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30.12.11

Mirano: alle Primarie il candidato PD è Maria Rosa Pavanello

La Nuova Venezia 30 dicembre 2011

Primarie, Pd trova l’unità Pavanello candidata

MIRANO Colpo di scena, il candidato del Pd alle primarie è uno solo: Maria Rosa Pavanello, 42 anni, consulente in attività di formazione e da qualche tempo mamma a tempo pieno, sarà la sola democratica in corsa al voto di coalizione del 12 febbraio. Passo indietro in zona cesarini di Roberto Salviato, che fino a mercoledì sera era pronto a mettersi in corsa. L’ultima riunione-fiume del Pd, a candidature già aperte, ha sancito invece l’agognata unità interna al partito, che non era stata trovata nelle settimane precedenti e così ieri mattina il segretario locale Giuseppe Salviato e quello provinciale Michele Mognato hanno potuto uscire allo scoperto. «Non è stata affatto una scelta traumatica – precisa subito Giuseppe Salviato – ringrazio Roberto per il passo indietro, che è stato volontario. Maria Rosa ha dimostrato in questi anni competenza, serietà e passione e ha l’autorevolezza per essere la candidata di tutto il partito». «C’è un lavoro enorme da fare – ha aggiunto Mognato – Mirano in questi tre anni è stata resa marginale, ora serve ricostruire e chiunque sarà in discontinuità con la giunta Cappelletto potrà far parte di questo progetto». Molti i nomi del Pd fin qui proposti per le primarie: prima quella dello stesso Giuseppe Salviato, poi quella di Pavanello e infine quella di Roberto Salviato. «Ma durante il percorso – spiega Mognato – siamo arrivati a una sintesi unitaria». Rimane il dubbio sulle intenzioni di una parte minoritaria del partito, quella che fa capo all’ex sindaco Franco Marchiori e a Roberto Artuso, che per ora resta a guardare. «Ma il Pd ha fatto la sue scelte – chiude Giuseppe Salviato – altri, se vorranno, faranno corsa a sé». Pavanello, già capogruppo in Consiglio ed ex assessore all’Istruzione e politiche giovanili della giunta Fardin, corre dunque per diventare la candidata del centrosinistra e si rivolge soprattutto alla Mirano dei quarantenni: «Giusta sintesi tra innovazione ed esperienza – dichiara la candidata – cercherò di coinvolgere il più ampio numero di persone, per età e area politica d’appartenenza. A Mirano vanno resi protagonisti i cittadini». Passo indietro convinto e all’insegna della responsabilità quello di Roberto Salviato: «L’obiettivo è recuperare il comune, era necessario arrivare a una conclusione unitaria. Adesso occorre vincere le primarie per coinvolgere subito il centro: senza l’Udc non si va da nessuna parte». Posizione condivisa anche dalla stessa Pavanello, che sembra avere le carte in regola per piacere ai centristi, la cui preoccupazione però sembra essere quella di non scendere a compromessi con la sinistra.

Filippo De Gaspari

1.11.11

Nel PD Veneto c'è spazio per tutti: anche per gli ex-rottamatori di Matteo Renzi

La Nuova Venezia 1 novembre 2011
Nel Pd veneto i piccoli Renzi crescono


VENEZIA Quatti quatti, i fan di Matteo Renzi crescono anche nel Pd veneto, feudo di Rosy Bindi e dei bersaniani. Con un mantra sussurrato e pervasivo: basta con i dinosauri buoni per tutte le stagioni, una politica nuova richiede protagonisti inediti, non logorati da decenni di manovre di Palazzo.
Dei 100 punti per l’Italia emersi dalla due giorni alla Leopolda di Firenze (cui ha partecipato con un gruppetto di militanti) Antonio Bressa - della direzione nazionale dei giovani democratici- si dichiara «entusiasta» e riassume così la querelle: «Non si può ridurre tutto a un contrasto generazionale, nel Pd convivono due visioni dell’economia alternative: Bersani continua a sostenere il modello socialdemocratico dello scorso secolo, altri nel partito e nel mondo accademico chiedono invece una svolta moderna e riformatrice che rimetta in discussione il sistema Italia nel suo complesso. Spiace che il segretario si limiti a bollare queste proposte come appartenenti alla cultura di destra o addirittura le paragoni al reaganismo degli anni ’80. Sarebbe un grave errore liquidare così lo sforzo di tanti volontari e l’elaborazione di molti pensatori autorevoli».
Prudente, ma possibilista, anche il leader dei giovani democratici di Padova Paolo Tognon: «Tra noi c’è grande attenzione verso i linguaggi di Renzi, mi piace il suo approccio però aspetto di vedere se il suo progetto è in grado di aggregare o soltanto di dividere».
Risalendo nella gerarchia “democrat”, a promuovere il sindaco-rottamatore si leva la voce di Paolo Giacon, dell’esecutivo regionale del partito: «A volte dovrebbe essere più diplomatico, ma di sicuro ha stoffa, competenza e soprattutto tanta grinta. Qualcuno pensa che in fondo sia un gran rompiscatole e insieme a lui tutta la nostra generazione, quella dei trentenni, che attualmente è in gran fermento. Ma è solo con i personaggi scomodi che si ottiene il cambiamento, si abbandona il passato e si costruisce il nuovo. L’innovazione è sempre traumatica, dirompente e distruttiva». Secondo Giacon, da Firenze giunge «Un contributo programmatico coraggioso ed innovatore per riformare l’Italia e vincere le prossime elezioni politiche e il merito non è solo di Matteo Renzi, ma delle centinaia di “pionieri”che hanno lavorato ad un vero programma di governo capace di rivoluzionare democraticamente il nostro Paese».

Sul fronte opposto, le ragioni dell’ortodossia democratica nelle parole di Rosanna Filippin: «Non sono andata a Firenze però sono interessata a comprendere la visione e le proposte di questa parte del Pd», commenta il segretario regionale «io credo che il rinnovamento non sia un fatto anagrafico e se qualcuno mi chiama dinosauro (ride ndr) mi offendo. Cosa mi trattiene dall’applaudire Renzi? Un retropensiero, il timore che dietro il suo attivismo ci sia l’obiettivo di consolidare una carriera personale. Ma i giovani non stanno solo con lui, nel nostro partito, grazie a Dio, la discussione è vivace e libera. Ci serve il contributo di tutti, purché la prospettiva di quella di lavorare insieme, non di rafforzare la propria corrente attaccando gli altri». Sarà l’effetto-Crozza ma Bersani candidato premier suscita più battute che consensi... «Non sono d’accordo, per me ha personalità e statura adeguate ad assumere la guida del Paese». Vabbé, bersaniana fino alla punta dei riccioli... «Sì, e anche fedele».

