsi diversi che hanno un desiderio comune: tornare a discutere di politica, andare oltre il leghismo e il berlusconismo, riscoprire il valore delle idee ora soffocate dalla caccia alle poltrone».

Ma c’è spazio per un nuovo soggetto in un territorio che ha plebiscitato Luca Zaia castigando il Pdl e rifilando al centrosinistra il peggior risultato d’Italia? «Sì che c’è ed è vastissimo. L’hanno già intuito i leader di razza, da Galan a Veltroni. Qualche mese fa eravamo quattro amici al bar, oggi le adesioni crescono, sono importanti e trasversali: non promettiamo nulla a nessuno, però offriamo una prospettiva. Quando diventerà una proposta, allora saremo pronti... ».

Reagire alla Lega si può: anche sul fronte del centrodestra

Il Riformista 13-10-10
Non portate il Veneto nel nulla
Giancarlo Galan
Il Veneto ritrovi la sua tolleranza e cultura - AZZERAMENTO DELLA MEMORIA. L'inerzia della politica e dell'etica è in grado di corrompere le menti e gli animi dei cittadini.
(...) Eppure, non riesco a persuadermi del fatto che "il Veneto del no e del nulla" sia lo stesso Veneto in cui nacquero e scrissero Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern, Guido Piovene, Giuseppe Berto, Giovanni Comisso, Goffredo Parise che, se fossero ancora vivi tra noi, rabbrividirebbero di fronte alla voragine in cui troppi stanno gettando antichi valori e ideali.
Gli stessi che unirono tra loro attorno al tricolore chi ritenne di doversi battere per la Patria sia sulle montagne della Resistenza o nelle guerre che il Ventesimo secolo disseminò tragicamente dal Grappa alla Russia, dal Piave alla Grecia, dalla Francia ai deserti africani.
È indispensabile pertanto che tutte le forze politiche, a iniziare precisamente dalla Lega Nord, prendano coscienza - e agiscano di conseguenza - che "il chilometro zero della cultura e della politica" può spalancare le porte al dilagare mostruoso del nulla, lo stesso nel quale precipitarono le democrazie europee nel secolo del fascismo, del nazismo e del comunismo.
Una parola ancora, infine, per una terra che amo sopra ogni cosa, il Veneto, una regione che può indebolirsi progressivamente fino a essere inghiottita dal nulla, se non saprà ritrovare al più presto la strada maestra della tolleranza, della solidarietà, del sapersi muovere con curiosità, con intelligenza, liberamente: in breve, con le armi pacifiche di una cultura liberale, libertaria e libertina, che è quella che ci ha consentito di essere cittadini del mondo, sia quando coltivavamo una vigna ai piedi degli Euganei o vivevamo tra le nevi delle Dolomiti, sia se si era costretti a essere veneti e italiani da qualche parte in Australia o in Canada o in Cina, essendo compagni del viaggio multicolore di Marco Polo.

1.10.10

Giaretta: un partito nuovo come stile e prassi -una questione antropologica prima che politica

