Democratici sul Titanic
Umberto Curi
Meglio tardi che mai. Ridotto all’osso, potrebbe essere questo il commento alla decisione assunta da Andrea Causin, il quale si è dimesso dalla carica di vicesegretario regionale del Pd. Limpide, e sostanzialmente persuasive, anche le motivazioni addotte per spiegare questa scelta. Da un lato, la paurosa emorragia di elettori registratasi fra le politiche del 2008 e le regionali del marzo scorso, con un saldo negativo di oltre il 40% di voti in meno. Dall’altro lato, la denuncia dell’incapacità del gruppo dirigente di capire le ragioni del mancato radicamento del partito nel territorio. Parole chiare - finalmente - seguite da comportamenti coerenti, anche se tardivi.
La crisi del Pd veneto ha ricevuto poi un’ulteriore accelerazione dall’annuncio del passaggio di Diego Bottacin, ultimo segretario della Margherita, sui banchi del gruppo misto in consiglio regionale. Un gesto, questo, certamente diverso da quello di Causin, il quale è rimasto nel partito, ma ugualmente indicativo di un malessere giunto ormai al limite.
Dopo l’incredibile vicenda di Giuseppe Bortolussi, scelto quale candidato governatore del centrosinistra, e poi dopo la sconfitta abbandonato al suo destino. Dopo la nascita di «Verso Nord», e la fuoriuscita di fatto di personaggi come Massimo Cacciari, questi colpi ulteriori segnalano che si è giunti davvero al capolinea.
Dopo l’incredibile vicenda di Giuseppe Bortolussi, scelto quale candidato governatore del centrosinistra, e poi dopo la sconfitta abbandonato al suo destino. Dopo la nascita di «Verso Nord», e la fuoriuscita di fatto di personaggi come Massimo Cacciari, questi colpi ulteriori segnalano che si è giunti davvero al capolinea.
Ma ciò che maggiormente preoccupa, in una situazione che non é esagerato definire drammatica, è la risposta della segreteria regionale, rimasta pateticamente arroccata in un atteggiamento inutilmente difensivo. Come se i 400mila elettori persi in un biennio fossero un’invenzione di Causin. Come se la clamorosa inadeguatezza culturale, tecnica e politica del gruppo dirigente regionale non fosse sotto gli occhi di tutti. Come se si dovesse attendere ancora chissà quale altra batosta elettorale per decidersi ad una resa dei conti rinviata da troppo tempo. Come se la perdita di tante figure così rappresentative non mettesse in questione, talora anche esplicitamente, gli orientamenti e le capacità di coloro che hanno governato il Pd nel Veneto da almeno un paio d’anni a questa parte. Davvero non si capisce cosa ancora si stia aspettando per azzerare da subito il quadro della dirigenza regionale, e anche di molte dirigenze provinciali, con lo spirito di chi tenti almeno di ricominciare da capo. Non vi è alcuna scadenza elettorale ravvicinata che possa giustificare un atteggiamento attendista. Il Titanic è oramai pieno di falle, imbarca acqua da tutte le parti, il naufragio è vicino. Restarsene sul ponte a danzare al suono di un’orchestrina, come se niente stesse accadendo, sarebbe l’ultimo di una serie già fin troppo lunga di comportamenti sbagliati e irresponsabili. Prima che la prospettiva del fallimento totale diventi inevitabile, si cerchi almeno di recuperare in extremis un po’ di dignità, riconsegnando agli elettori e agli iscritti la prerogativa di decidere l’assetto e gli orientamenti strategici del partito che dovrebbe essere il perno di un’alternativa al processo di leghizzazione galoppante. Mai come in questo momento si può dire che davvero, giunti a questo punto, l’unica cosa che si può perdere è una condizione di subalternità diventata giorno dopo giorno perfino umiliante. Il fondo è stato toccato. Con un po’ di coraggio e di onestà si può solo cercare di risalire.
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