All’ex stazione Leopolda è intervenuta l’imprenditrice di Conegliano Katia Da Ros («Mi piacerebbe che il nostro diventasse il Paese delle opportunità. Spesso dobbiamo combattere contro burocrazia farraginosa e giustizia lenta, oneri e balzelli») mentre un’altra trevigiana, Laura Puppato di Montebelluna, capogruppo in consiglio regionale, presente nel 2010, stavolta ha dato forfait: «Non c’ero ma ho letto con attenzione le conclusioni, la richiesta di rinnovamento e di partecipazione è sacrosanta, vorrei diventasse patrimonio di tutto il partito».

Last, but non last, un padre nobile dei democratici, Paolo Giaretta: «Le reazioni stizzite dei dirigenti sono un po’ paradossali», dichiara il senatore padovano, esponente dell’area popolare «sono sul campo 100 proposte, parecchie tra l’altro presentate sotto forme di emendamenti alle manovre economiche da molti nostri parlamentari. Il Pd si confronti con queste idee, le esamini nel merito invece di procedere con fastidio burocratico a condanne preventive». E conclude: «Renzi, per fortuna, rappresenta aspirazione largamente presenti nel nostro elettorato, condividise da molti che hanno visto nella nascita del Pd l’occasione di girare pagine rispetto a ricette e riti consunti e non vorrebbero vederci rientrare rapidamente nell’alveo di una sinistra sconfitta dalla storia. Un Pd senza Renzi è un Pd impoverito».

6.10.11

Secessionismo leghista: una bufala da smascherare, combattendo con la forza delle idee

La Nuova Venezia 6 ottobre 2011
Pd: “fuoco amico” sulla Puppato Lei: io vado avanti senza padrini

VENEZIA. Alta tensione tra i consiglieri regionali del Pd e “fuoco amico” su Laura Puppato. Mai troppo gradita all’apparato del partito, ora la capogruppo è oggetto di critiche pesanti e tra i suoi avversari c’è chi coglie l’occasione per rimetterne in discussione la leadership. Casus belli, il suo commento sull’altolà del presidente della Repubblica al secessionismo leghista: un’ampia condivisione, accompagnata dalla perplessità sul richiamo alla «repressione militare» dell’indipendentismo contenuto nelle parole di Giorgio Napolitano, giudicato eccessivo a fronte della «pochezza» del separatismo padano.
Tanto è bastato a scatenare il fuoco di fila; le polveri le ha accese il segretario regionale Rosanna Filippin; a rincarare la dose hanno provveduto i consiglieri Piero Ruzzante e Mauro Bortoli, nonché il dirigente nazionale Andrea Martella. Leit motiv: il Presidente ha «perfettamente ragione», il secessionismo va combattuto «senza ambiguità», il popolo padano «non esiste»; insomma, il verbo del Quirinale non si discute e guai a chi osa formulare obiezioni.
Tanta enfasi, a prima vista eccessiva, riflette nella realtà l’insofferenza che l’ala pidiessina del Pd malcela verso una leader che non proviene dai circuiti del partito ma dal movimento ambientalista. Che ha esordito in politica sbancando la roccaforte leghista di Montebelluna ed è entrata in consiglio regionale con un record di preferenze trasversali. Cooptata nella direzione nazionale democratica, è diventata presidente del Forum dell’Ambiente per volontà del segretario Bersani ma la circostanza non la preserva dalla fronda. «Personalismo», «mancanza di collegialità», «incapacità di coagulare le forze d’opposizione», le imputazioni ricorrenti.
Lei, Laura Puppato, non si scompone: «Un attacco strumentale ma sono serena, come sempre. Chi esterna dovrebbe leggere i contenuti e non solo i titoli. Forse l’avvicinarsi delle scadenze elettorali sta innervosendo qualcuno. L’apparato non mi ama? Pazienza. Io non ho padrini e a differenza di altri preferisco confrontarmi con la società civile».
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L’ira del Pd, Puppato sotto assedio
La Nuova Venezia 05 ottobre 2011

VENEZIA. Laura imputata di «reato politico connesso»: siamo a questo punto nel Pd. Laura Puppato, capogruppo in Regione, condanna l’appello alla secessione di Bossi e si permette di definire «eccessivo» il richiamo alla repressione militare di Napolitano? Mal gliene incoglie: scatta come una molla l’istinto riflesso degli ex Ds, che la mettono sotto processo. Il veneziano Andrea Martella si dichiara «stupefatto dalle parole della capogruppo». Mauro Bortoli, consigliere padovano, «sta con il presidente Napolitano».
Come se un distinguo potesse sconfinare in un oltraggio. Sulla stessa linea Rosanna Filippin, segretaria regionale del partito: «Tra le sciocchezze della Lega sulla secessione e il richiamo di Napolitano alla coesione nazionale, non c’è e non ci può essere alcuna ambiguità. Il Pd sta con il Presidente Napolitano».
Per la verità, Laura Puppato centrava l’«eccesso» sulla parola «militare», riferita peraltro da Giorgio Napolitano ad altra epoca storica, i moti indipendentisti siciliani dei tempi di Andrea Finocchiaro Aprile, fine seconda guerra mondiale. E’ passato un po’ di tempo, le condizioni sono mutate. Peraltro la secessione di Bossi sembra l’araba fenice, che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa. Ma tant’è: «Questo non è il momento per fare polemiche, ma sono rimasto stupefatto nel leggere le parole di Laura Puppato che non si è schierata in maniera netta dalla parte del capo dello Stato», scandisce Martella, secondo il quale la capogruppo del Pd «minimizza la pericolosità della deriva leghista».
«Ha ragione Puppato a sottolineare che l’Italia è ricca di diversità - dice Rosanna Filippin - ma il punto politico è che la Lega ha fallito proprio sulla promessa del federalismo e oggi invoca la secessione per coprire il disastro di un’azione di governo che non ha né aumentato l’autonomia dei territori, né ridotto la pressione fiscale».
«Io ho fatto presente che non è il caso di dar valore e forza, offrendole un palcoscenico, ad una secessione che nei fatti non c’è e non ha radicamento - si difende invece Laura Puppato -. Considerare la secessione un rischio tale da valutare anche l’ipotesi militare, potrebbe accrescerne il senso valoriale e consensuale». (r.m.)