Europa 29 settembre 2010
Le reazioni scomposte ai 76

Paolo Giaretta

Nel Pd c’è una questione antropologica prima che politica? Mi sembra di sì a vedere le reazioni scomposte al documento dei 76, prima che fossero corrette dalle sagge parole del segretario Bersani in Direzione.
Nei partiti che ho attraversato prima di partecipare alla costruzione del Pd – dalla Dc, al Ppi, alla Margherita – la reazione sarebbe stata diversa, del tipo: “il segretario considera il documento un utile contributo al dibattito che sarà oggetto di attento esame negli organi del partito”. Solo ipocrisia? No, l’adozione di uno stile.
Qui invece si è sentito parlare di favore all’avversario, di bomba atomica, di vigliaccheria, espressioni condite con la solita accusa (un classico nella storia della sinistra) di intenzioni scissionistiche. Insomma: il Partito (con la P maiuscola) ha parlato, il congresso è stato fatto e non c’è null’altro da discutere. Devo dire che anche le preoccupazioni che mi sono state espresse nel mio territorio non erano critiche di merito (quasi nessuno aveva letto il documento). Vi era riflesso piuttosto un giustificato timore (visti i commenti dei dirigenti) di pericoli di divisioni, ma soprattutto l’idea che il dibattito pubblico non faccia bene al partito. Insomma sembrerebbe che il centralismo democratico sia vivo e lotti ancora tra di noi.
Il bello è che piuttosto dovremmo prendere sul serio il documento dei “giovani turchi”, in realtà i cinque più diretti collaboratori del segretario.
Un documento importante e non occasionale. Proprio in questo documento si parla di un Pd affetto «da rachitismo organizzativo, incertezza identitaria, ingovernabilità politica». Alla faccia. Se l’avesse detto Fioroni…
Altrettanto significativo è il livore che si è sentito nei confronti di Veltroni. Una specie di liberazione. Finalmente si può dire che l’idea veltroniana di destrutturare e modernizzare il Partito (sempre con la P maiuscola) sarebbe la causa di tutti i mali. Una parentesi da chiudere per sempre, e poco importa se il Pd è figlio legittimo della stagione dell’Ulivo e non del continuismo comunista. Ricorro ancora al citato documento dei giovani turchi, dove si descrive così il discorso di Veltroni al Lingotto: «summa teorica di una eclettica visione dell’Italia, mutuata da tutte le narrazioni dominate nel ristretto circuito delle nostre classi dirigenti». Critica legittima naturalmente, come è legittima la critica di Rosy Bindi, che del resto alle primarie si presentò in alternativa, con un’altra piattaforma. Resta il fatto tuttavia: con l’eclettica visione di Veltroni, sanzionata dal voto di milioni di cittadini alle primarie, prendemmo il 34 per cento dei voti e con la robusta visione organizzativistica, di un laburismo archeologico pre Blair di questi dirigenti, siamo in un anno passati da un 41 per cento di italiani che avevano molta o abbastanza fiducia del Pd ad un misero 26 per cento.
Dunque la questione antropologica ci riporta alla politica. Rimboccarsi le maniche certo. È una bella espressione. Ma rimboccandosi le maniche vediamo un po’ di vedere se la strada è giusta. Perché in un paese piegato da una crisi che è etica, economica, di prospettiva, che assiste attonito all’indecoroso spettacolo offerto dalla destra, ci sarebbe da aspettarci che gli elettori si guardino attorno, ma da noi non guardano. Lavoriamo per la Ditta dice Bersani, giusto. Ma quando i clienti sono in calo cosa fa una ditta? Può cambiare il management. Questo l’abbiamo già fatto e sarebbe un errore cambiarlo prima del tempo. Si può aggiornare il prodotto e fare un packaging più accattivante. L’unica cosa che non si può fare è rimettere sul mercato i vecchi modelli e prendersela con i clienti perché non li comprano.

29.9.10

PD Veneto duro su Calearo, capolista sbagliato

la Nuova Venezia — 29 settembre 2010
Calearo nel paese delle meraviglie
Non è mai stato di sinistra, non è mai stato di destra. Quando si paragonò ad un’aquila, Pansa lo riportò alla sua dimensione di gallo cedrone, due anni fa quando Veltroni lo invitò nel partito lo sciagurato disse di sì, ma mica perché aveva capito. Fece come quelle signore che si concedono per il piacere di piacere, vittime della loro stessa vanità, vinte dal deliquio che la riconoscenza accende negli animi di certe femmine inebriandole di gratitudine.
Massimo Calearo è uno di quei veneti che non litigano, non alzano la voce, non si offendono, è persona cortese e passabilmente vanitosa di quelle che le cazzate le fanno per spirito di cortesia, per timore di deludere le aspettative, per non sembrare ingrato. Non è un cinico né opportunista, è semplicemente un naive, una persona che ha scoperto la politica quando gliel’hanno offerta facendolo passare per la porta grande. Lo portarono nel salotto buono, gliela presentarono tutta agghindata e a lui non parve mai così bella. Che meraviglia. Nel Pd ci si dava del tu, tutti ti stavano ad ascoltare, vi si parlava di grandi cose, si ragionava di Paese, di progresso, persino di felicità, altro che in Federmeccanica, un postaccio quello, frequentato da gente in grisaglia, di orizzonti corti e interessi duri, tutti occupati a contare la lira senza nemmeno la possibilità di prendere un drink su una chaise lounge, slacciarsi il foulard e mettersi a proprio agio. E parlare, di Saviano, di Camorra, del Caimano sempre più pericoloso, dell’Obama che dio sa quanto ne abbiamo bisogno anche noi. Era un sogno, la differenza tra la ricreazione e la lezione. «Nel Pd ho scoperto la democrazia - raccontava estasiato nei giorni dell’amore - l’uguaglianza dei pari» e dato che quella dei compagni non l’aveva mai conoscita, quello gli parve il posto migliore per vivere, «andare finalmente in giro senza un ruolo appicicato addosso, senza uno status precostituito». E così che, a 53 anni, Massino Calearo è venuto alla politica, come un impiegato del fisco scopre il Sai Baba e scappa in India. Una visione, una casa vacanza. Poi sono arrivati i giorni del desencantamiento, il partito perdeva le elezioni, il posto di ministro sfumava, nel Pd non lo filava nessuno, i giornali lo predevano in giro, e quel posto di umanità inimmaginabile che gli sembrava meraviglioso e terribilmente appagante cominciò a somigliargli sempre più alla Finmeccanica che conosceva, giochi duri, crudeltà personali, carriere da difendere. Soprattutto non c’era posto per lui, soprattutto Calearo non ne poteva già più di stare con i perdenti. Passò con Rutelli, all’Api. Guzzanti ha scritto che «miagolava nel buio», adesso che si è messo a disposizione di Berlusconi, la segretaria del Pd veneto Filippin lo definisce «una figurina panini della politica, in corso di scambio». Hanno tutti ragione, ma Alice Calearo non ne ha colpa, è il «paese delle meraviglie» che lo ha ingannato, è la poca vita vissuta che lo ha illuso.
(e.r.)

