Guardiamo avanti
Ho letto e ascoltato con curiosità ed interesse le dichiarazioni post elettorali di questi giorni ed ho pensato che fosse arrivato il momento di condividere qualche mia riflessione per fare il punto rispetto ai risultati delle elezioni ma soprattutto per dare un contributo all’ormai aperto dibattito congressuale e al futuro del PD.
Sono convinto che se davvero si vuole costruire con solidità il PD del futuro si deve innanzitutto analizzare con serietà il risultato elettorale cercando di non applicare il tradizionale metodo analitico della politica per cui alla fine vincono tutti e non perde mai nessuno. E allora mi pare fin troppo evidente che usciamo da una tornata elettorale dalla quale emergono veramente pochi elementi dei quali rallegrarsi. Sento affermazioni, sia a livello nazionale sia a livello locale, che raccontano che abbiamo tenuto, che non siamo poi andati così male, che siamo riusciti ad invertire la tendenza… io credo si debba dire senza timori che abbiamo perso! Certo, per non voler a tutti i costi vedere tutto il bicchiere vuoto, possiamo dire che a livello nazionale il PD non ha avuto il crollo che molti paventavano e che ci avrebbe portato a chiudere l’esperienza del nostro partito. Ma mi pare che le soddisfazioni, se possiamo chiamarle tali, finiscano qui; cosa potremmo dire del resto di fronte ai numeri? A livello nazionale perdiamo 4milioni di voti e a livello Veneto ne perdiamo 700mila. Abbiamo tenuto??? Non è andata poi così male??? La cosa che più mi preoccupa non è tanto aver perso, ma il fatto che non si voglia vedere con oggettività il risultato; un comportamento che nasconde il rifiuto di prendere in considerazione il fatto che forse bisogna cambiare qualcosa, far tesoro degli errori e non “chiudersi nel fortino” per mantenere quello che si ha, quasi impauriti dall’avanzata del “nemico”… E’ la vecchia logica del “meno siamo meglio stiamo”, ma è una logica sbagliata! E’ quella logica che ci farebbe stare per sempre all’opposizione, è quella logica che proprio la nascita del PD voleva, e vuole (!), cancellare. Il progetto del PD era quello di un grande partito di popolo che si candidasse con convinzione al governo del Paese, che presentasse alle italiane e agli italiani la novità per un grande rilancio. E allora se questo è ancora l’obiettivo e la convinzione di ognuno di noi, e per me lo è certamente, dobbiamo dirci perché siamo arrivati a questo punto e proporre i modi per rilanciare questo grande, indispensabile, progetto per l’Italia.
Mi pare chiaro che i motivi della sconfitta sono diversi, ma molti, ritengo, riguardino noi stessi. Tra gli elementi che considero cruciali, sottolineo che: non abbiamo tenuto fede alle promesse di base: gli organismi regolarmente eletti a livello nazionale, regionale e provinciale nelle primarie del 2007 non hanno mai avuto modo di lavorare veramente. In particolare il livello nazionale, che avrebbe dovuto dimostrare di credere davvero ai meccanismi messi in piedi, ha preferito promuovere da subito, secondo una vecchia tradizione, organismi paralleli (caminetti vari) la cui logica di composizione e funzionamento è sfuggita sempre ai più. Ciò ha comportato un rapido allontanamento di molti che eravamo riusciti a far avvicinare;non abbiamo saputo rinnovare la classe dirigente: non solo il PD non ha saputo valorizzare le molte forze che si erano avvicinate con le primarie per rinnovare e rigenerare le sue forze interne, ma anche nelle partite amministrative e politiche ha dimostrato pochissimo coraggio aprendo solo rari spazi a persone nuove. Anche quando questo è avvenuto non è certo stato in forza di metodi trasparenti e condivisi dal territorio, ma sempre per diretta incoronazione del segretario o al più dei vecchi gruppi dirigenti o per fortunati colpi mediatici;non abbiamo saputo prendere posizione su temi fondamentali: quasi mai in questi mesi è uscita una posizione chiara del PD sui temi di attualità politica: penso all’immigrazione, alla sicurezza, ai temi etici, ai referendum, alla legge elettorale. Non abbiamo saputo darci un’identità forte e chiara, ma abbiamo continuato a disorientare gli elettori cambiando idea ogni momento, senza conquistare mai quella funzione di guida che un partito deve avere rispetto alla soluzione dei problemi della società;non abbiamo costruito una opposizione sui temi politici chiudendoci troppo spesso in una sterile, e perdente, critica a Berlusconi e ai suoi comportamenti;non abbiamo avuto capacità di comunicazione: oscilliamo sempre e ancora tra il non dare conto delle buone politiche che mettiamo in atto e il fare campagne sugli slogan; vale a livello nazionale come a livello locale. Continuiamo a comunicare al meglio le nostre divisioni, a indebolire le cose buone e non riusciamo ancora a far capire quanto in entrambi i livelli abbiamo cambiato nel Paese, nei territori, nelle città con il nostro operato; serve comunicare i nostri risultati, ma soprattutto la valenza sociale delle nostre azioni;non siamo più radicati sul territorio: come dimostra l'analisi del voto, il PD tiene là dove le vecchie strutture di base sono ancora in grado di fare un serio lavoro di porta a porta, sia nel dialogo quotidiano che nella gestione delle campagna elettorali; tiene dove i circoli funzionano e lavorano quotidianamente a contatto diretto con le persone. Questi territori sono sempre più ristretti perché la società è cambiata, certamente, ma anche perché nessuno fa più lavorare i circoli nell’elaborazione delle linee politiche e programmatiche.
