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29.9.10

PD Veneto duro su Calearo, capolista sbagliato

la Nuova Venezia — 29 settembre 2010
Calearo nel paese delle meraviglie
Non è mai stato di sinistra, non è mai stato di destra. Quando si paragonò ad un’aquila, Pansa lo riportò alla sua dimensione di gallo cedrone, due anni fa quando Veltroni lo invitò nel partito lo sciagurato disse di sì, ma mica perché aveva capito. Fece come quelle signore che si concedono per il piacere di piacere, vittime della loro stessa vanità, vinte dal deliquio che la riconoscenza accende negli animi di certe femmine inebriandole di gratitudine.
Massimo Calearo è uno di quei veneti che non litigano, non alzano la voce, non si offendono, è persona cortese e passabilmente vanitosa di quelle che le cazzate le fanno per spirito di cortesia, per timore di deludere le aspettative, per non sembrare ingrato. Non è un cinico né opportunista, è semplicemente un naive, una persona che ha scoperto la politica quando gliel’hanno offerta facendolo passare per la porta grande. Lo portarono nel salotto buono, gliela presentarono tutta agghindata e a lui non parve mai così bella. Che meraviglia. Nel Pd ci si dava del tu, tutti ti stavano ad ascoltare, vi si parlava di grandi cose, si ragionava di Paese, di progresso, persino di felicità, altro che in Federmeccanica, un postaccio quello, frequentato da gente in grisaglia, di orizzonti corti e interessi duri, tutti occupati a contare la lira senza nemmeno la possibilità di prendere un drink su una chaise lounge, slacciarsi il foulard e mettersi a proprio agio. E parlare, di Saviano, di Camorra, del Caimano sempre più pericoloso, dell’Obama che dio sa quanto ne abbiamo bisogno anche noi. Era un sogno, la differenza tra la ricreazione e la lezione. «Nel Pd ho scoperto la democrazia - raccontava estasiato nei giorni dell’amore - l’uguaglianza dei pari» e dato che quella dei compagni non l’aveva mai conoscita, quello gli parve il posto migliore per vivere, «andare finalmente in giro senza un ruolo appicicato addosso, senza uno status precostituito». E così che, a 53 anni, Massino Calearo è venuto alla politica, come un impiegato del fisco scopre il Sai Baba e scappa in India. Una visione, una casa vacanza. Poi sono arrivati i giorni del desencantamiento, il partito perdeva le elezioni, il posto di ministro sfumava, nel Pd non lo filava nessuno, i giornali lo predevano in giro, e quel posto di umanità inimmaginabile che gli sembrava meraviglioso e terribilmente appagante cominciò a somigliargli sempre più alla Finmeccanica che conosceva, giochi duri, crudeltà personali, carriere da difendere. Soprattutto non c’era posto per lui, soprattutto Calearo non ne poteva già più di stare con i perdenti. Passò con Rutelli, all’Api. Guzzanti ha scritto che «miagolava nel buio», adesso che si è messo a disposizione di Berlusconi, la segretaria del Pd veneto Filippin lo definisce «una figurina panini della politica, in corso di scambio». Hanno tutti ragione, ma Alice Calearo non ne ha colpa, è il «paese delle meraviglie» che lo ha ingannato, è la poca vita vissuta che lo ha illuso.
(e.r.)

28.9.10

Sandro Maccatrozzo presenta la propria sfida per la guida del PD provinciale

«Basta con la solita musica, cambiamo»
la Nuova di Venezia — 28 settembre 2010

«La provincia non è persa, ma per riconquistarla bisogna lavorare duro e crederci. E questo lo può fare chi la provincia la conosce, non chi ha sempre avuto una visione veneziano-centrica». Si presenta così Sandro Maccatrozzo, 53 anni, candidato alla segreteria provinciale del Partito democratico e, quindi, sfidante di Michele Mognato.
Maccatrozzo non può fare a meno di notare che c’è già qualcosa che non va se «questo primo congresso provinciale comincia nella primavera-estate 2009 e si conclude nell’autunno 2010». Lungaggini a parte, è al merito che Maccatrozzo guarda. «Basta con chi guarda indietro a gloriosi partiti e meno gloriose correnti - osserva - Serve una spinta in più, serve innovazione».
Ma chi dovrebbe riconoscersi in lui? Chi, all’interno del Pd, ritiene che sia importante «riflettere su quello che non ha funzionato finora, avere un segretario non veneziano-centrico, un segretario che non viva di politica, un segretario che non segua le vecchie logiche e sia invece aperto a una nuova generazione politica».
Un abito che Maccatrozzo può vestire: piccolo imprenditore nel settore delle energie rinnovabili; mestrino di nascita, ma iscritto al circolo di Concordia Sagittaria, dove abita. Quanto alla conoscenza attiva della provincia Maccatrozzo ricorda di essere stato dirigente della Filcams Cgil Venezia e segretario delle Camere del lavoro di Chioggia e Riviera, capoarea nord-est di Obiettivo Lavoro e, dal 2004, piccolo imprenditore nel settore del fotovoltaico e biogas.
(m.sca.)