28.9.10

Sandro Maccatrozzo presenta la propria sfida per la guida del PD provinciale

«Basta con la solita musica, cambiamo»
la Nuova di Venezia — 28 settembre 2010

«La provincia non è persa, ma per riconquistarla bisogna lavorare duro e crederci. E questo lo può fare chi la provincia la conosce, non chi ha sempre avuto una visione veneziano-centrica». Si presenta così Sandro Maccatrozzo, 53 anni, candidato alla segreteria provinciale del Partito democratico e, quindi, sfidante di Michele Mognato.
Maccatrozzo non può fare a meno di notare che c’è già qualcosa che non va se «questo primo congresso provinciale comincia nella primavera-estate 2009 e si conclude nell’autunno 2010». Lungaggini a parte, è al merito che Maccatrozzo guarda. «Basta con chi guarda indietro a gloriosi partiti e meno gloriose correnti - osserva - Serve una spinta in più, serve innovazione».
Ma chi dovrebbe riconoscersi in lui? Chi, all’interno del Pd, ritiene che sia importante «riflettere su quello che non ha funzionato finora, avere un segretario non veneziano-centrico, un segretario che non viva di politica, un segretario che non segua le vecchie logiche e sia invece aperto a una nuova generazione politica».
Un abito che Maccatrozzo può vestire: piccolo imprenditore nel settore delle energie rinnovabili; mestrino di nascita, ma iscritto al circolo di Concordia Sagittaria, dove abita. Quanto alla conoscenza attiva della provincia Maccatrozzo ricorda di essere stato dirigente della Filcams Cgil Venezia e segretario delle Camere del lavoro di Chioggia e Riviera, capoarea nord-est di Obiettivo Lavoro e, dal 2004, piccolo imprenditore nel settore del fotovoltaico e biogas.
(m.sca.)

26.9.10

Michele Mognato presenta il proprio programma come candidato alla guida del PD provinciale

Mognato lancia la sfida «Porterò il Pd veneziano alla guida della Provincia»
la Nuova di Venezia — 26 settembre 2010

Rafforzare la presenza sul territorio per riconquistare la Provincia nelle elezioni del 2014. Ecco qual è l’obiettivo contenuto nel documento che Michele Mognato - candidato alla segreteria del Pd provinciale assieme al portogruarese Sandro Maccatrozzo - ha presentato ieri nella sede di via Cecchini in concomitanza con l’apertura dei primi congressi di circolo (Dolo, Marano) che si concluderanno a fine ottobre, prima dell’assemblea provinciale (29-30 ottobre).
Mognato - che ha il sostegno della maggioranza del partito e quindi di gran parte dei circoli - ha voluto tracciare una «via nuova», con un insieme di idee e proposte rivolte al Pd veneziano. Il documento ruota attorno una serie di punti, che vanno dalle infrastrutture alla mobilità, dall’economia al lavoro, dal welfare alla scuola. Ma i due obiettivi principali sono indicati subito: «consolidare, radicare, rigenerare la nostra presenza nella città, nei luoghi di lavoro e in quelli di studio»; «porre le basi per riconquistare il governo della Provincia, confermando e governando nel frattempo il maggior numero di Comuni che andranno alle urne».
Nella sede del Pd provinciale, il candidato segretario ricorda anche i motivi della discesa in campo. «Mi è stato chiesto - spiega - e ho accettato volentieri raccogliendo un consenso che va al di là degli steccati. Sono orgoglioso del percorso politico che ho compiuto e credo di poter mettere in campo la mia esperienza per riconquistare quel palazzo della Provincia ora governato in modo non credibile, tanto che la stessa presidente Francesca Zaccariotto ha ammesso di bussare a tante porte e di trovarle sempre chiuse».
Il programma proposto da Michele Mognato affronta i temi cruciali per il Veneziano, come porto Marghera e le aree industriali, per le quali è possibile favorire «una vocazione logistica che sia incubatrice e non alternativa alla filiera manifatturiera, chimica, cantieristica».
Sulle infrastrutture, il candidato alla segreteria e già segretario provinciale dei Ds, ribadisce «la totale contrarietà alle scelta della Regione di individuare a ridosso della fascia litoranea del Veneto orientale il tracciato della linea ferroviaria ad alta velocità».
Per quanto riguarda la formazione, «in tutti i Comuni della provincia il Pd promuoverà progetti di sostegno all’autonomia scolastica». Sul welfare, «vanno garantiti e resi disponibili i servizi delle reti territoriali, a livello intermedio fra medicina generale e presidio ospedaliero».
In riferimento alle possibili alleanze, infine, Mognato ricorda che l’Udc «ha visto con le ultime elezioni comunali che siamo un partito serio e rispettiamo gli accordi».
Da ieri fino alla fine di ottobre, si svolgeranno i congressi dei 78 circoli provinciali. Ogni circolo eleggerà i propri delegati per l’assemblea provinciale, in programma il 29 e il 30 ottobre. La candidatura di Michele Mognato trova il pieno sostegno, fra gli altri, di Gabriele Scaramuzza, segretario uscente.
«Sono io il primo firmatario del documento a sostegno di Mognato - spiega Gabriele Scaramuzza che ha di fatto traghettato i Ds all’interno del Pd - I tre anni dalla nascita del Partito democratico veneziano sono stati un periodo di gestazione, dove s’è posta l’architettura di fondo, la base. Ora ci sono tutte le condizioni per fare il salto di qualità».

