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28.6.10

Federalismo e Veneto: il punto della situazione



“Il federalismo? Dovrebbe essere il terreno della concretezza. La Lega lo ha trasformato in quello delle promesse tradite”. Parola di Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd Veneto. Le prove? Nei dati forniti dal Senatore Marco Stradiotto: “Il Veneto è tra le prime regioni d’Italia per contributo procapite al gettito fiscale, ma è in coda alle classifiche sulla spesa e sui trasferimenti”. La soluzione la indica lo stesso senatore del Pd: “Dare agli enti locali autonomia, ma anche responsabilità: con tasse gestite in modo chiaro e trasparente dai diversi livelli istituzionali, da introdurre subito, in cambio però di una parallela riduzione del carico fiscale dovuto alle tasse dello Stato centrale. Altrimenti crescerà a livelli record un carico fiscale che già oggi è a livelli di picco storico”.



Sono questi gli elementi emersi oggi a Padova, nella conferenza stampa in cui Marco Stradiotto, componente della Commissione Bicamerale sul Federalismo, ha presentato i risultati di un’indagine sui numeri del federalismo fiscale.



Laura Puppato, capogruppo del Pd in Consiglio Regionale, presente alla conferenza stampa, ha commentato così le cifre fornite dallo studio: “Ci voleva la pazienza del Senatore Stradiotto per estrarre quei numeri chiari negati per mesi dal Governo agli enti locali. Oggi è chiaro che il Veneto ha sì un livello di spesa procapite contenuto, ma anche livelli di investimento e quindi di qualità inferiori, in alcuni servizi come il settore socio-sanitario e quello dei trasporti pubblici, rispetto ad altre regioni del Nord. Quanto alla sproporzione tra gettito versato allo stato e trasferimenti è chiaro che la situazione del Veneto è del tutto iniqua”.



“Dai numeri veri sul federalismo – ha aggiunto la Filippin – parte la sfida del Partito Democratico alla Lega. La nostra non è una sfida contro il federalismo. Anzi, è una sfida a farlo davvero: modificando subito il Patto di Stabilità e correggendo l’assurdità di una manovra che rischia solo di tagliare risorse agli enti locali e allo stesso tempo aumentare le tasse”.



E sugli sprechi nella Regione Veneto, Laura Puppato preannuncia battaglia: “Ci sono situazioni, come quella degli amministratori delle società partecipate dalla Regione, in cui vogliamo vederci chiaro. In tempi di crisi, non sono più tollerabili certe prebende milionarie come quelle previste nelle società regionali con il consenso del centrodestra al governo”.

13.6.10

Voci dal Nord Camp

La Nuova Venezia 13 giugno 2010
Più che il federalismo è utile la vecchia politica»

LAZISE. «Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono». Sullo sfondo delle note di una delle ultime canzoni di Giorgio Gaber, si recitano il dramma, gli interrogativi, e le proposte del Pd per il Nord. Che si tratti dei segretari regionali del partito di Veneto, Liguria, Trentino, Friuli-Venezia Giulia che si domandano quale sia la ricetta con la quale recuperare il rapporto con il territorio, vittorioso nel caso del Trentino. Che si discuta con le rappresentanze dei “piccoli”, Cna e Confartigianato, ormai unite in Rete Italia i cui iscritti sono per lo più preda delle sirene della Lega, il dibattito è una ricerca su come trovare una via per conquistare il Nord perduto.
«Ci vuole autonomia finanziaria, di scelta dei propri rappresentanti ma anche di far riconoscere al centro quelli che sono sul territorio» dice Rosanna Filippin, segretaria regionale del Veneto. «Non si tratta di fare un Pd federale, ma di sapere parlare a realtà diverse che hanno esigenze diverse e di trovare un personale politico in grado di rappresentarle» fa Lorenzo Basso della Liguria. «Per fare una federazione forte ci vuole anche un centro forte» sostiene Debora Serracchiani a capo del Friuli. Ma la ricetta che propone Michele Nicoletti, a capo di quel Trentino che registra i successi più diffusi del Pd che ha da poco riconfermato la guida di Provincia autonoma e comune capoluogo, è quella della vecchia e cara politica classica. «La gente ha bisogno delle idee, far politica significa sedersi su sedili di pietra ad ascoltare i cittadini a dare risposte, soprattutto alle nuove generazioni. Non si tratta cercare o consegnare la nostra vita a uno che è più bello o più nuovo di Berlusconi».
E i piccoli? Cioè quelli che il libro di Dario di Vico chiama «la pancia del Paese» e che Daniele Marini vorrebbe definire «la spina dorsale del Paese» per cambiarne il ruolo, a partire dal linguaggio? «La politica strizza l’occhio alla Confindustria della Emma Marcegaglia e ignora un’assemblea di due milioni di persone. Non serve il federalimso, serve la normalità» dice Ivan Malavasi della Cna ricordando che nel suo mondo, una volta legato al centro sinistra per il 70%, oggi la sinistra ha una rappresentanza del 5%.
Anche per Marco Stradiotto si devono cambiare linguaggi e metodi: «Non si possono chiedere i soldi ai piccoli e poi accusarli di essere disonesti» dice. E poi i candidati: «Ho fatto anche io la campagna per il mio amico Bepi Bortolussi, ma chi rappresentava Bortolussi? Forse una nicchia non certo una categoria».
(a.c.)
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Per cosa ha fatto parlare di sé, l’evento del Partito Democratico al Nord voluto da Enrico Letta in Veneto? Berlusconi definito da Carlo De Benedetti, venerdì sera al Camp di Lazise, l’Alberto Sordi della politica; la Spagna pronosticata da Bobo Maroni come vincitrice dei mondiali di calcio. Anche lucide riflessioni dei vari Cacciari, Errani, Boeri, Caracciolo, certo. Che hanno lasciato il segno soprattutto sui giovani: sui quali, come ha sottolineato giustamente lo stesso Cacciari, occorre investire. E che quando (troppo poco) sono chiamati, rispondono con entusiasmo.