26.9.10

Michele Mognato presenta il proprio programma come candidato alla guida del PD provinciale

Mognato lancia la sfida «Porterò il Pd veneziano alla guida della Provincia»
la Nuova di Venezia — 26 settembre 2010

Rafforzare la presenza sul territorio per riconquistare la Provincia nelle elezioni del 2014. Ecco qual è l’obiettivo contenuto nel documento che Michele Mognato - candidato alla segreteria del Pd provinciale assieme al portogruarese Sandro Maccatrozzo - ha presentato ieri nella sede di via Cecchini in concomitanza con l’apertura dei primi congressi di circolo (Dolo, Marano) che si concluderanno a fine ottobre, prima dell’assemblea provinciale (29-30 ottobre).
Mognato - che ha il sostegno della maggioranza del partito e quindi di gran parte dei circoli - ha voluto tracciare una «via nuova», con un insieme di idee e proposte rivolte al Pd veneziano. Il documento ruota attorno una serie di punti, che vanno dalle infrastrutture alla mobilità, dall’economia al lavoro, dal welfare alla scuola. Ma i due obiettivi principali sono indicati subito: «consolidare, radicare, rigenerare la nostra presenza nella città, nei luoghi di lavoro e in quelli di studio»; «porre le basi per riconquistare il governo della Provincia, confermando e governando nel frattempo il maggior numero di Comuni che andranno alle urne».
Nella sede del Pd provinciale, il candidato segretario ricorda anche i motivi della discesa in campo. «Mi è stato chiesto - spiega - e ho accettato volentieri raccogliendo un consenso che va al di là degli steccati. Sono orgoglioso del percorso politico che ho compiuto e credo di poter mettere in campo la mia esperienza per riconquistare quel palazzo della Provincia ora governato in modo non credibile, tanto che la stessa presidente Francesca Zaccariotto ha ammesso di bussare a tante porte e di trovarle sempre chiuse».
Il programma proposto da Michele Mognato affronta i temi cruciali per il Veneziano, come porto Marghera e le aree industriali, per le quali è possibile favorire «una vocazione logistica che sia incubatrice e non alternativa alla filiera manifatturiera, chimica, cantieristica».
Sulle infrastrutture, il candidato alla segreteria e già segretario provinciale dei Ds, ribadisce «la totale contrarietà alle scelta della Regione di individuare a ridosso della fascia litoranea del Veneto orientale il tracciato della linea ferroviaria ad alta velocità».
Per quanto riguarda la formazione, «in tutti i Comuni della provincia il Pd promuoverà progetti di sostegno all’autonomia scolastica». Sul welfare, «vanno garantiti e resi disponibili i servizi delle reti territoriali, a livello intermedio fra medicina generale e presidio ospedaliero».
In riferimento alle possibili alleanze, infine, Mognato ricorda che l’Udc «ha visto con le ultime elezioni comunali che siamo un partito serio e rispettiamo gli accordi».
Da ieri fino alla fine di ottobre, si svolgeranno i congressi dei 78 circoli provinciali. Ogni circolo eleggerà i propri delegati per l’assemblea provinciale, in programma il 29 e il 30 ottobre. La candidatura di Michele Mognato trova il pieno sostegno, fra gli altri, di Gabriele Scaramuzza, segretario uscente.
«Sono io il primo firmatario del documento a sostegno di Mognato - spiega Gabriele Scaramuzza che ha di fatto traghettato i Ds all’interno del Pd - I tre anni dalla nascita del Partito democratico veneziano sono stati un periodo di gestazione, dove s’è posta l’architettura di fondo, la base. Ora ci sono tutte le condizioni per fare il salto di qualità».

24.9.10

Pier Paolo Baretta: no alle sottoscrizioni del "documento dei 75" nei circoli (anche veneti)

Il Gazzettino Venerdì 24 Settembre 2010
L’INTERVENTO / Pd, si può cambiare ma senza creare correnti

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La grande crisi economica ha sconvolto le regole del gioco competitivo e delle convivenze etniche, ha frantumato i confini ed i poteri reali degli Stati nazionali, ha aperto voragini nella condizione di lavoro e di vita degli imprenditori e dei lavoratori. Di fronte agli effetti di questa impetuosa questione, che possiamo riassumere nella esigenza di “modernizzazione” della società italiana, anche la politica ridisegna i suoi confini ed orizzonti, sia a destra che a sinistra.