Pd sferzante: Lega vecchio cane che non morde
La Nuova Venezia 2 ottobre 2011

VENEZIA. La secessione? «E’ il rifugio propagandistico di chi ha fallito e non sa come mascherare il tradimento delle sue promesse. La Lega? «Un cane invecchiato che abbaia ma non morde. Non ha portato a casa nessuna delle condizioni poste a Pontida e si ritrova a salvare un ministro indagato per mafia: bell’epilogo dopo vent’anni passati a gridare contro Roma ladrona». Rosanna Filippin, segretario del Pd Veneto, non usa mezzi termini nel commentare le reazioni leghiste alle parole del Presidente: «Ha ragione Napolitano, l’Italia cresce solo se cresce tutta assieme. Anzi, io dico che l’unica uscita dalla crisi può essere europea. Se di fronte alla crisi gli Stati nazionali sono impotenti, figurarsi improbabili entità come la Padania sognata da Bossi». «La verità è che la Lega non sa come nascondere il fallimento del federalismo. I territori subiscono tagli su tagli, la pressione fiscale è la più alta in Europa. Il centrodestra ha soffocato imprese e lavoro. Il Paese vuole voltare pagina e lo dimostrano anche il milione e duecentomila firme raggiunte contro il Porcellum by Calderoli».
Conclusione: «Il sentimento nazionale non è una retorica: l’unione di tutte le forze sane del Paese è la premessa per la ricostruzione di un paese distrutto dal berlusconismo. E la Lega sa che il secessionismo non è profeta nemmeno a casa propria: in Veneto il senso nazionale è più forte del sentimento secessionista, anche tra chi ha votato centrodestra».
(...)

23.9.11

Veneto-City il no del PD

Venezia, 23 settembre 2011

DICHIARAZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO SU VENETO CITY

Era già successo nel passato che la Giunta Regionale avesse provato a forzare i tempi ed a fine giugno di quest’anno la Giunta di Dolo a guida leghista, insieme a quella di Pianiga ha obbedito agli ordini di Regione e Provincia firmando l’accordo di programma per Veneto City.

È una firma che ha avuto caratteri di inedita urgenza e assoluto pressappochismo.

Questa è la nostra prima obiezione ed il blitz della convocazione improvvisa del Consiglio Comunale di Dolo, addirittura con procedura di urgenza, ne è la conferma.

Un’operazione immobiliare di tale portata e l’enorme dimensione del progetto proposto dovevano consentire e prevedere il massimo di coinvolgimento, discussione, trasparenza e partecipazione dei cittadini, delle forze economiche e sociali, così come abbiamo sempre sostenuto ai vari livelli politici e amministrativi.

Non abbiamo mai avuto pregiudiziali nell’esaminare i contenuti, anche perché l’area del piano in parte era già stata destinata negli anni ottanta ad attività economiche dagli strumenti urbanistici comunali.

Abbiamo sempre lavorato affinché ci fossero tutte le garanzie di sostenibilità per l’impatto che tutto ciò poteva produrre sul piano viabilistico, ambientale e socioeconomico.

Così come volevamo sapere che cosa si voleva fare, per cosa e come tutto ciò si intrecciava con il sistema di forte infrastrutturazione prevista e con gli altri insediamenti, compresi quelli di logistica legati all’interportualità padovana, alla portualità veneziana e al tema del rilancio di Porto Marghera.

La Riviera del Brenta e il Miranese, territori delicati dal punto di vista ambientale e di indubbio interesse paesaggistico e architettonico, sono realtà ancora vivibili e devono trovare il proprio equilibrato sviluppo in un rapporto positivo con Venezia e Padova. Non possono essere considerati territori destinati a ospitare solo autostrade e centri commerciali.

Chi ha memoria ricorda che si parlava genericamente d’insediamento universitario, attività innovative e di ricerca, di servizi di scala regionale senza dichiarazioni concrete di impegno o interesse.

Ci pare di poter dire ora che tutto si è ridotto a un insediamento di grandi centri commerciali con conseguenze pesantissime sui centri urbani esistenti.

Come abbiamo fatto nel passato e ancor di più oggi, e condividendo la sostanza di molte osservazioni che sono state presentate, ribadiamo la necessità di:

- sospensione dell’iter autorizzativo nell’attesa che lo stesso progetto venga assoggettato alla Valutazione Ambientale Strategica così come richiesto dal Comune di Dolo nel 2009, allora guidato dal Centrosinistra;

- non computare gli interventi di compensazione o mitigazione idraulica nella superficie a verde pubblico;

- stralcio delle superfici destinate a medie e grandi strutture di vendita;

- consistente riduzione dell’indice di edificabilità;

- rivedere il conteggio del rapporto tra beneficio pubblico e privato;

- considerare l’impatto viabilistico sull’intero sistema della Riviera del Brenta e del Miranese;

- sviluppare uno studio idraulico su un’area vasta per le ripercussioni che l’intervento può avere sulla rete scolante complessiva.

Sono queste solo alcune delle ragioni che ci portano ad esprimere il nostro forte dissenso su tale progetto sia per la gran fretta con cui si è approvato l’accordo di programma e sia per molti dei suoi contenuti.

Il Partito Democratico sarà alla manifestazione di Confesercenti.

È importante che su un intervento di questo tipo emergano tutte le contraddizioni e anche le ambiguità di chi in campagna elettorale aveva detto NO a Veneto City.

Michele Mognato, Segretario Provinciale PD Venezia

Renato Martin, Capogruppo Provincia di Venezia

Laura Puppato, Capogruppo PD Regione Veneto

Lucio Tiozzo, Consigliere Regionale

Bruno Pigozzo, Consigliere Regionale

Pierpaolo Baretta, Deputato

Andrea Martella, Deputato

Delia Murer, Deputato

Rodolfo Viola, Deputato

Marco Stradiotto, Senatore

Franca Cecilia Donaggio, Senatrice

17.9.11

Perché il PD provinciale veneziano collabora attivamente al successo del referendum anti-Porcellum

La Nuova Venezia 17 settembre 2011
PERCHÉ VOGLIAMO IL REFERENDUM


In questi giorni nelle diverse feste del PD a Venezia come a Mestre, in Piazza Ferretto il giorno dello sciopero generale e in tanti altri comuni della Provincia di Venezia, stiamo dando una mano a raccogliere le firme per cambiare l’attuale legge elettorale, il cosidetto Porcellum, la porcata del ministro Calderoli figlia dell’accordo PdL-Lega. Ci vuole una nuova legge elettorale che ridia lo scettro ai cittadini e non permetta più un parlamento di nominati.

Per ottenere questo risultato non basta l’azione parlamentare, ci vuole una spinta in più e questa può arrivare, al di là della condivisione o meno dei quesiti proposti, solo dal successo della raccolta delle firme e da un vasto movimento che imponga questa come una delle priorità dell’azione parlamentare.