Accanto al crudo, forse parziale, elenco degli errori occorre muoverci per guardare avanti; abbiamo bisogno di tracciare un percorso e di compierlo, abbiamo bisogno di fare e di essere credibili. Io credo ci siano alcune cose indispensabili che devono essere attuate:rinnovare nel metodo e nelle persone: dobbiamo cambiare! Non possiamo più limitarci a dirlo, ora dobbiamo farlo! E chi lo dice deve anche assumersi la responsabilità delle affermazioni che fa e capire che il rinnovamento non può riguardare sempre gli altri. Non intendo confondere il rinnovamento con il nuovismo e il giovanilismo spesso evocato in questi mesi, ma è indiscutibile che oggi ci sia a tutti i livelli una classe dirigente che va rinnovata e rigenerata. Dobbiamo selezionare personalità fresche e qualificate per farle entrare a pieno titolo nella vita del PD come dirigenti e come amministratori, non solo per farli andare a Roma o a Milano una volta a votare cose già decise da altri;mettere al primo posto il merito nella selezione delle persone alle quali affidare incarichi di governo nelle amministrazioni e nelle società partecipate nelle quali governiamo o aspiriamo a governare. Merito è la parola che deve fare da stella polare nel PD come segno della differenza nella scelta della classe dirigente fra noi e il centrodestra. Non dobbiamo farci prendere la mano e scegliere d’istinto soltanto un’immagine… dobbiamo valorizzare la capacità, la competenza, la serietà, la moralità come unici criteri che possono far coesistere esperienza e novità, vecchi e nuovi, passato e futuro. E’ evidente la necessità di far emergere, ora, subito, le molte energie che da anni si allenano a bordo campo e sono tenute in panchina. Il territorio trabocca di persone intelligenti e preparate. Bisogna avere il coraggio di mettere in panchina chi ha guidato la squadra fino a qui e che non ha più le energie per combattere in prima linea e mettere in campo forze fresche, capaci di generare un colpo d'ala. Ai capitani di lungo corso, bisogna chiedere di restare vicino ai nuovi per sostenerli in un percorso certamente difficile, ma possibile, di rilancio del centrosinistra nel Paese e nei territori;realizzare davvero il partito federale: fermo restando che un partito nazionale deve condividere tutte le istanze di base che qualificano la sua linea politica, va dato ampio spazio ai livelli regionali, provinciali e territoriali del partito per sviluppare un lavoro aderente alle realtà locali.
Ciò significa, oltre ad avere Statuti e Carte dei Valori autonomi in ogni regione, avere risorse economiche da gestire a livello locale che consentano di organizzare il lavoro attraverso strutture capaci di gestire la complessità (segreterie, comunicazione, gestione della rete, ecc); dobbiamo avere la forza di gridare che vogliamo decidere qui cosa si deve fare nel nostro territorio e chi si deve candidare;ricostruire il radicamento sul territorio: restituire ruolo agli iscritti e ai simpatizzanti del PD definendo una metodologia di partecipazione trasparente e chiara. Per fare questo è necessario completare lo Statuto nazionale con un Carta della Partecipazione del PD nella quale siano chiariti i principi della partecipazione, i ruoli di tutti gli attori (cittadini, iscritti, eletti, circoli), le modalità di confronto, la gestione dei risultati;c ostruire piattaforme programmatiche: dobbiamo coinvolgere tutte le forze che nel territorio possono essere disponibili a collaborare per costruire insieme i nostri programmi, le nostre scelte sui territori, le nostre proposte: non solo i partiti politici più vicini al PD, ma anche tutte le Associazioni, i Comitati, i rappresentanti di categoria e i cittadini in qualunque forma organizzata e riconoscibile;tornare a parlare con tutte le persone: non tutti hanno la possibilità, la voglia e gli strumenti per intervenire attivamente nella vita politica. Oltre a tornare a studiare direttamente la società e la sua composizione, vanno perciò riscoperte e aggiornate tutte le modalità di rapporto con i cittadini: le feste popolari, la capacità di andare incontro alle persone nei loro luoghi di lavoro e di vita, dobbiamo tornare in piazza, dobbiamo avere i gazebi ai mercati, sempre.
Il punto che ci distinguerà a livello nazionale e locale, nella crescita del partito e nelle prossime sfide elettorali starà nei fatti, nelle metodologie di lavoro che sapremo attivare (partecipazione, confronto, dialogo, trasparenza, valorizzazione del merito) e nelle persone che metteremo in prima fila per assumere responsabilità di dirigenza e di amministrazione. Le scadenze imminenti che ci aspettano saranno davvero decisive nel misurare la serietà delle nostre intenzioni: il congresso e il rinnovo dell’amministrazione comunale. Sono due scadenze che segneranno il futuro del PD ed il futuro di Venezia.