La anomala alleanza tra il localismo di Bossi e lo statalismo di Fini, tenuti insieme dal protezionismo-liberista di Berlusconi, non può durare e proprio in Veneto si sono avvertiti i primi scricchiolii con la lite pre e post elettorale tra Galan e Zaia. Ma anche nel centro sinistra tutto si muove. La consistenza elettorale del Pd che, nonostante le flessioni subite, rappresenta almeno un quarto degli italiani, lo carica della responsabilità di essere il perno dell’alternativa politica e di governo. Questo ambizioso, ma ineludibile obiettivo, è possibile se il Pd saprà unire progettualità innovativa ed unità interna.
Pochi mesi fa abbiamo scelto, con una straordinaria operazione democratica, che ha coinvolto, con le primarie, qualche milione di cittadini, chi doveva guidare e su quale piattaforma il Partito. Ciò non chiude il dibattito politico, ma la dialettica interna non può servire a promuovere una conta tra i parlamentari, né a costituire nuove correnti, movimenti, aggregazioni interne, non legittimate, come lo furono invece le mozioni congressuali, dal voto degli iscritti.
Non metto in discussione le buone intenzioni, ma la iniziativa dei 75 firmatari non è esente da questo rischio, comprovato dal fatto che la sottoscrizione del documento è stata anteposta ad una discussione aperta e non preordinata negli organismi del partito, nei gruppi parlamentari, nei circoli. Se si teme che vi siano i rischi di una involuzione si deve pur gridare “acqua alle corde”, ma se questo avviene attraverso la conta tra “innovatori” e “conservatori” interni si rischia, al di là delle intenzioni, di cristallizzare le posizioni, provocando l’effetto opposto di quanto dichiarato.
Tanto più se si attiva, come sta avvenendo nel nostro territorio, la sottoscrizione in periferia tra i militanti ed i circoli, accentuando la divisione interna.
Nessuno si nasconde i problemi, ma non al punto di lasciar trasparire una malcelata sfiducia nella possibilità di cambiare la situazione dal di dentro. I firmatari sostengono che non è questa la loro intenzione, né voglio attribuirla a quegli amici che, da dentro il Pd, guardano con attenzione ad iniziative locali, quale è “verso Nord”.
E’, invece e non a caso, quanto sostiene, con particolare tempismo, il ministro Sacconi, quando invita i dissidenti a lasciare il Partito democratico, senza chiarire se anche lui sta abbandonando il centro destra per dar vita ad un pur improbabile e sbagliato superamento del bipolarismo, o se sta chiedendo adesioni per la formazione di un nuovo centro destra. In entrambi i casi, non sono opzioni praticabili per noi.
Non ho, per queste ragioni, firmato il documento, ma non per questo ho rinunciato all’idea che bisogna migliorare il Pd, tutto e non solo una parte, ed è, perciò, che mi auguro che la discussione ritorni all’interno delle sedi naturali che sono gli organismi del Pd.

*deputato Pd

20.9.10

Il "manifesto" veltroniano dei 75: un'interpretazione dagli aderenti del veneziano

Il Gazzettino 20 Settembre
"Berlusconi e questo PD impreparato"

Gentile Direttore, ci sono alcuni punti sui quali vorremmo riflettere a margine del documento che con molti altri amici abbiamo offerto alla discussione dentro il PD.

Il primo punto è legato alla situazione generale del Paese.
L’estate appena trascorsa ha segnato il punto più alto della crisi valoriale e di contenuti del sistema berlusconiano: l’uscita dei finiani, la reazione scomposta in puro stile stalinista del cavaliere hanno accompagnato l’evidente incapacità della destra di dare risposte ai drammatici problemi del paese, caricando anche con la manovra economica di luglio, il peso della crisi sui più deboli, affossando il futuro sviluppo del Paese, sia quello culturale che del mondo del lavoro delle piccole e medie imprese.A questa crisi certificata dai sondaggi, mai così negativi per la destra, non è corrisposta da parte del PD la capacità di intercettare i voti in uscita dal quel fronte: in un sistema bipolare peraltro questa è l’unica possibilità di garantire reale alternanza di governo. I risultati delle Regionali e i successivi sondaggi ci fermano ad un deludente e non sufficiente 25 %. Anziché concentrarsi sul perché di questa situazione ci si è attardati a discutere di alleanze ora con l’uno ora con l’altro Partito, senza cercare di offrire una proposta spendibile per un elettorato in cerca di un punto di approdo credibile.