Il Partito Democratico ha presentato la sua proposta di legge per consentire all’elettore di scegliere un programma, una coalizione ed un candidato premier. Dobbiamo con decisione e tenacia forzare la situazione perché questo può essere un terremoto salutare e può aprire una nuova stagione per la riduzione drastica del numero dei parlamentari, per un federalismo con i piedi per terra con i comuni protagonisti del futuro e non sviliti del proprio ruolo.
Non abbiamo bisogno di spostare le stanze dei Ministeri da una città all’altra ma di spostare verso i territori poteri, competenze e risorse reali.

Pensando alla storia di questi anni, ho ritrovato un mio vecchio articolo del febbraio 2006 pubblicato da «La Nuova di Venezia e Mestre» in cui auspicavo che la prevista vittoria de l’Unione del centrosinistra all’elezione di quell’anno portasse una nuova legge elettorale, cosa peraltro prevista nel nostro programma elettorale. Ricordo questo perché è evidente che non possiamo più mancare a quell’impegno. È in gioco il rapporto di fiducia con tantissime donne e uomini che da un anno a questa parte sono i protagonisti della riscossa civica del nostro Paese, per la dignità delle donne, per una scuola che dia prospettiva ai nostri ragazzi, per una cultura che è pane, per il diritto al lavoro e per una società che non abbandoni nessuno. Vogliamo vincerla questa battaglia, perché è un altro tassello importante anche per restituire dignità a chi è animato dalla passione politica, e tra questi c’è anche chi non la pensa come noi. Grande parte dell’elettorato che aveva creduto nel sogno di chi, come Berlusconi, ha governato ben otto anni negli ultimi dieci, ora non ne può più.

Lo abbiamo visto mesi fa, ai tantissimi banchetti del Pd per raccogliere le firme per le dimissioni del premier Berlusconi, non hanno firmato solo i nostri elettori, molti erano i delusi del centrodestra. Ora firmiamo tutti, lavoriamo perché la proposta del Pd sia all’ordine del giorno dei lavori parlamentari. Diamo all’Italia una buona legge elettorale. Il Pd in Provincia di Venezia fa la sua parte e bene ha fatto la «Nuova di Venezia e Mestre» a scendere in campo!

Michele Mognato
- segretario provinciale del Partito Democratico di Venezia

17.8.11

2 anni di giunta Zaccariotto: i numeri del fallimento

[Scarica il volantino]

La Nuova Venezia 17 agosto 2011

«Solo aumento d’imposta e niente tagli alla politica»

«Solo i frutti avvelenati del federalismo, con aumento delle imposte per i cittadini come Rc auto e prossimamente anche Imposta di trascrizione delle automobili, Ipt, invece di ridurre i costi della politica, riducendo il numero degli assessorati e del personale delle segreterie politiche, nonché i rimborsi chilometrici agli amministratori». E’ questa la prima critica che il Pd muove alla giunta Zaccariotto in un documento in 10 punti che - tra critiche e controproposte - in agosto getta le basi della polemica politica contro la giunta di centrodestra. Proseguendo, il Pd accusa l’amministrazione provinciale di totale assenza nella pianificazione per il turismo, proponendo di integrare i tagli regionali con fondi provinciali per ridare forza alle Apt come strumento di coordinamento territoriale. Il Pd accusa la giunta di silenzio sulle grandi infrastrutture e di blocco delle opere pubbliche, come idrovia, Romea commerciali, Treviso mare, fino all’insufficiente coinvolgimento dei Comuni sulla Tav, per la quale il Pd chiede di valutare la propria proposta di tracciato. Anche sul tema caro alla Lega della sicurezza, il Pd accusa la giunta di inadeguatezza, mancando piani di coordinamento alle forze dell’ordine: controproposta, l’avvio dei collegamenti telematici per connettere i sistemi di videosorveglianza del territorio e coordinamento della Polizia provinciale con le forze di polizia, privilegiandone l’uso sulle sue specifiche competenze, oggi ridotte al 12% delle mansioni. Il Pd contesta anche l’accettazione passiva dei tagli regionali ai trasporti, chiedendo alla Provincia un tavolo con Regione e Comuni per gestire la ricaduta e per accelerare la realizzazione della Sfmr. Infine, il Pd chiede il rilancio e non la dismissione (come accaduto per il Coses) delle società partecipate, a partire dall’ Irsesc.

2.8.11

Venezia: l'offensiva d'autunno del PD, politica e culturale

La Nuova Venezia 02 agosto 2011

Bersani lancia la sfida a Bossi


In settembre Venezia diventa capitale della politica, oltre che della cultura. Non solo Mostra del Cinema. Non solo Campiello. Ma anche tanta politica, con l’arrivo in città di molti leader nazionali per aprire una stagione, che si preannuncia incandescente.

Tanto per cominciare sono attesi Bersani, Bossi e i sindaci delle grandi città del Nord governate dal centrosinistra.
Quest’anno di fronte al tradizionale raduno leghista, in programma il 18 settembre in Riva Sette Martiri, il Pd non starà a guardare. Ha organizzato in centro storico, tra l’Erbaria e Campo San Giacometto, la Festa Nazionale della Pubblica Amministrazione - dal 13 al 17 settembre - con le conclusioni di Bersani, il giorno prima dell’arrivo di Bossi.
Ma andiamo con ordine.

Si parte ai primi di settembre, probabilmente martedì 6, con un incontro dei sindaci delle grandi città del Nord, governate dal centrosinistra. Orsoni farà da padrone di casa, accogliendo Piero Fassino, sindaco di Torino, Giuliano Pisapia (Milano), Marta Vincenzi (Genova), Virginio Merola (Bologna) e Roberto Consolini (Trieste) per un meeting che in sostanza costituisce l’asse anti-Lega del centrosinistra del Nord.

La settimana successiva, il 14 settembre, è prevista la mobilitazione dell’Anci nazionale di tutti i sindaci del Nord per «Richiamare la massima attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni, dei partiti e delle organizzazioni sociali ed economiche del Paese, sulla pesante e grave situazione economico-finanziaria, ma anche istituzionale, in cui versano tutti i Comuni».

Intanto il 13 prenderà il via la Festa nazionale della Pubblica Amministrazione del Pd con la partecipazione di vari leader del partito. Oltre a Bersani, arriveranno certamente i capigruppo di Camera e Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro; la presidente del partito Rosy Bindi e il vice-segretario Enrico Letta.
Sabato 17 le conclusioni di Bersani in Erbaria e il giorno dopo il raduno leghista, battezzato la Festa dei Popoli Padani, giunto alla sedicesima edizione, con il discorso finale di Bossi, che dal 1996 senza interruzioni sbarca in laguna con l’ampolla d’acqua del «dio» Po per sversarla in laguna.
Quello del 18 settembre, sarà con ogni probabilità l’ultimo raduno con la bandiera tricolore esposta dal balcone della signora Lucia Massarotto, che ha ricevuto lo sfratto e dovrà lasciare l’appartamento.