24.9.10

Pier Paolo Baretta: no alle sottoscrizioni del "documento dei 75" nei circoli (anche veneti)

Il Gazzettino Venerdì 24 Settembre 2010
L’INTERVENTO / Pd, si può cambiare ma senza creare correnti

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La grande crisi economica ha sconvolto le regole del gioco competitivo e delle convivenze etniche, ha frantumato i confini ed i poteri reali degli Stati nazionali, ha aperto voragini nella condizione di lavoro e di vita degli imprenditori e dei lavoratori. Di fronte agli effetti di questa impetuosa questione, che possiamo riassumere nella esigenza di “modernizzazione” della società italiana, anche la politica ridisegna i suoi confini ed orizzonti, sia a destra che a sinistra.

La anomala alleanza tra il localismo di Bossi e lo statalismo di Fini, tenuti insieme dal protezionismo-liberista di Berlusconi, non può durare e proprio in Veneto si sono avvertiti i primi scricchiolii con la lite pre e post elettorale tra Galan e Zaia. Ma anche nel centro sinistra tutto si muove. La consistenza elettorale del Pd che, nonostante le flessioni subite, rappresenta almeno un quarto degli italiani, lo carica della responsabilità di essere il perno dell’alternativa politica e di governo. Questo ambizioso, ma ineludibile obiettivo, è possibile se il Pd saprà unire progettualità innovativa ed unità interna.
Pochi mesi fa abbiamo scelto, con una straordinaria operazione democratica, che ha coinvolto, con le primarie, qualche milione di cittadini, chi doveva guidare e su quale piattaforma il Partito. Ciò non chiude il dibattito politico, ma la dialettica interna non può servire a promuovere una conta tra i parlamentari, né a costituire nuove correnti, movimenti, aggregazioni interne, non legittimate, come lo furono invece le mozioni congressuali, dal voto degli iscritti.
Non metto in discussione le buone intenzioni, ma la iniziativa dei 75 firmatari non è esente da questo rischio, comprovato dal fatto che la sottoscrizione del documento è stata anteposta ad una discussione aperta e non preordinata negli organismi del partito, nei gruppi parlamentari, nei circoli. Se si teme che vi siano i rischi di una involuzione si deve pur gridare “acqua alle corde”, ma se questo avviene attraverso la conta tra “innovatori” e “conservatori” interni si rischia, al di là delle intenzioni, di cristallizzare le posizioni, provocando l’effetto opposto di quanto dichiarato.
Tanto più se si attiva, come sta avvenendo nel nostro territorio, la sottoscrizione in periferia tra i militanti ed i circoli, accentuando la divisione interna.
Nessuno si nasconde i problemi, ma non al punto di lasciar trasparire una malcelata sfiducia nella possibilità di cambiare la situazione dal di dentro. I firmatari sostengono che non è questa la loro intenzione, né voglio attribuirla a quegli amici che, da dentro il Pd, guardano con attenzione ad iniziative locali, quale è “verso Nord”.
E’, invece e non a caso, quanto sostiene, con particolare tempismo, il ministro Sacconi, quando invita i dissidenti a lasciare il Partito democratico, senza chiarire se anche lui sta abbandonando il centro destra per dar vita ad un pur improbabile e sbagliato superamento del bipolarismo, o se sta chiedendo adesioni per la formazione di un nuovo centro destra. In entrambi i casi, non sono opzioni praticabili per noi.
Non ho, per queste ragioni, firmato il documento, ma non per questo ho rinunciato all’idea che bisogna migliorare il Pd, tutto e non solo una parte, ed è, perciò, che mi auguro che la discussione ritorni all’interno delle sedi naturali che sono gli organismi del Pd.