Il futuro del PD
Ricostruire il lavoro di squadra: sono convinto che sia arrivato il tempo di archiviare le velleità di leaderismo per tornare ad una dimensione di squadra del partito; una dimensione che è molto più vicina alla tradizione della nostra parte politica, fatta di persone che credono nel confronto e nella discussione democratica. Dobbiamo imparare a decidere, certo, ma senza ridurre all'inesistenza chi ha un'opinione diversa (noi non tappiamo la bocca a nessuno!). Abbiamo bisogno di un’organizzazione forte, di un partito vero.Affermare la laicità del PD: solo la costruzione di uno spazio laico può consentire di impostare e promuovere politiche che mettano al centro l’uomo e la società, in particolare in una realtà sempre più dinamica e complessa come la nostra. Non ci servono dogmi nei quali rifugiarci, ma confronti in campo aperto, nei quali le diverse istanze possano esprimersi per costruire e promuovere il rispetto delle scelte individuali e lo sviluppo sostenibile della nostra società.Valorizzare le radici popolari del PD: vanno corretti e rivisti tutti i meccanismi statutari che rendono difficile e inconcludente la partecipazione ampia degli iscritti e dei simpatizzanti alla vita politica del partito. Accettando e analizzando i cambiamenti avvenuti nella nostra società vanno reinventati i luoghi e i modi del dialogo. Dobbiamo avere l’umiltà di capire che i vecchi strumenti di lettura della composizione sociale dell’Italia, dei suoi bisogni e delle sue energie non sono più sufficienti per capire la realtà e avere con le persone un rapporto diretto, franco e schietto.
Il futuro di Venezia:
Un grande progetto di città: in un quadro regionale, nazionale ed Europeo molto cambiato, Venezia ha bisogno di rinnovare i propri obiettivi di sviluppo (Porto Marghera che cambia, il turismo come comparto consolidato dell’economia, la cultura come eccellenza economica e sociale, l’ambiente come motore di crescita, il polo universitario come opportunità di valorizzazione delle capacità delle nuove generazioni, una moderna mobilità perno dello sviluppo omogeneo ed unitario tra città d’acqua e di terra, le infrastrutture e l’intermodalità per l’integrazione con le reti regionali e locali dei grandi assi di comunicazione est-ovest, di porto e aeroporto, ecc), e di riaffermare i suoi valori urbani come cuore dell’area metropolitana. Negli ultimi 15 anni la città ha saputo affrontare alcuni problemi in modo eccellente, rigenerando interi quartieri, riscoprendo i valori di alcune aree dimenticate, facendo crescere aree verdi qualificate, offrendo servizi alla persona di primo livello, ecc. Ora è necessario guardare avanti e fare un nuovo sforzo per costruire una qualità diffusa alle aree residenziali (migliorare la qualità energetica e funzionale dell’edilizia costruita tra gli anni ’50 e ’70), migliorare e aggiornare la rete commerciale, continuare il progetto di restituzione degli spazi pubblici alle esigenze degli abitanti (piazze, spazi di gioco sicuri, sosta per gli anziani, piste ciclabili, ecc), migliorare le infrastrutture per la mobilità di merci e persone, attuare tutti i progetti di bonifica, ecc
Venezia città dell’eccellenza: non di elite ma di eccellenza.
Venezia è già oggi un punto di riferimento mondiale della cultura, per la sua storia e per quel che nel corso di tutto il ‘900 siamo riusciti a costruire. Grazie alla sua eccezionalità Venezia ha una grande forza mediatica che spesso siamo riusciti a giocare anche in campo politico sostenendo da qui campagne per la pace, per l’ambiente ecc. Ora Venezia, grazie anche al suo ambiente straordinario e “grazie” ai nodi che la crisi mondiale sta portando al pettine del nostro modello di sviluppo, ha la possibilità di costruire il suo futuro basandosi su alcuni punti di eccellenza: la cultura, l’ambiente, le energie rinnovabili, etc. La città, in tutte le sue parti, ha la possibilità di presentarsi come città d’avanguardia della green economy.
Un Sindaco normale: che non vuol dire di basso profilo ma che viva la normalità, i problemi della città e delle persone, aperto, con una cultura e un approccio nuovo alle istanze del territorio. Il Sindaco che dobbiamo candidare nel 2010 dovrà essere una persona che sappia costruire e tenere intorno a sé una squadra dotata di competenze, di capacità di dialogo e di ascolto, di una visione strategica (la Giunta, la macchina comunale, le Municipalità, le società collegate). Non basta una persona sola al comando, per quanto brava. Abbiamo bisogno di applicare qui tutta la nostra capacità di valorizzare le energie che il territorio sa esprimere. Un Sindaco che, forte di tutto questo, sappia coniugare le scelte legate alla prospettiva di sviluppo della città, agli interventi di vivibilità quotidiana richiesti dai cittadini.
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