Il Pd lancia una doppia sfida alla Lega.
Prima, chiamando a raccolta a Venezia i sindaci delle grandi città nordiste governate dal centrosinistra, dove, dopo l’ultima tornata elettorale, vive il 65 per cento della popolazione del Settentrione. E tra i sindaci del centrosinistra c’è un gran fermento, un’attività che ricorda il movimento dei primi cittadini dell’inizio degli anni Novanta, sebbene nel frattempo sia cambiato il mondo. Alla fine di luglio, prima si sono incontrati Fassino e la Vincenzi, quindi Merola e Stefano Boeri, assessore milanese della giunta Pisapia. E in precedenza Fassino si era visto anche con Merola. Ma l’obiettivo finale è l’incontro del 6 settembre a Venezia.

La settimana successiva il Pd porterà in laguna la Festa nazionale della Pubblica Amministrazione. Un forum proprio nella città del ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, che solo un anno fa ha perso la corsa a sindaco con Orsoni.
«Una manifestazione molto importante», osserva Davide Zoggia della segreteria nazionale del partito, «che costituisce un riconoscimento al buongoverno di Venezia e una risposta alla demagogia del meeting leghista, con iniziative fondate sui contenuti che affrontano i temi vicini alla gente».

Nel corso della Festa è prevista un’assemblea con gli amministratori locali, «in particolare quelli del territorio», evidenzia Gabriele Scaramuzza, «oltre ad iniziative che mirano a portare alla luce i temi relativi alla semplificazione legisaltiva, alla trasparenza, e al taglio degli enti inutili».
Ma la scelta di Venezia, come ricorda il segretario provinciale Michele Mognato, «rimarca come il centrosinistra governi la città capitale del Nordest, dove l’economia lamenta in modo particolare i ritardi e l’inefficienza del governo Berlusconi, inadeguato nel fronteggiare la crisi».

25.7.11

Davide Zoggia: province e città metropolitane - la proposta del PD

Province e città metropolitane. Così il PD ridisegna il Paese
Una riforma istituzionale e degli enti locali oltre le polemiche dell'antipolitica: riduzione delle province, comuni sotto i 5000 abitanti associati tra loro, le città metropolitane...parla il responsabile pd per gli Enti locali.

Roberto Brunelli - L'Unità 25 luglio 2011

Ci vuole uno scatto, su questo non c`è dubbio. E la posta in gioco è alta. Da una parte c`è il crescente distacco dei cittadini dalla politica, dall`altra il bisogno di ridisegnare la fisionomia della «macchina Italia» rendendola al tempo stesso più efficiente e meno costosa. Il Pd ci sta lavorando da tempo, consapevole del fatto che la via è stretta: la crisi corre globalmente, rischia di imporre riforme che invece sarebbe meglio gestire piuttosto che ritrovarsi a subire e porta con sé anche sentimenti irrazionali che spingono a scelte improvvide. È intorno a questo nodo scorsoio che si sviluppa la discussione intorno ai cosiddetti costi della politica e intorno alla riforma degli enti locali. Il Partito democratico, per parte sua, ha presentato una proposta di legge costituzionale, primo firmatario Bersani. Consapevole di un fatto: che non c`è tempo da perdere. Sul piatto c`è l`abolizione delle province sotto i 500 mila abitanti, il loro ridisegno la contestuale creazione delle «città metropolitane». Sull`altro fronte, c`è la discussione intorno alla nascita del Senato federale.


Non è certo una partita semplice. Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd, la spiega così: «Cominciamo da un ragionamento generale: tutto il dibattito che in questo momento viene sintetizzato nell`espressione `costi della politica` contiene in sé anche la necessità di rendere più efficienti le strutture dello Stato, comprese le Regioni e le autonomie locali. L`obiettivo è duplice: semplificare i processi decisionali e diminuire i costi». In pratica, una riforma che fosse presa sottogamba rischierebbe di non centrare nessuno di questi obiettivi, contribuendo ad allontanare ancora di più il distacco dei cittadini dalla politica. Zoggia, che è stato anche presidente della Provincia di Venezia e dunque sa di cosa parla, è d`accordo: «Il Pd pensa la riforma debba essere profonda, e per essere tale non deve partire dall`antipolitica e dalla demagogia, ma da dati di fatti concreti. Per esempio quando parliamo della fine del bicameralismo perfetto e della diminuzione dei parlamentari parliamo di una cosa sperimentata: tutti sono un po` d`accordo sull`istituzione del Senato federale, che impegnerebbe i presidenti delle regioni e i rappresentanti delle autonomie locali non avendo così costi aggiuntivi rispetto a quello che è già il loro ruolo. Smettiamola di sottrarre competenze alle singole istituzioni, vediamo piuttosto di riorganizzarle con criteri sensati».



Vediamo le province. Il Pd parte dalla proposta della loro riduzione sotto i 500 mila abitanti, e già questo porterebbe un risparmio notevole. «Ma è necessario un ragionamento più profondo», spiega Zoggia. «Una riforma seria si fa se si riconosce che un ente intermedio è necessario, per esempio quando si parla della gestione dei rifiuti, dell`acqua, dei trasporti, che non possono essere gestiti in toto né dalle regioni né dai sindaci». E perché? «Prendete i sindaci: giustamente tendono a difendere ognuno il proprio territorio, per cui spingono verso la propria parte la soluzione dei problemi». Qui le risposte possono essere due: portare i comuni sotto i cinquemila abitanti ad associarsi, come già prevede la legge 142 del `90 e la creazione delle città metropolitane. «L`idea è di sperimentare qualcosa di completamente nuovo, una sorta di fusione tra il comune capoluogo, i comuni con termini e la provincia, creando un unico ente, con precisi meccanismi di coinvolgimento. Dico che è una forma innovativa perché metterebbe queste aree in grado di competere seriamente con l`Europa». Certo, più efficenza, ottimizzazione dei processi decisionali, riduzione dei costi. «È anche un modo per dare dei segnali. Ed è pure una questione di credibilità. Quando chiedi sacrifici al paese devi essere in condizioni ottimali, devi essere in grado di dare l`esempio». Cosa che questo governo ovviamente non è in grado di fare: anzi, si attorciglia intorno ai costi della politica, «ma finora non ha fatto altro che colpire proprio gli enti locali».
Ma c`è una cosa sulla quale Zoggia insiste: «Noi siamo disposti ad una discussione ampia e senza pregiudizi. Ma una risposta è necessaria subito. Altrimenti il distacco tra gli italiani e la politica sarà sempre più grande».