*deputato Pd

20.9.10

Il "manifesto" veltroniano dei 75: un'interpretazione dagli aderenti del veneziano

Il Gazzettino 20 Settembre
"Berlusconi e questo PD impreparato"

Gentile Direttore, ci sono alcuni punti sui quali vorremmo riflettere a margine del documento che con molti altri amici abbiamo offerto alla discussione dentro il PD.

Il primo punto è legato alla situazione generale del Paese.
L’estate appena trascorsa ha segnato il punto più alto della crisi valoriale e di contenuti del sistema berlusconiano: l’uscita dei finiani, la reazione scomposta in puro stile stalinista del cavaliere hanno accompagnato l’evidente incapacità della destra di dare risposte ai drammatici problemi del paese, caricando anche con la manovra economica di luglio, il peso della crisi sui più deboli, affossando il futuro sviluppo del Paese, sia quello culturale che del mondo del lavoro delle piccole e medie imprese.A questa crisi certificata dai sondaggi, mai così negativi per la destra, non è corrisposta da parte del PD la capacità di intercettare i voti in uscita dal quel fronte: in un sistema bipolare peraltro questa è l’unica possibilità di garantire reale alternanza di governo. I risultati delle Regionali e i successivi sondaggi ci fermano ad un deludente e non sufficiente 25 %. Anziché concentrarsi sul perché di questa situazione ci si è attardati a discutere di alleanze ora con l’uno ora con l’altro Partito, senza cercare di offrire una proposta spendibile per un elettorato in cerca di un punto di approdo credibile.

Da qui è nata la seconda considerazione di molti di noi, che vedendo una discussione troppo ripiegata sul tatticismo e visti i risultati negativi contribuisse a dare una visione al PD e con esso al Paese. Queste cose le abbiamo dette peraltro sempre in questi 3 anni di vita del PD, alla cui nascita quale abbiamo contribuito assieme a moltissimi altri con passione credendo ad un progetto capace di dare risposte nuove e più adeguate ad un Paese che nel frattempo è profondamente cambiato. Pensare al lavoro come un diritto da garantire attraverso un sano sviluppo del sistema economico, a relazioni sindacali moderne e più adeguate ai tempi di una globalizzazione selvaggia che mette in crisi il nostro sistema fatto di piccole e medie imprese, pensare ai cosiddetti piccoli che, specie qui al Nord sono un asse fondamentale della nostra economia, ai quali un Partito come il nostro deve garantire non solo a parole ma nei fatti diritti e dignità vera. Il tutto constatando una drammatica flessione nelle iscrizioni al Partito in molte parti del Paese, l’uscita di molti autorevoli dirigenti (salutata troppo spesso di espressione di sollievo) ci hanno convinto che fosse necessario contribuire al dibattito interno riproponendo concetti e proposte che stanno nel dna fondativo del PD.

E qui arriva la terza e ultima (amara) riflessione. Siamo stati blanditi in alcuni casi minacciati in altri a non firmare il documento in nome di una unità di facciata che, di fronte alla crisi della destra secondo qualcuno, veniva messa in discussione. Qualcuno altro ha parlato di posizionamenti in vista del mercato delle candidature per le eventuali prossime elezioni politiche. Il solo fatto di derubricare un documento di idee ad un bega di posti e di potere la dice lunga sulla comprensione e sulla capacità di un partito di confrontarsi con la ricchezza del dibattito e delle originalità al suo interno. Spiace che sia scattato un riflesso quasi pavloviano che spinge autorevoli esponenti e a parlare di autogol e di regalo alla destra e ad alimentare l’idea di gente in cerca di spaccare il PD. Il regalo alla destra lo si fa non offrendo al Paese un’alternativa spendibile e lasciando i disoccupati, il mondo della scuola, il sistema economico senza un punto di approdo cui affidarsi.Nessuno di noi ha firmato quel documento contro qualcuno. Scrive Letizia De Torre, Parlamentare del PD che non ha firmato il documento ma che ne ha evidentemente colto il vero significato “Il contenuto del documento deve essere discusso e la chiarezza che si deve fare deve aumentare l’unità, non l'unitarismo, ma l’unità nella diversità degli apporti che è il massimo dell’espressione democratica”. Con questo spirito vorremmo che si aprisse dentro il PD e con il Paese il confronto sulle cose che dice il documento: saremo tutti più forti.
L’alternativa per il PD è il rischio dell’ insignificanza dentro la società e sicuramente condannare il Paese a pagare il prezzo delle politiche di questo Governo.