Da qui è nata la seconda considerazione di molti di noi, che vedendo una discussione troppo ripiegata sul tatticismo e visti i risultati negativi contribuisse a dare una visione al PD e con esso al Paese. Queste cose le abbiamo dette peraltro sempre in questi 3 anni di vita del PD, alla cui nascita quale abbiamo contribuito assieme a moltissimi altri con passione credendo ad un progetto capace di dare risposte nuove e più adeguate ad un Paese che nel frattempo è profondamente cambiato. Pensare al lavoro come un diritto da garantire attraverso un sano sviluppo del sistema economico, a relazioni sindacali moderne e più adeguate ai tempi di una globalizzazione selvaggia che mette in crisi il nostro sistema fatto di piccole e medie imprese, pensare ai cosiddetti piccoli che, specie qui al Nord sono un asse fondamentale della nostra economia, ai quali un Partito come il nostro deve garantire non solo a parole ma nei fatti diritti e dignità vera. Il tutto constatando una drammatica flessione nelle iscrizioni al Partito in molte parti del Paese, l’uscita di molti autorevoli dirigenti (salutata troppo spesso di espressione di sollievo) ci hanno convinto che fosse necessario contribuire al dibattito interno riproponendo concetti e proposte che stanno nel dna fondativo del PD.

E qui arriva la terza e ultima (amara) riflessione. Siamo stati blanditi in alcuni casi minacciati in altri a non firmare il documento in nome di una unità di facciata che, di fronte alla crisi della destra secondo qualcuno, veniva messa in discussione. Qualcuno altro ha parlato di posizionamenti in vista del mercato delle candidature per le eventuali prossime elezioni politiche. Il solo fatto di derubricare un documento di idee ad un bega di posti e di potere la dice lunga sulla comprensione e sulla capacità di un partito di confrontarsi con la ricchezza del dibattito e delle originalità al suo interno. Spiace che sia scattato un riflesso quasi pavloviano che spinge autorevoli esponenti e a parlare di autogol e di regalo alla destra e ad alimentare l’idea di gente in cerca di spaccare il PD. Il regalo alla destra lo si fa non offrendo al Paese un’alternativa spendibile e lasciando i disoccupati, il mondo della scuola, il sistema economico senza un punto di approdo cui affidarsi.Nessuno di noi ha firmato quel documento contro qualcuno. Scrive Letizia De Torre, Parlamentare del PD che non ha firmato il documento ma che ne ha evidentemente colto il vero significato “Il contenuto del documento deve essere discusso e la chiarezza che si deve fare deve aumentare l’unità, non l'unitarismo, ma l’unità nella diversità degli apporti che è il massimo dell’espressione democratica”. Con questo spirito vorremmo che si aprisse dentro il PD e con il Paese il confronto sulle cose che dice il documento: saremo tutti più forti.
L’alternativa per il PD è il rischio dell’ insignificanza dentro la società e sicuramente condannare il Paese a pagare il prezzo delle politiche di questo Governo.

Rodolfo Viola
Andrea Causin

19.9.10

PD Veneto: Rosanna Filippin lancia la mobilitazione d'autunno

Partito Democratico Veneto
Direzione regionale – Relazione di Rosanna Filippin
Treviso, 18 settembre 2010