30.6.11

PD Veneto: "La situazione politica nazionale e regionale dopo il voto amministrativo e i referendum"


Rosanna Filippin
Partito Democratico Veneto
Padova, Direzione regionale 20 giugno 2011

La vittoria c’è stata ed è fuori discussione.
Andavano al voto 133 comuni capoluogo o superiori a 15.000 abitanti. Il centrosinistra ne guidava 73, quando si era nel 2006, ovvero un’era politica fa. Oggi ne guida 83.
Il centrodestra aveva 55 comuni, oggi ne ha 38. Poi ve ne sono altri 17 più “variegati”, ma in una buona parte di essi è presente il centrosinistra.
Nei ballottaggi: su 85 comuni 59 sono andati al centrosinistra, 8 alle civiche, 18 al centrodestra. Su 6 province: 4 a 2 per il centrosinistra.

Ancora più significativi sono i risultati dei comuni del Nord. Qui il centrosinistra passa da 17 comuni a 29 e il centrodestra da 27 a 8, perdendone 17 a vantaggio del centrosinistra e conservandone solo 4 degli uscenti.

Le indagini dell’Istituto Cattaneo sui 13 capoluoghi certificano alcune tendenze, rispetto al voto delle ultime regionali:
- Pdl: calo del 22%
- Lega: calo del 16%
- Pd: + 7%
Sempre nei 40 comuni maggiori del Nord il PD è il primo partito con il 27% dei consensi lasciando il PdL al 22,5 e la Lega al 10,9.

Le conseguenze
Un voto di natura amministrativa, che comunque riguardava circa un quarto dell’elettorato nazionale, ha assunto tre connotati: voto di valore politico, voto di svolta psicologica e voto spartiacque.
Voto di valore politico.
La politicizzazione del voto è stata una scelta dello stesso Berlusconi, che gli si è ritorta contro come un boomerang. Questo voto è un colpo alla forza politica del premier e della sua maggioranza. Il più pesante dal 2008. Perde la scelta della chiamata al referendum pro o contro se stesso, perde la scelta di demonizzare i magistrati e di agitare lo spauracchio dell’estremismo dei candidati.
Vince un centrosinistra capace di attivare meccanismi aperti di partecipazione (le primarie), di schierare nomi credibili per il governo delle città. Vince un Pd che è perno dell'alternativa, anche là dove non vince le primarie (a Milano siamo alla pari col Pdl nel voto di lista), oltre che nella stragrande maggioranza delle città, dove ha invece espresso i candidati vincenti.
Voto di svolta psicologica.
Su Repubblica Ilvo Diamanti aveva scritto che col voto delle amministrative cadono due costanti di questi anni: a sinistra la psicologia della sconfitta e a destra il mito dell’invincibilità di Berlusconi.
La sconfitta di Berlusconi è stata pesantissima davvero, perché è avvenuta su un terreno che finora gli era stato favorevole: quello di mettersi in sintonia con il paese Italia, quello di saper interpretare i sentimenti profondi di un popolo. Questa volta no.
Berlusconi è rimasto prigioniero di un mondo tutto suo, fatto a sua immagine e somiglianza, convinto che gli italiani avessero in testa le sue priorità. Non ha capito che le condizioni materiali di milioni di italiani erano molto peggiorate. Non ha capito che gli italiani erano alla ricerca di serietà, serenità, ed impegno di tutti di fronte ad un presente faticoso ed un incerto futuro. Ha proposto ancora una volta la rissa permanente ma stavolta gli italiani hanno detto basta.
Così come pesante è stata la sconfitta della Lega, all’opposizione di Roma sul territorio, e invece ben dentro le poltrone romane a Roma. Ma quando si è al governo nelle tre grandi regioni del nord o in moltissimi comuni giocare all’opposizione contro Roma è un gioco che dura poco: chi vota vuole risposte e la Lega non ha saputo darle. Né quelle serie come il federalismo, ne quelle che si aspettavano tanti elettori di cui ha coltivato paure, xenofobie, chiusure (il mantra del popolo di Pontida : secessione, secessione, secessione …).
Voto spartiacque.
Perché per la prima volta da anni il Nord è tornato terreno elettoralmente contendibile e perché per la prima volta è concretamente sul campo la questione della successione al premier (ormai la Lega lo ha esplicitato per il 2013 o, in caso di crisi, addirittura in tempi anticipati). E Bossi a Pontida, anche se con riferimenti storici confusi, ha evocato la stessa fine del ciclo politico berlusconiano.
Ed il Pd è diventato nei sondaggi il primo partito italiano.


Nel centrodestra la crisi ha aperto una tensione vera.
Due sono gli sviluppi possibili di questa situazione.
La prima è che la sconfitta e la voglia di evitare elezioni anticipate spinga Lega e Pdl a rinsaldare il rapporto, premendo su Tremonti per ottenere concessioni sul fronte della riforma fiscale.
La seconda è che invece la Lega sia tentata a breve dallo sgambetto o dal distacco.
È chiaro che sinora ha prevalso la prima tendenza. A Pontida la Lega ha messo in scena un “penultimatum” in perfetto stile padano:
Richieste simboliche sui Ministeri : la giusta pena per il partito anti burocrazia romana mendicare qualche ufficio dove piazzare il potente di turno ed i suoi accoliti.
Propaganda sulla guerra in Libia (che unifica in un unico obiettivo la retorica sulle tasse e quella contro gli immigrati)
Le due novità politiche emerse sono la crescente ostilità verso Tremonti e l'avviso di divorzio a Berlusconi. Sono novità che come Pd dobbiamo sfruttare per accelerare la crisi di questa maggioranza.
La discussione sulla riforma fiscale è un rilancio propagandistico: il governo non ha le risorse per finanziarla, non ha la volontà politica per reperirle da un diverso equilibrio tra rendite e lavoro, non ha infine la forza politica per forzare il vincolo europeo e dei mercati internazionali sulla tenuta dei conti, che imporrà da qui a settembre una correzione da 40 miliardi di euro.
Il contenuto più concreto di questa discussione è rappresentato dal risentimento e dal disincanto che il Nord produttivo sta accumulando verso le promesse mancate del centrodestra. E qui c'è lo spazio e il dovere di un'azione politica da parte nostra.
In Veneto si moltiplicano i segni della “disillusione dei produttori”, ma noi non riusciamo ancora a tornare alternativa credibile per questi ceti. Basta considerare alcuni esempi, che sono particolari ma hanno anche un significato generale:
La marcia degli industriali a Treviso: sul tema del fisco e dello sviluppo, il mondo dell'impresa dimostra un'insofferenza crescente. Dobbiamo anche dire che qui, nel Veneto, il problema delle imprese non è ridisegnare diritti e regole a propria misura, com'è sembrata voler fare, anche nei confronti della stessa Confindustria, la Fiat. Qui da noi prevale ancora l'alleanza tra impresa, lavoro e territorio, eppure di fronte alle difficoltà (che in prospettiva rischiano di sfociare nella parziale deindustrializzazione del territorio). Eppure, di fronte ad un governo che non mantiene gli impegni, che aumenta la pressione fiscale, che non semplifica le regole, che non scioglie nodi prioritari per il Nordest, la prima tentazione delle imprese è l'auto-organizzazione della rappresentanza. È il sintomo che l'alternativa politica al centrodestra non appare ancora convincente. È il sintomo del lavoro che abbiamo ancora da compiere. E che possiamo compiere, a partire innanzi tutto dalle nostre proposte su fisco, semplificazione normativa e sostegno all'innovazione.
L'iniziativa “La Tav ce la facciamo noi” (promossa da Ance e Confindustria venete): di nuovo un segnale di auto-organizzazione da parte delle categorie e del sistema territoriale, di fronte ad un governo che ha penalizzato le infrastrutture di questa parte del paese, costringendo i veneti ad onerosi project financing. Su questo dobbiamo essere a fianco del territorio, contro la ritirata dalla responsabilità politica e finanziaria di Governo e Regione. E per dire che Tav e sistema metropolitano di superficie devono essere due facce della stessa medaglia: una mobilità efficiente a servizio del territorio non limitata al solo traffico su gomma.