Rodolfo Viola
Andrea Causin

19.9.10

PD Veneto: Rosanna Filippin lancia la mobilitazione d'autunno

Partito Democratico Veneto
Direzione regionale – Relazione di Rosanna Filippin
Treviso, 18 settembre 2010


La nostra riunione odierna cade in un momento delicato e decisivo per la vicenda politica nazionale.
A poco più di due anni dal voto che ha consegnato al centrodestra una netta vittoria elettorale, è tutto lo scenario politico che si è rimesso in movimento, con una dinamica di cui va compresa anche la natura paradossale.
Con una rapidità anche maggiore rispetto a quello che forse noi stessi avremmo immaginato, l’eclatante affermazione della Lega al Nord ha determinato una modifica degli equilibri complessivi del centrodestra: al Nord il Pdl è costretto a rincorrere il partito di Bossi, mentre al Sud è spinto a cercare di contrastare le rivendicazioni nordiste con una reazione sudista di segno uguale e contrario.
Rispetto a quando, com’era capitato nel 2001, Berlusconi era riuscito a contenere la Lega sulla soglia dello sbarramento elettorale, è cambiato un mondo.
La scelta di autonomia di Fini nei confronti di Berlusconi è figlia di questa stessa situazione. Fini si smarca da Berlusconi anche per reagire al rapporto privilegiato tra Lega e Cavaliere, dove Bossi conta sempre di più.
Di fatto, senza che nemmeno si sia aperta una crisi di governo, queste evoluzioni nel campo del centrodestra ci dicono una cosa: il progetto politico nazionale di Silvio Berlusconi si è esaurito.
E non è un caso che per la prima volta il premier tema il voto: perché tema al nord la concorrenza di Bossi e al sud quella di Fini.
Dopo sedici anni di presenza sulla scena e dopo aver governato per otto degli ultimi dieci anni, la parabola politica dell’imprenditore d’Italia è giunta ad un punto di crisi se non di vero e proprio fallimento.
Basta ripercorrere le promesse che il Cavaliere ha disseminato lungo il suo cammino politico per rendersene conto.
Berlusconi aveva promesso meno tasse per tutti.
Oggi l’Italia ha un’evasione superiore al resto d’Europa, ma il carico fiscale è uno dei più alti del continente.
E grava soprattutto sul reddito di chi lavora, a cui lo Stato italiano offre, “in cambio”, pure una delle spese sociali procapite più basse dell’eurozona.
Il fisco era l’obiettivo numero 1 di Berlusconi. E’ stato la sua prima e simbolicamente più forte promessa.
Bene, su questo Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso un paese più moderno.
Ovunque nel mondo la modernizzazione di un paese passa da scelte coraggiose.
E da investimenti sulla formazione, la ricerca e l’innovazione. Lo confermano le scelte di due conservatori come la Merkel e Cameron. Peccato che abbia più punti in comune con loro il democratico Obama che il nostro premier.
Anziché investire sul futuro e sui giovani, in Italia si tagliano risorse e personale alla scuola e all’università, si svaluta il ruolo della ricerca, si ignorano le opportunità della green economy.
E mentre la crisi economica richiede un ruolo attivo dei governi, in Italia il Ministero dello Sviluppo economico è gestito ad interim. Come se della crisi ci si potesse occupare nei ritagli di tempo.
Un paese più moderno? Anche su questo, Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso una riforma federalista dello Stato.
Dopo aver perso cinque anni con le chiacchiere leghiste sulla devolution, oggi la riforma federalista si rivela per quello che è: una bandiera senza contenuti, una cassaforte vuota, una propaganda smentita dai fatti.
Le promesse sull’autonomia impositiva e sulla partecipazione al gettito vengono rinviate al 2016, mentre i tagli alle risorse degli enti locali sono già realtà.
Un federalismo all’incontrario che ha tagliato 14 miliardi di euro al sistema delle autonomie regionali e locali e solo 3 miliardi di euro allo stato centrale.
Abbiamo spesso denunciato che si tratti di tagli alla cieca.
Perché i virtuosi pagano come e più degli spreconi. Forse è sbagliato dirlo.
Perché Tremonti e Bossi ci vedono benissimo.
Tagliano le risorse ai Comuni e alle regioni del Nord, ma poi accettano senza fiatare la leggina su Roma capitale.
Una distribuzione più equa delle risorse tra centro e territori. Sarebbe stata una riforma vera.
Ma anche su questo, Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso una riforma delle istituzioni nel senso della stabilità.
Va dato atto a Berlusconi di essere stato uno dei principali responsabili dell’evoluzione in senso bipolare della politica italiana. Considero questa evoluzione uno dei risultati positivi dell’ultimo quindicennio.
Peccato però che, in assenza di riforme istituzionali serie e condivise, anche questo risultato oggi sia messo in pericolo.
Una legge elettorale sbagliata ha stimolato la formazione di alleanze elettorali disomogenee.
Oggi il carisma di Berlusconi non è più sufficiente.
Ed è così che le cronache politiche e parlamentari di questi mesi e delle prossime settimane diventeranno sempre di più un revival di riti e movenze tipici della prima repubblica: riecco la paura dei franchi tiratori, il mercato delle vacche sui senatori e deputati, e governi che, in momenti di emergenza sociale ed economica, navigano a vista….
Istituzioni funzionanti per un paese più europeo, regole condivise per un’alternanza produttiva tra schieramenti alternativi.
Anche questo sarebbe stato un traguardo importante.
Anche questo, invece, è un obiettivo fallito dalla parabola politica del Cavaliere.
Le divisioni nel campo del centrodestra stanno paralizzando l’azione di governo. E si capisce l’insoddisfazione delle rappresentanze sociali verso questo esecutivo così poco incisivo. D’altra parte, nella misura in cui accelerano la fine di una fase politica, il chiarimento di un equivoco, queste divisioni sono il segno di una crisi politica che rappresenta anche un’opportunità.
Dipende da noi, soltanto da noi, riuscire a coglierla, per fare della crisi di oggi l’opportunità di domani.
Ci sono momenti in cui passa il treno. E bisogna essere pronti a prenderlo. Perché non ci aspetterà all’infinito. Il compito di un partito come il nostro, in una situazione come quella attuale, è proprio quello di giungere puntuali all’appuntamento con la crisi del berlusconismo.
Bisogna essere all’altezza della situazione. È una questione di messaggio, di identità, ma anche di stile.
Quando il treno passa, non conta in quale ordine ci saliremo sopra. Conta se si sale a bordo o se si resta a terra.
Il nostro non è il partito di un padrone solo.
Non è il partito del capo e nemmeno quello di un leader illuminato.
Il nostro partito è una comunità di persone, di storie, di sensibilità. Ma perché questa ricchezza diventi una forza, occorre che il nostro partito sia anche una comunione di volontà, unite da un progetto condiviso di paese.
L’idea di Italia che vogliamo, alternativa a quella realizzata da Berlusconi, è e deve essere il nostro obiettivo. Il partito e la sua leadership sono solo lo strumento per affrontare la sfida.