La nostra riunione odierna cade in un momento delicato e decisivo per la vicenda politica nazionale.
A poco più di due anni dal voto che ha consegnato al centrodestra una netta vittoria elettorale, è tutto lo scenario politico che si è rimesso in movimento, con una dinamica di cui va compresa anche la natura paradossale.
Con una rapidità anche maggiore rispetto a quello che forse noi stessi avremmo immaginato, l’eclatante affermazione della Lega al Nord ha determinato una modifica degli equilibri complessivi del centrodestra: al Nord il Pdl è costretto a rincorrere il partito di Bossi, mentre al Sud è spinto a cercare di contrastare le rivendicazioni nordiste con una reazione sudista di segno uguale e contrario.
Rispetto a quando, com’era capitato nel 2001, Berlusconi era riuscito a contenere la Lega sulla soglia dello sbarramento elettorale, è cambiato un mondo.
La scelta di autonomia di Fini nei confronti di Berlusconi è figlia di questa stessa situazione. Fini si smarca da Berlusconi anche per reagire al rapporto privilegiato tra Lega e Cavaliere, dove Bossi conta sempre di più.
Di fatto, senza che nemmeno si sia aperta una crisi di governo, queste evoluzioni nel campo del centrodestra ci dicono una cosa: il progetto politico nazionale di Silvio Berlusconi si è esaurito.
E non è un caso che per la prima volta il premier tema il voto: perché tema al nord la concorrenza di Bossi e al sud quella di Fini.
Dopo sedici anni di presenza sulla scena e dopo aver governato per otto degli ultimi dieci anni, la parabola politica dell’imprenditore d’Italia è giunta ad un punto di crisi se non di vero e proprio fallimento.
Basta ripercorrere le promesse che il Cavaliere ha disseminato lungo il suo cammino politico per rendersene conto.
Berlusconi aveva promesso meno tasse per tutti.
Oggi l’Italia ha un’evasione superiore al resto d’Europa, ma il carico fiscale è uno dei più alti del continente.
E grava soprattutto sul reddito di chi lavora, a cui lo Stato italiano offre, “in cambio”, pure una delle spese sociali procapite più basse dell’eurozona.
Il fisco era l’obiettivo numero 1 di Berlusconi. E’ stato la sua prima e simbolicamente più forte promessa.
Bene, su questo Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso un paese più moderno.
Ovunque nel mondo la modernizzazione di un paese passa da scelte coraggiose.
E da investimenti sulla formazione, la ricerca e l’innovazione. Lo confermano le scelte di due conservatori come la Merkel e Cameron. Peccato che abbia più punti in comune con loro il democratico Obama che il nostro premier.
Anziché investire sul futuro e sui giovani, in Italia si tagliano risorse e personale alla scuola e all’università, si svaluta il ruolo della ricerca, si ignorano le opportunità della green economy.
E mentre la crisi economica richiede un ruolo attivo dei governi, in Italia il Ministero dello Sviluppo economico è gestito ad interim. Come se della crisi ci si potesse occupare nei ritagli di tempo.
Un paese più moderno? Anche su questo, Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso una riforma federalista dello Stato.
Dopo aver perso cinque anni con le chiacchiere leghiste sulla devolution, oggi la riforma federalista si rivela per quello che è: una bandiera senza contenuti, una cassaforte vuota, una propaganda smentita dai fatti.
Le promesse sull’autonomia impositiva e sulla partecipazione al gettito vengono rinviate al 2016, mentre i tagli alle risorse degli enti locali sono già realtà.
Un federalismo all’incontrario che ha tagliato 14 miliardi di euro al sistema delle autonomie regionali e locali e solo 3 miliardi di euro allo stato centrale.
Abbiamo spesso denunciato che si tratti di tagli alla cieca.
Perché i virtuosi pagano come e più degli spreconi. Forse è sbagliato dirlo.
Perché Tremonti e Bossi ci vedono benissimo.
Tagliano le risorse ai Comuni e alle regioni del Nord, ma poi accettano senza fiatare la leggina su Roma capitale.
Una distribuzione più equa delle risorse tra centro e territori. Sarebbe stata una riforma vera.
Ma anche su questo, Berlusconi ha fallito.
Berlusconi aveva promesso una riforma delle istituzioni nel senso della stabilità.
Va dato atto a Berlusconi di essere stato uno dei principali responsabili dell’evoluzione in senso bipolare della politica italiana. Considero questa evoluzione uno dei risultati positivi dell’ultimo quindicennio.
Peccato però che, in assenza di riforme istituzionali serie e condivise, anche questo risultato oggi sia messo in pericolo.
Una legge elettorale sbagliata ha stimolato la formazione di alleanze elettorali disomogenee.
Oggi il carisma di Berlusconi non è più sufficiente.
Ed è così che le cronache politiche e parlamentari di questi mesi e delle prossime settimane diventeranno sempre di più un revival di riti e movenze tipici della prima repubblica: riecco la paura dei franchi tiratori, il mercato delle vacche sui senatori e deputati, e governi che, in momenti di emergenza sociale ed economica, navigano a vista….
Istituzioni funzionanti per un paese più europeo, regole condivise per un’alternanza produttiva tra schieramenti alternativi.
Anche questo sarebbe stato un traguardo importante.
Anche questo, invece, è un obiettivo fallito dalla parabola politica del Cavaliere.
Le divisioni nel campo del centrodestra stanno paralizzando l’azione di governo. E si capisce l’insoddisfazione delle rappresentanze sociali verso questo esecutivo così poco incisivo. D’altra parte, nella misura in cui accelerano la fine di una fase politica, il chiarimento di un equivoco, queste divisioni sono il segno di una crisi politica che rappresenta anche un’opportunità.
Dipende da noi, soltanto da noi, riuscire a coglierla, per fare della crisi di oggi l’opportunità di domani.
Ci sono momenti in cui passa il treno. E bisogna essere pronti a prenderlo. Perché non ci aspetterà all’infinito. Il compito di un partito come il nostro, in una situazione come quella attuale, è proprio quello di giungere puntuali all’appuntamento con la crisi del berlusconismo.
Bisogna essere all’altezza della situazione. È una questione di messaggio, di identità, ma anche di stile.
Quando il treno passa, non conta in quale ordine ci saliremo sopra. Conta se si sale a bordo o se si resta a terra.
Il nostro non è il partito di un padrone solo.
Non è il partito del capo e nemmeno quello di un leader illuminato.
Il nostro partito è una comunità di persone, di storie, di sensibilità. Ma perché questa ricchezza diventi una forza, occorre che il nostro partito sia anche una comunione di volontà, unite da un progetto condiviso di paese.
L’idea di Italia che vogliamo, alternativa a quella realizzata da Berlusconi, è e deve essere il nostro obiettivo. Il partito e la sua leadership sono solo lo strumento per affrontare la sfida.