Alcune chiavi di lettura del voto, in particolare quelle sul voto al Nord e a Milano, danno spunti interessanti per un ragionamento politico anche in Veneto.
Secondo Dario Di Vico, i dati di Swg, che rilevano il primato di Pisapia tra l’elettorato giovane e nel lavoro autonomo, indicano due cose:
La prima è che il popolo delle partite iva oggi esprime una sensazione sociale di “precarizzazione”, alla pari di altri segmenti non protetti.
La seconda è che questa percezione sociale si trasforma in una domanda politica diversa da quella che si rivolgeva alle classiche promesse di deregulation, liberalizzazione e alleggerimento fiscale fatte dal centrodestra.
Lo spunto politico, anche per un Veneto dove segmenti tradizionali dell’insediamento elettorale del centrodestra sono in sofferenza è che il Pd:
Da un lato può rivolgersi alla delusione dei ceti produttivi per le promesse mancate dei 17 anni di berlusconismo (su fisco, semplificazione e infrastrutture).
Dall’altro può proporsi senza complessi ad un mondo di partite iva le cui priorità sociali e politiche si stanno ridefinendo. Il rischio, altrimenti, è che la rassicurazione sia la Lega ad offrirla, in una chiave però retrograda e rancorosa.
In sintesi. La partita per il superamento del berlusconismo si è davvero aperta. Il Pd ha idee e numeri per giocarla da protagonista. Per vincerla, in Italia e sopratutto in Veneto, dobbiamo investire politicamente sul recupero di quei punti deboli che ancora abbiamo tanto quanto sulle opportunità di iniziativa che la crisi del centrodestra ci apre.

I referendum
In un quadro nazionale segnato dal netto successo di partecipazione al voto, il Veneto ha confermato e rafforzato questo trend.
La partecipazione ai referendum evidenzia due fattori, che al Nord e in Veneto sono amplificati:
Il primo è la voglia di partecipazione.
Un risultato che non è frutto dell'azione organizzata di questo o quel partito anche se i partiti, Pd incluso, hanno sostenuto a fondo la mobilitazione : in questa occasione devo ringraziare lo straordinario impegno di tutti i circoli del Partito Democratico del Veneto, degli iscritti e dei simpatizzanti che hanno organizzato centinaia di iniziative, affisso ovunque migliaia di manifesti e distribuito quasi un milione di volantini con i 4 SI ai referendum.
C’è stato indiscutibilmente un risveglio di interesse perché i referendum rimettevano i contenuti al centro delle scelte. Gli italiani non hanno voluto delegare ad una classe politica, rivelatasi inadeguata, il proprio destino su questioni fondamentali come l’acqua, l’energia, la giustizia. Hanno ribadito la necessità di tutelare l’ambiente di vita. La qualità dell’aria, dell’acqua, la qualità di ciò che mangiamo….La risposta migliore ad una stagione berlusconiana fatta di disprezzo della politica, di populismo, di eccitazione all’odio verso le idee diverse dalle proprie.
Come ha osservato Romano Prodi, il triplo turno delle elezioni amministrative e dei referendum dimostra che nel paese c’è voglia di buona politica che tende ad organizzarsi anche al di fuori dei meccanismi tradizionali della politica. Per noi la lezione è che il Pd vince quando è capace di mettersi in sintonia con questo spirito di cambiamento, offrendo la sponda di una proposta credibile di alternativa.
L’ondata di partecipazione popolare dimostra che c’è una voglia dell’opinione pubblica di riappropriarsi del proprio destino, di ritrovare il senso di una politica del bene comune : è la richiesta pressante di una politica mite, responsabile, seria. Quella di cui il paese ha bisogno.
C’è poi la riscoperta del ruolo del pubblico. Per una larghissima maggioranza degli italiani la cura e la tutela dei grandi beni comuni (siano essi quelli ambientali o quelli dei servizi essenziali alla vita come la sanità e l’istruzione) restano un grande valore collettivo in cui occorre che agisca la competenza e la garanzia della buona amministrazione pubblica, richiamata a nuove responsabilità.

Il secondo dato è che i referendum, con un'affluenza forte anche al Nord e tra gli elettorati di Lega e Pdl (che sono andati a votare a seconda delle stime in percentuali comprese tra il 40 e il 50%), non hanno seguito le indicazioni esplicite di Berlusconi e Bossi.
Come sostiene Diamanti , se le amministrative hanno rivelato la fine del mito psicologico di un centrosinistra condannato alla sconfitta e di un Berlusconi invincibile, i referendum hanno sancito la perdita di sintonia tra i due leader del forza-leghismo e l'elettorato della cosiddetta Padania.
È inevitabile che questo secondo elemento inneschi conseguenze politiche, a partire dall'aggravarsi delle tensioni interne alla maggioranza e dal palesarsi di una dialettica interna alla stessa Lega (vedi la scelta di Zaia di disobbedire platealmente alla linea di Bossi sul non voto).


