la Nuova Venezia — 29 settembre 2010
Calearo nel paese delle meraviglie
Non è mai stato di sinistra, non è mai stato di destra. Quando si paragonò ad un’aquila, Pansa lo riportò alla sua dimensione di gallo cedrone, due anni fa quando Veltroni lo invitò nel partito lo sciagurato disse di sì, ma mica perché aveva capito. Fece come quelle signore che si concedono per il piacere di piacere, vittime della loro stessa vanità, vinte dal deliquio che la riconoscenza accende negli animi di certe femmine inebriandole di gratitudine.
Massimo Calearo è uno di quei veneti che non litigano, non alzano la voce, non si offendono, è persona cortese e passabilmente vanitosa di quelle che le cazzate le fanno per spirito di cortesia, per timore di deludere le aspettative, per non sembrare ingrato. Non è un cinico né opportunista, è semplicemente un naive, una persona che ha scoperto la politica quando gliel’hanno offerta facendolo passare per la porta grande. Lo portarono nel salotto buono, gliela presentarono tutta agghindata e a lui non parve mai così bella. Che meraviglia. Nel Pd ci si dava del tu, tutti ti stavano ad ascoltare, vi si parlava di grandi cose, si ragionava di Paese, di progresso, persino di felicità, altro che in Federmeccanica, un postaccio quello, frequentato da gente in grisaglia, di orizzonti corti e interessi duri, tutti occupati a contare la lira senza nemmeno la possibilità di prendere un drink su una chaise lounge, slacciarsi il foulard e mettersi a proprio agio. E parlare, di Saviano, di Camorra, del Caimano sempre più pericoloso, dell’Obama che dio sa quanto ne abbiamo bisogno anche noi. Era un sogno, la differenza tra la ricreazione e la lezione. «Nel Pd ho scoperto la democrazia - raccontava estasiato nei giorni dell’amore - l’uguaglianza dei pari» e dato che quella dei compagni non l’aveva mai conoscita, quello gli parve il posto migliore per vivere, «andare finalmente in giro senza un ruolo appicicato addosso, senza uno status precostituito». E così che, a 53 anni, Massino Calearo è venuto alla politica, come un impiegato del fisco scopre il Sai Baba e scappa in India. Una visione, una casa vacanza. Poi sono arrivati i giorni del desencantamiento, il partito perdeva le elezioni, il posto di ministro sfumava, nel Pd non lo filava nessuno, i giornali lo predevano in giro, e quel posto di umanità inimmaginabile che gli sembrava meraviglioso e terribilmente appagante cominciò a somigliargli sempre più alla Finmeccanica che conosceva, giochi duri, crudeltà personali, carriere da difendere. Soprattutto non c’era posto per lui, soprattutto Calearo non ne poteva già più di stare con i perdenti. Passò con Rutelli, all’Api. Guzzanti ha scritto che «miagolava nel buio», adesso che si è messo a disposizione di Berlusconi, la segretaria del Pd veneto Filippin lo definisce «una figurina panini della politica, in corso di scambio». Hanno tutti ragione, ma Alice Calearo non ne ha colpa, è il «paese delle meraviglie» che lo ha ingannato, è la poca vita vissuta che lo ha illuso.
(e.r.)
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