In queste settimane e in questi giorni, attorno alla proposta di Pier Luigi Bersani di aprire il cantiere del Nuovo Ulivo si è aperto un dibattito.
In un partito è normale e giusto che questo accada. Ma credo che dividere con false alternative il nostro partito, sarebbe oggi il peggior regalo che si può fare ad un centrodestra in difficoltà seria.
Se vogliamo essere protagonisti dell’alternativa, la prima cosa da fare è investire su noi stessi, sul nostro partito.
Non siamo figli di un Dio minore e abbiamo oltre che il diritto direi anche il dovere di proporre un nostro progetto per il governo del paese.
Questo significa che il Pd possa proporsi come una forza autosufficiente?
Certamente no. Per portare l’Italia fuori dal berlusconismo occorre una strategia articolata: per dividere al massimo il campo altrui e federare nel nostro campo lo schieramento omogeneo più ampio possibile.
Non sono le sigle che compongono una coalizione a unire un elettorato. Ma il progetto di paese che quelle forze condividono.
Con tutte le forze alternative al centrodestra è di questo che dobbiamo parlare.

Senza ignorare, ovviamente, i limiti e i punti deboli che dobbiamo affrontare come Pd. E qui come partito veneto abbiamo una speciale responsabilità.
Da 30 anni a questa parte le novità politiche nazionali vengono incubate al Nord. Perché il futuro del paese sia diverso da quello disegnato da Bossi e Berlusconi, occorre che qualcosa cambi in profondità, qui al Nord, nel nostro rapporto con gli elettori e il territorio.
C’è una difficoltà da recuperare. Perché il Nord, che è la locomotiva produttiva del paese, che è la frontiera più avanzata dei suoi mutamenti sociali, che è l’aggancio dell’Italia al resto d’Europa, non si fida di noi, mentre si fida ancora delle promesse della Lega.
Perciò dobbiamo ascoltare con attenzione e con spirito costruttivo il disagio di chi avverte un limite nella forza della nostra proposta e allo stesso tempo la necessità di uno scatto in avanti: sul piano del linguaggio e delle proposte concrete di governo.
A volte questo campanello d’allarme è risuonato anche nelle parole dei nostri amministratori. Dobbiamo tenerne conto.
Un partito adulto deve affrontare una situazione come questa con maturità.
Significa che se un esponente del nostro partito esplora in forme non ortodosse spazi di riflessione e confronto politico trasversali, com’è capitato con Verso Nord, la sua scelta individuale non può essere demonizzata, né trattata alla stregua di un’intelligenza col nemico.
Allo stesso tempo, maturità significa essere consapevoli che la prospettiva del nostro Partito e di chi vuole continuare a farne parte, per il futuro, può e deve essere quella di diventare protagonista vincente dell’alternativa: il perno del primo polo, non il comprimario di un terzo polo tutto da concretizzare.
Se la casa è troppo stretta la si ingrandisce, se ci sono degli spifferi si tappano. Le fughe individuali verso altri lidi non sono una soluzione.
La crisi del berlusconismo può aprire una fase politica completamente nuova. Che richiederà nuovi schemi per essere affrontata. Ma nella costruzione di questa novità, il Pd deve esserci da protagonista.