A livello veneto:
Nei comuni oltre i 15 mila abitanti, il rapporto è di 3 a 3, con uno alle civiche. Perdiamo Rovigo (dopo una clamorosa rimonta) e Montebelluna, conquistiamo Chioggia e Cavarzere, mancando per un soffio la sfida ad Abano Terme.
Nel complesso, considerando i comuni già assegnati al primo turno, il Pd:
- Vince nella provincia di Padova in 8 comuni su 12.
- Vince nella provincia di Venezia in 6 comuni su 9.
- Contribuisce alla vittoria in provincia di Vicenza in 7 comuni su 11.
- Contribuisce alla vittoria in provincia di Verona in 5 comuni su 20.
- Vince nella provincia di Rovigo in 4 comuni su 8.
- Nella provincia di Treviso siamo sconfitti a Montebelluna e non protagonisti ad Oderzo, ma nel voto di lista alle provinciali osserviamo che il Pd supera il dato cumulato di Lega e razza Piave in comuni come Vittorio Veneto, e porta la coalizione nella città capoluogo quasi alla pari con il candidato del centrodestra.
Secondo le sintesi del politologo Paolo Feltrin, nei comuni veneti con più di 15 mila abitanti, il confronto con le elezioni regionali del 2010, evidenzia due tendenze:
Il centrodestra perde 13 punti percentuali, passando dal 59.2% al 46.9%.
Recupera il centrosinistra, con un aumento dal 36.7% al 39.4%.

Sia in Veneto che in Italia, la seconda sconfitta delle elezioni è la velleità del terzo polo: sostanzialmente non pervenuto.
Il caso di Chioggia non fa eccezione proprio perché l’Udc lì non ha scelto una strada solitaria, ma l’intesa col Pd.
Non c’è stato alcun valore aggiunto. L’Udc si è preso i suoi voti ed appare inesistente lo spazio politico per il Fli. Ed il fatto nuovo è che, a differenza delle scorse regionali, dove l’Udc si è alleato con noi non è andato male.
Segnale che i nostri elettori – quantomeno nelle elezioni amministrative – hanno già saputo mescolarsi.
Il sistema bipolare in questo senso ne esce rafforzato : invece qualcuno ha visto segnali di vitalità di “Verso Nord” o delle tante ipotesi cacciariane sulla necessità del centro?
Tanto più nella provincia di Treviso, dove l’uscita di qualche nostro esponente dal P.D. non solo non ha determinato alcuna perdita di consenso, ma anzi ha visto premiato in modo significativo proprio il Partito Democratico, con un netto miglioramento di percentuali rispetto all'anno scorso, e di voti assoluti rispetto a cinque anni. Evidentemente hanno premiato la compattezza della coalizione e dello stesso partito, la scelta di un candidato presidente di indiscutibile competenza e passione, la solidità della squadra.

La nostra offerta politica
Oggi più che mai è centrata per il Pd la scelta di mettere al centro del discorso politico i temi concreti: lavoro, fisco, innovazione per lo sviluppo, politiche di coesione sociale, attenzione ai conti dei comuni.
Se una cosa è dimostrata da questo voto, è che:
L’innamoramento del Nord verso Berlusconi e verso la Lega non è più scontato.
Il Pd è il perno solido del centrosinistra, che vince con un proprio candidato in 24 casi su 29 (tra comuni capoluogo e province che andavano al voto in cui ha vinto il centrosinistra).
Anche dove, come a Milano, il Pd non ha espresso il candidato, siamo il primo partito della coalizione (e per un soffio non il primo della città).
La questione del rapporto con diversi segmenti di elettorato (astenuti, centro) non si affronta solo con la geometria delle alleanze. Come ha notato Bersani, gli elettori del centrosinistra e quelli del centro in diversi casi si sono già saldati, anche senza che fosse stata siglata un'alleanza.

Ma ci sono alcune lezioni da trarre. Anche per la nostra regione.
La prima è il primato della politica, sulle liti interne: quando parliamo delle cose concrete, vinciamo e siamo il baricentro dell’alternativa.
La seconda è l’importanza delle primarie: da Torino a Bologna, da Milano a Trieste e Cagliari, le primarie sono state uno strumento potente di coinvolgimento, partecipazione e mobilitazione dell’elettorato. Persino il caso Napoli, con primarie usate come regolamento di conti interno, cioè in modo scorretto, è un’eccezione che conferma la regola.
In Veneto su questo abbiamo pagato un prezzo: elezioni primarie per lanciare la scelta dei candidati avrebbero potuto rafforzare la nostra proposta in più di una delle situazioni in cui abbiamo perso, e forse specialmente a Rovigo.
Per il futuro, laddove non si verifica da subito la possibilità di sparigliare il gioco con alleanze alternative, come quella di Chioggia, la strada di primarie aperte deve essere l’opzione da percorrere sempre: perché questo strumento è entrato nel dna del nostro elettorato.
Perché il Pd non ha alcun motivo (né politico né di aritmetica elettorale) di temerle.
Perché quando abbiamo in casa uno stallo politico o divisioni croniche, l'apertura alla partecipazione sono l'unica medicina.


L'autonomia dei livelli locali è essenziale : è stabilita dallo Statuto e vanno rispettate le nostre regole. Ma l'esercizio dell'autonomia va di pari passo con quello della responsabilità politica.
Errori ne sono stati commessi in questa campagna elettorale. Errori che , se commessi altrove, in un diverso contesto socio - politico, consentono comunque la vittoria del nostro schieramento.
Ma non qui. Nel Veneto non possiamo permetterci errori. Queste elezioni ci hanno consegnato un cambiamento di opinione nei nostri confronti, una apertura di credito e di fiducia che non avevamo fino a sei mesi fa.
Ma non sempre abbiamo saputo cogliere questo clima diverso.
Quando un Sindaco uscente si trova nella condizione di non poter o voler ricandidarsi, quando la maggioranza che lo ha sostenuto va in mille pezzi ed il PD resta da solo, quando scegliamo il candidato sindaco all’ultimo termine utile, dopo una estenuante lotta interna, quando un’intera classe dirigente si arrocca nelle sue decisioni – anche se assunte nelle sacre stanze - e non importa se i segnali del territorio e della società sono di tutt’altro avviso, allora a pagare dazio politico è il ruolo del Pd e del centrosinistra in quel territorio.
E’ nostra responsabilità guardare in faccia i nostri errori.
Non per individuare i capri espiatori sui quali scaricare ogni colpa ma perché non possiamo più sprecare le opportunità che gli elettori ci affidano.
Per questo chiedo un’autentica, aperta, libera discussione su questo voto.
Fra tutti i livelli, locale, provinciale e regionale.
Nei luoghi in cui si è perso. A Rovigo, a Montebelluna, ad Abano Terme. Circolo per circolo. Perché le ragioni della sconfitta vanno condivise. Insieme, dal livello locale, a quello provinciale e regionale. La segreteria regionale c’è, è pronta ad accompagnare questo percorso.
Solo così è possibile rilanciare l’azione del Partito Democratico e presentarsi pronti e competitivi alla prossima partita.
Anche qui nel Veneto, terra contendibile.