Ma a chiusura dei lavori, non si coglie traccia di risposta vera alla questione di fondo: perché nella seconda Repubblica il centrosinistra rimedia continue sconfitte al Nord? Quindi: come se ne esce? Di analisi sulla questione settentrionale sono zeppi gli archivi da almeno mezzo secolo. Con un comun denominatore: la modernizzazione incompiuta del Paese, che nei decenni, lungi dal progredire, è andata incancrenendo. E che riguarda peraltro 20 milioni di abitanti, quasi 3 milioni di imprese (la metà del totale nazionale), poco meno di 400mila professionisti, solo per citare qualche dato. Da allora studi ed allarmi si sono sovrapposti e mischiati. Inutilmente: «Così perdiamo il Nord», avvertiva due anni fa un saggio dell’allora presidente del Friuli-Venezia Giulia Riccardo Illy. E’ stato il primo a pagare di persona, perdendo la Regione a beneficio del centrodestra. Oggi al di sopra del Po, dove vive il 40 per cento dell’elettorato italiano, dominano incontrastati Pdl e Lega, quest’ultima in particolare: uno strapotere vistoso in particolare a Nordest, dove la Lega da sola in Veneto ha appena raccolto il 35, quindici punti in più del Pd. Uno scarto così vistoso ha matrici remote, non esplode da un giorno all’altro: «E’ mancata alla sinistra la capacità di capire il Nord quand’era all’opposizione, e di farsi capire quand’era al governo», segnala uno studioso del valore di Valerio Castronovo. Così è venuta maturando un’inconsistenza lucidamente sintetizzata da Sergio Chiamparino, che queste cose le aveva già segnalate (anch’egli inutilmente) a inizio anni Novanta, quand’era segretario del Pds del Piemonte: «Non sappiamo cosa dire ai piccoli imprenditori, ai lavoratori, agli anziani, ai giovani». Alla gente.

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Lodevole nelle intenzioni ma insufficiente nella pratica, il “Nord Camp” di Letta va in archivio senza aver proposto indicazioni operative su come tradurre nell’azione politica quotidiana la concretissima richiesta di minima formulata durante i lavori dal presidente della Provincia Forlì-Cesena Massimo Bulbi: “Torniamo sulla terra”. Non è un compito impossibile, ma è sicuramente faticoso: perché vuol dire mettersi al lavoro ogni santo giorno sul territorio. Come fa la Lega. Magari potrebbe voler dire anche rinnovare i vertici, prendendo lezione dal resto del mondo. E’ ancora fresca di cronaca la notizia che l’elenco telefonico di Londra ha registrato un cambio di indirizzo significativo: il signor Brown (cognome frequentissimo in Inghilterra, l’equivalente del nostro Rossi), sette giorni esatti dopo aver perso le elezioni, ha lasciato la classica residenza del premier a Downing Street per passare da leader della sinistra a privato cittadino. Come tanti altri prima di lui, dalla Francia alla Germania, dagli Usa alla Spagna, non ne sentiremo più parlare. Di D’Alema, Veltroni, Rutelli e compagnia invece sì. Purtroppo.

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la Nuova Venezia 11 giugno 2010
L'elettore del Pd guarda alla Lega



VICENZA. «Il Pd del Nord è l’unica strada per non consegnare il Lombardo Veneto alla Lega». Massimo Cacciari, filosofo ex sindaco di Venezia, lo ripete inascoltato da anni. Una delle ragioni del suo «divorzio» dal Pd di Roma, che di questo non ha mai voluto sentir parlare. Adesso però le strade di Cacciari e del partito di Bersani si riavvicinano. Occasione, la tre giorni di laboratorio organizzata a Vicenza e Verona da Trecentossessanta, l’associazione di Enrico Letta, vicesegretario del Partito democratico.

Un sondaggio Ipsos commissionato proprio da Letta rivela che il 43 per cento degli elettori del Pd al Nord preferisce la Lega al Pdl. Segno che in qualche modo il populismo leghista e il radicamento sul territorio del partito di Bossi e Zaia evidentemente fa breccia anche a sinistra. Per il 71 per cento dei cittadini delle regioni settentrionali oggi l’Italia è più divisa rispetto a dieci anni fa. Quanto al federalismo, tra gli elettori del Nord il 37 per cento lo intende come una opportunità di sviluppo, il 33 come un elemento di equilibrio e il 32 come un fattore di risparmio. Tra tutti gli intervistati spicca una immagine negativa del Mezzogiorno.

Cacciari ha accettato l’invito di Letta a partecipare al seminario, che ha lo scopo di venire a parlare con un mondo che ancora ha difficoltà a parlare con il centrosinistra. Un ritorno attivo alla politica? «Ma no, mi hanno invitato a parlare e ho detto sì. Fa parte dei rapporti di civiltà». E poi, sorride, «Verona è sulla strada per Milano, dove ho ripreso a insegnare e occuparmi dei miei libri. Va bene». Non è il gran ritorno del filosofo nella casa madre del Pd dopo le dure polemiche degli ultimi anni? «Da quando non faccio più il sindaco», rivela Cacciari, «sono molto più rilassato, non devo andare in ufficio alle 7 e mezzo del mattino, ho più tempo per me e per studiare. Ma la politica non l’ho mai abbandonata. Le conferenze le faccio in giro per l’Italia. Adesso mi ha invitato il Pd e mi fa piacere».

I rapporti con Letta, quand’era sottosegretario alla Presidenza del governo Prodi, non erano stati sempre idilliaci. Anche con Valter Veltroni e poi con Bersani Cacciari aveva polemizzato duramente sulla «forma partito» del Pd. Sua l’idea di lanciare il Pd del Nord, guidato da Sergio Chiamparino. Progetto rimasto sulla carta. «Eppure», insiste Cacciari, «l’unico modo per non essere travolti dalla Lega è quello: radicare il partito democratico nel territorio, dare autonomia reale a un nuovo Pd federalista. «Ma non a parole», continua, «il Pd del Nord deve avere la libertà di scegliersi programmi e soprattutto candidati». Evitando quello che è successo alle ultime elezioni. Con le liste decise a Roma sulla testa dei territori. E i rappresentanti «locali» del partito in Parlamento ridotti al lumicino.

(Alberto Vitucci)

8.6.10

«Portatori sani di cultura»: il PD veneziano contro i tagli al FUS

la Nuova Venezia 08 giugno 2010
Pd, si ribella la cultura dimezzata dal governo


«Portatori sani di cultura». Questo lo slogan scelto dal Partito Democratico per la giornata di mobilitazione nazionale di ieri contro i tagli al Fondo unico per lo spettacolo e al decreto Bondi sulle fondazioni lirico-sinfoniche. Il partito annuncia la prossima organizzazione di presidi pubblici all’esterno dei luoghi della cultura cittadini, dai teatri alla Fenice.
«A rischio - dicono i parlamentari veneziani del Pd Rodolfo Viola e Delia Murer, assieme ad Andrea Causin e Bruno Pigozzo, consiglieri regionali, e al segretario provinciale del partito Gabriele Scaramuzza - sono istituzioni veneziane come il teatro la Fenice ma anche enti come l’Ateneo veneto e la fondazione Giorgio Cini e teatri grandi e piccoli, dal teatro Toniolo al piccolo teatro della Murata, che vive di finanziamenti piccoli ma che garantiscono l’attività di formazione che coinvolge centinaia di persone l’anno».
Questo - precisa Andrea Causin - perché «il taglio di 550 milioni di euro nel triennio 2009-2011 al Fus, fondo unico dello Spettacolo avrà ricadute anche sui fondi trasferiti dalla Regione Veneto che per il sistema cultura nella nostra regione mette a disposizione 20 milioni l’anno».
Dai parlamentari ed esponenti del Pd arriva poi l’ennesimo grido d’allarme per le condizioni del conservatorio Benedetto Marcello che ospita 1.100 studenti in una struttura «dove ci sono i buchi nel pavimento e mancano persino gli estintori». Una battaglia contro la manovra finanziaria viene annunciata anche in città.
Alla conferenza stampa nella sede di via Cecchini ci sono anche sindacalisti e lavoratori della Fenice. «La ristrutturazione degli enti lirico-sinfonici nasce malissimo, senza investimenti e con tagli che non consentono di rilanciare un settore in cui ogni euro investito ne produce 5 di indotto», dice Loris Brugnera della Snc Cgil. Il rischio è quello di veder proliferare non le produzioni culturali ma le «serate che trasformano il teatro in un grande buffet con orchestrina», dicono i lavoratori della Fenice. «Da due anni questo governo attacca cultura e sanità - aggiunge Rodolfo Viola - con un obiettivo che rivela motivazioni del tutto ideologiche e trasforma realtà come la Fenice in ristoranti con orchestrina». Il Pd che ieri ha tenuto anche una manifestazione nazionale a Roma promette anche a Venezia attenzione: «Cittadini e lavoratori devono reagire al salasso e noi saremo con loro», dice il segretario Gabriele Scaramuzza.
(m.ch.)