È possibile farlo? Sono convinta di sì. È sufficiente attendere la caduta di Berlusconi? Sono altrettanto convinta di no. Ci sono delle responsabilità da assumere. Qui e ora.
Nell’ultimo anno, abbiamo affrontato dei passaggi importanti. Elezioni primarie che hanno confermato un legame forte col nostro popolo.
Una sfida elettorale difficile, dall’esito deludente.
La riorganizzazione del partito e lo sviluppo della sua iniziativa politica ne sono state rallentate. Abbiamo vissuto una situazione di stallo, anche nell’attività degli organismi dirigenti. La situazione politica generale, a livello veneto e nazionale, non ci consente di indugiare più.
Siamo chiamati, e lo dico io per prima, ad uno scatto di responsabilità. Per essere all’altezza della posta in gioco.
Occorre che il gruppo dirigente, che è nato dal voto delle primarie di un anno fa, affronti con maggiore compattezza la sintesi della propria linea politica.
E occorre che gli organismi dirigenti a livello regionale ritrovino concretezza e sostanza operativa. Essere gruppo dirigente non significa avere un titolo o un ruolo. Significa assumersi fino in fondo la responsabilità di essere al servizio di un collettivo più ampio.
Non possiamo più guardarci la punta delle scarpe.
Abbiamo scelto di non essere un partito personale perché non crediamo ad una democrazia personale.
Noi siamo un collettivo e ognuno di noi in ogni luogo deve caricarsi della sua responsabilità, sapere che maneggia una proprietà indivisa.
In questo futuro prossimo, nel futuro che abbiamo qui davanti la gente avrà bisogno di percepire la solidità, l’unità e la forza di chi governerà il Paese. Noi siamo un bel Partito, di donne e uomini liberi che discutono e partecipano; abbiamo con noi tanta gente generosa e onesta che condivide gli ideali e che ha nella testa e nel cuore la voglia di una Italia migliore, più civile, più giusta.
Di un Veneto migliore.
Noi siamo ben più forti delle nostre debolezze.
Per rafforzare l’unità, per sentirci una grande squadra: muoversi assieme, combattere assieme, rimboccarsi le maniche tutti assieme.
Mentre lavoriamo per il progetto, noi ci muoveremo.

Voglio per l’autunno una grande mobilitazione che coinvolga oltre ai nostri militanti e ai nostri circoli tanti e tanti dei cittadini che hanno partecipato un anno fa alle primarie.
Chiedo a tutti un aiuto per trasformare la rabbia, l’insofferenza e l’impazienza che sentiamo intorno a noi in energia positiva. Chiedo a tutti un aiuto per metterci a faccia a faccia con gli italiani bussando e ascoltando.

Oggi pomeriggio parleremo di Statuto e delle proposte del Partito Democratico.
Anche giovedì scorso, davanti al cardinale Scola, Il governatore Zaia a Venezia ha ribadito il succo del nuovo Statuto „Prima i Veneti’, a scanso di equivoci.
È evidente che la Lega deve cominciare a fare i conti tra promesse e fatti. Tra proclami propagandistici e risultati veri. Bandiera, inno veneto, statuto, dialetti, sono specchietti per le allodole, problemi marginali dietro ai quali si vogliono nascondere quelli veri.
Una propaganda che non risponde alle domande del Veneto, degli imprenditori, dei professionisti, che finge di non vedere che la crisi morde e ferisce occupazione e imprese.
Sul nuovo Statuto regionale, il presidente del Veneto si gioca la faccia; è una delle principali promesse fatte in campagna elettorale. Ma con lo Statuto non mangiano né le imprese né i lavoratori.
È meglio che se lo mettano in testa tutti. Tanto più se a partire da questo Statuto si cerca di dividere il Consiglio regionale su questioni risibili invece di fare della nuova carta costituzionale, un’occasione di incontro culturale e di ammodernamento del Veneto, fatti salvi i principi di intrapresa e solidarietà che fanno parte del Dna di questa terra.
Ma questo compito spetta anche a noi.
Perciò, rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro.