In queste settimane e in questi giorni, attorno alla proposta di Pier Luigi Bersani di aprire il cantiere del Nuovo Ulivo si è aperto un dibattito.
In un partito è normale e giusto che questo accada. Ma credo che dividere con false alternative il nostro partito, sarebbe oggi il peggior regalo che si può fare ad un centrodestra in difficoltà seria.
Se vogliamo essere protagonisti dell’alternativa, la prima cosa da fare è investire su noi stessi, sul nostro partito.
Non siamo figli di un Dio minore e abbiamo oltre che il diritto direi anche il dovere di proporre un nostro progetto per il governo del paese.
Questo significa che il Pd possa proporsi come una forza autosufficiente?
Certamente no. Per portare l’Italia fuori dal berlusconismo occorre una strategia articolata: per dividere al massimo il campo altrui e federare nel nostro campo lo schieramento omogeneo più ampio possibile.
Non sono le sigle che compongono una coalizione a unire un elettorato. Ma il progetto di paese che quelle forze condividono.
Con tutte le forze alternative al centrodestra è di questo che dobbiamo parlare.

Senza ignorare, ovviamente, i limiti e i punti deboli che dobbiamo affrontare come Pd. E qui come partito veneto abbiamo una speciale responsabilità.
Da 30 anni a questa parte le novità politiche nazionali vengono incubate al Nord. Perché il futuro del paese sia diverso da quello disegnato da Bossi e Berlusconi, occorre che qualcosa cambi in profondità, qui al Nord, nel nostro rapporto con gli elettori e il territorio.
C’è una difficoltà da recuperare. Perché il Nord, che è la locomotiva produttiva del paese, che è la frontiera più avanzata dei suoi mutamenti sociali, che è l’aggancio dell’Italia al resto d’Europa, non si fida di noi, mentre si fida ancora delle promesse della Lega.
Perciò dobbiamo ascoltare con attenzione e con spirito costruttivo il disagio di chi avverte un limite nella forza della nostra proposta e allo stesso tempo la necessità di uno scatto in avanti: sul piano del linguaggio e delle proposte concrete di governo.
A volte questo campanello d’allarme è risuonato anche nelle parole dei nostri amministratori. Dobbiamo tenerne conto.
Un partito adulto deve affrontare una situazione come questa con maturità.
Significa che se un esponente del nostro partito esplora in forme non ortodosse spazi di riflessione e confronto politico trasversali, com’è capitato con Verso Nord, la sua scelta individuale non può essere demonizzata, né trattata alla stregua di un’intelligenza col nemico.
Allo stesso tempo, maturità significa essere consapevoli che la prospettiva del nostro Partito e di chi vuole continuare a farne parte, per il futuro, può e deve essere quella di diventare protagonista vincente dell’alternativa: il perno del primo polo, non il comprimario di un terzo polo tutto da concretizzare.
Se la casa è troppo stretta la si ingrandisce, se ci sono degli spifferi si tappano. Le fughe individuali verso altri lidi non sono una soluzione.
La crisi del berlusconismo può aprire una fase politica completamente nuova. Che richiederà nuovi schemi per essere affrontata. Ma nella costruzione di questa novità, il Pd deve esserci da protagonista.