17.9.10

PD Veneto: "Verso Nord" causa tensioni

la Nuova Venezia — 17 settembre 2010
Il Pd veneto verso lo strappo

VENEZIA. «Non siamo degli scambisti, noi vogliamo bene a chi vive nella nostra casa». L’immagine hot è di Laura Puppato e allude allo strappo in atto ai vertici del Pd veneto. Dove la capogruppo rivolge l’aut aut al consigliere Diego Bottacin: scelga tra il «terzo polo» e il partito che l’ha eletto. E agisca subito. Altrimenti lo faremo noi.
Il capo d’accusa, in forma di lettera aperta, allude all’impegno dell’esponente «lettiano» nel manifesto-movimento Verso Nord, fautore dichiarato dell’aggregazione di un nuovo soggetto - casininiano, rutelliano, finiano e via centrizzando - che superi l’attuale schematismo bipolare.
«Ho agito in coerenza con ciò che è accaduto da tre mesi a questa parte», scandisce Puppato «il nostro è il partito più libero e pluralista che si possa immaginare ma un conto è discutere, anche da posizioni lontane, un altro è lavorare alla costruzione di una diversa formazione politica. All’indomani delle elezioni, il nostro candidato-presidente, Bortolussi, ha costituito un gruppo misto ribadendo che lui non è iscritto al Pd. Beh, è vero. Bottacin, però, è un esponente del nostro partito, fa parte del gruppo in Regione, ha ricevuto la fiducia dei dirigenti democratici e il sostegno dei nostri elettori. E io sento il dovere di chiedergli conto delle sue azioni. E’ una questione semplice: o sta con noi, oppure no. E’ libero di sceglie il terzo, il quarto, il ventunesimo polo... Agisca secondo le sue idee e la sua coscienza, nella chiarezza però. Su tutto possiamo negoziare, non sulla trasparenza. Se poi ho capito male, se Diego non sta con i piedi in due staffe come mi è parso di capire, allora sarò felice di scusarmi con lui. Anzi, come ho promesso, cuoceremo il vitello grasso».
E l’eventuale figliol prodigo Bottacin cosa ribatte?
«Sono sbalordito, è una concezione del confronto che mi sembra fuori da ogni
grazia di Dio», fa sapere «secondo Laura Puppato la mia adesione a Verso Nord è
una sorta di tradimento, passibile di espulsione. Spero non creda davvero in ciò
che ha scritto, in tal caso dovrà cacciare anche Massimo Cacciari, Achille
Variati, Diego Zardini e tanti altri. Sarò in buona compagnia. Cosa dire? Nel
partito si avverte ormai un disagio fortissimo».
Aldilà delle boutade, la capogruppo pone un problema politico...
«E io rispondo che il sistema bipolare si va scomponendo, che la
contrapposizione tra due poli ha prodotto conflitti, non riforme. Che i segnali
di post-berlusconismo devono spingerci al cambiamento. E allora dico: mandiamo a
quel Paese chi finora ha lucrato sul bipolarismo, dai dipietristi alla sinistra
radicale, e costruiamo l’asse con il terzo polo, così da porre fine all’egemonia
centrodestra-Lega. Questo è ciò penso, questa è la prospettiva di Verso Nord. E
nel Pd questa convinzione si fa strada, è minoritaria ma non isolata. Le
attestazioni di solidarietà che mi arrivano da più parti, dopo l’attacco
ricevuto, mi confermano questa convinzione. Andrò avanti».
Parole grosse e clima pesante in vista della direzione regionale democratica, convocata domani a Treviso dal segretario Rosanna Filippin, impegnata in queste ore in un tentativo di ricucitura. L’ultimatum, si apprende, non è stato preceduto da una discussione interna e sta suscitando perplessità anche nella componente “diessina”, per due ordini di ragioni. Anzitutto, se un richiamo disciplinare deve esserci, questo spetta a chi dirige il partito, non a chi coordina il gruppo nelle istituzioni. In secondo luogo, colpire la componente cattolico-moderata rischia di sospingere i residui consensi centristi verso l’onnivoro, virtuale, gettonatissimo terzo polo.

3.9.10

Festa del PD Veneto, sulle Dolomiti


la Nuova Venezia — 03 settembre 2010

Bindi apre la Festa delle Dolomiti

Da oggi il centrosinistra sul Nevegal

BELLUNO. Tre giornate di incontri e dibattiti sulle alture del Nevegal, per un evento promosso dal partito democratico di tre regioni. E’ la prima edizione della Festa delle Dolomiti, che debutta oggi, inaugurata dal presidente del Pd Rosy Bindi. Il programma della festa nordestina è fitto di appuntamenti: dibattiti, tavole rotonde, presentazioni di libri. Ma anche attività ricreative, con passeggiate in montagna, serate di musica e mercatini con prodotti tipici.


Oggi l’inaugurazione ufficiale alle 17 con l’intervento della Bindi, accompagnata dai segretari regionali del Pd di Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia; alle 21.30, Enrico Borghi presenterà il suo nuovo libro «La sfida dei territori nella green economy».

Domani, sabato, quattro appuntamenti; alle 9.30 l’assemblea dei giovani democratici delle cinque province delle Dolomiti, che sarà conclusa dall’intervento dell’europarlamentare Debora Serracchiani. Alle 11.30 dibattito sulle prospettive Patto per la montagna del 2009 coordinato dal giornalista Franco Dal Mas, con la Serracchiani e il capogruppo in consiglio regionale veneto Laura Puppato; alle 17 il consigliere regionale Sergio Reolon coordina una tavola rotonda sul tema: «Dolomiti: prospettive e opportunità di sviluppo per le politiche del Paese?» con Enrico Borghi, Enrico Camanni, Herbert Dorfmann, Luigi Olivieri, Laura Puppato ed Erminio Quartiani; alle 20.30 il giornalista Giuseppe Casagrande presenta insieme agli autori il libro di Sergio Reolon e Marcella Morandini «Alpi, regione d'Europa».

La chiusura della Festa, domenica alle 17. Per le conclusioni, saranno presenti i parlamentari Maurizio Fistarol, Simonetta Rubinato, Delia Murer, Paolo Baretta, il sindaco di Padova Flavio Zanonato, Rosanna Filippin e Andrea Causin.

Ulteriori info sul sito http://www.partitodemocraticoveneto.org/.