È possibile farlo? Sono convinta di sì. È sufficiente attendere la caduta di Berlusconi? Sono altrettanto convinta di no. Ci sono delle responsabilità da assumere. Qui e ora.
Nell’ultimo anno, abbiamo affrontato dei passaggi importanti. Elezioni primarie che hanno confermato un legame forte col nostro popolo.
Una sfida elettorale difficile, dall’esito deludente.
La riorganizzazione del partito e lo sviluppo della sua iniziativa politica ne sono state rallentate. Abbiamo vissuto una situazione di stallo, anche nell’attività degli organismi dirigenti. La situazione politica generale, a livello veneto e nazionale, non ci consente di indugiare più.
Siamo chiamati, e lo dico io per prima, ad uno scatto di responsabilità. Per essere all’altezza della posta in gioco.
Occorre che il gruppo dirigente, che è nato dal voto delle primarie di un anno fa, affronti con maggiore compattezza la sintesi della propria linea politica.
E occorre che gli organismi dirigenti a livello regionale ritrovino concretezza e sostanza operativa. Essere gruppo dirigente non significa avere un titolo o un ruolo. Significa assumersi fino in fondo la responsabilità di essere al servizio di un collettivo più ampio.
Non possiamo più guardarci la punta delle scarpe.
Abbiamo scelto di non essere un partito personale perché non crediamo ad una democrazia personale.
Noi siamo un collettivo e ognuno di noi in ogni luogo deve caricarsi della sua responsabilità, sapere che maneggia una proprietà indivisa.
In questo futuro prossimo, nel futuro che abbiamo qui davanti la gente avrà bisogno di percepire la solidità, l’unità e la forza di chi governerà il Paese. Noi siamo un bel Partito, di donne e uomini liberi che discutono e partecipano; abbiamo con noi tanta gente generosa e onesta che condivide gli ideali e che ha nella testa e nel cuore la voglia di una Italia migliore, più civile, più giusta.
Di un Veneto migliore.
Noi siamo ben più forti delle nostre debolezze.
Per rafforzare l’unità, per sentirci una grande squadra: muoversi assieme, combattere assieme, rimboccarsi le maniche tutti assieme.
Mentre lavoriamo per il progetto, noi ci muoveremo.

Voglio per l’autunno una grande mobilitazione che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie.
Chiedo a tutti un aiuto per trasformare la rabbia, l’insofferenza e l’impazienza che sentiamo intorno a noi in energia positiva. Chiedo a tutti un aiuto per metterci a faccia a faccia con gli italiani bussando e ascoltando.

Oggi pomeriggio parleremo di Statuto e delle proposte del Partito Democratico.
Anche giovedì scorso, davanti al cardinale Scola, Il governatore Zaia a Venezia ha ribadito il succo del nuovo Statuto „Prima i Veneti’, a scanso di equivoci.
È evidente che la Lega deve cominciare a fare i conti tra promesse e fatti. Tra proclami propagandistici e risultati veri. Bandiera, inno veneto, statuto, dialetti, sono specchietti per le allodole, problemi marginali dietro ai quali si vogliono nascondere quelli veri.
Una propaganda che non risponde alle domande del Veneto, degli imprenditori, dei professionisti, che finge di non vedere che la crisi morde e ferisce occupazione e imprese.
Sul nuovo Statuto regionale, il presidente del Veneto si gioca la faccia; è una delle principali promesse fatte in campagna elettorale. Ma con lo Statuto non mangiano né le imprese né i lavoratori.
È meglio che se lo mettano in testa tutti. Tanto più se a partire da questo Statuto si cerca di dividere il Consiglio regionale su questioni risibili invece di fare della nuova carta costituzionale, un’occasione di incontro culturale e di ammodernamento del Veneto, fatti salvi i principi di intrapresa e solidarietà che fanno parte del Dna di questa terra.
Ma questo compito spetta anche a noi.
Perciò, rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro.